Per una teologia della comunicazione sociale

 

Comunicazione e comunione

 

di mons. Dionigi Tettamanzi

 

 

Si è svolto a Roma un seminario su «La formazione degli operatori pastorali alla comunicazione sociale», organizzato dall'Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI, dal Centro interdisciplinare sulla comunicazione sociale dell'Università Gregoriana e dall'Istituto per le scienze della comunicazione sociale dell'Università Salesiana. Trascriviamo la parte centrale della relazione del segretario generale della Conferenza episcopale italiana che ha aperto i lavori. Sono indirizzi per una fondazione teologica della comunicazione sociale, che offrono numerosi spunti per l'evangelizzazione attraverso i mezzi di comunicazione.

 

Gli Orientamenti  pastorali della Conferenza episcopale italiana per gli anni '90, Evangelizzazione e testimonianza della carità, possono compendiarsi nell'affermazione che la carità è al centro della nuova evangelizzazione. La carità, infatti, costituisce non solo la chiave interpretativa del mistero cristiano per eccellenza — quello dell'uni-trinità di Dio — ma anche la radice vivificante della fede e della prassi dei cristiani. Per questo la carità deve «informare», ossia animare e dare valore a tutte le dimensioni umane, compresa quella comunicativa, che è essenziale e tipica dell'evangelizzazione, dal momento che evangelizzare è comunicare, annunziando la lieta e buona «Notizia» di Gesù Cristo e testimoniandola con la propria vita.

La sorgente e la forza di questa comunicazione richiamano immediatamente la comunione; anzi, in Dio-Trinità si ha la piena sintonia e coincidenza fra comunione e comunicazione. Ora ciò che in Dio è perfetta realtà, per noi uomini e per la stessa Chiesa è vocazione e compito.

Nel suo incontro con l'uomo, la rivelazione di Dio si esprime e si attua nell'autocomunicazione di Dio, ossia nella comunicazione di sé come Agape-Carità. Attraverso l'intera storia della salvezza e in particolare nel suo culmine — l'evento del Figlio di Dio che si fa uomo nel seno di una vergine, patisce muore e risorge, dona lo Spirito — Dio autocomunicandosi vuole introdurre l'uomo in questo «circolo comunicativo agapico» (è la pericoresi trinitaria).

È alla luce della vita trinitaria che si può comprendere adeguatamente la vita della Chiesa come vita di comunione di quanti nella fede sono coscienti di essere chiamati a partecipare alla comunione e comunicazione di Dio stesso e a farne dono — come strumenti di Dio — a tutti gli uomini.

Essendo poi l'uomo e la comunità degli uomini il principio e il fine di ogni comunicazione, è necessario individuare quale progetto di uomo sta alla base dell'annuncio e della testimonianza del Vangelo della carità.

 

Trinità: modello supremo di comunicazione-comunione

Il fondamento teologico o meglio la sorgente divina di tutta la comunicazione è la comunione-donazione intratrinitaria quale ci viene rivelata nella storia della salvezza. Così lo descrive un documento del CELAM (Consiglio episcopale latinoamericano) dal titolo Verso una teologia della comunicazione in America Latina (1988): «La Bibbia sintetizza l'infinito mistero di Dio in una sola frase di abissale intensità: “Dio è Amore”. Dire “amore”, è dire donazione di se stesso all'altro e, pertanto, comunicazione. Dio, perciò, è comunicazione. Dio infatti nel suo mistero più intimo non è solitudine, ma è Famiglia. La vita divina è perfetta intercomunione di amore attraverso la quale le tre persone divine vivono comunicandosi, eternamente e pienamente, tutta la propria ricchezza personale l'una all'altra.

In Dio, il senso della comunicazione è condurre alla perfetta comunione nell'amore. Talmente perfetta che risolve in modo assoluto la tensione tra quelle due componenti dell'amore il cui equilibrio risulta tanto difficile all'uomo: la tendenza alla totale unità con l'altro, e l'indispensabile e accurato rispetto della libertà dell'essere amato.»

«Il Padre — scriveva il card. Martini — “dice” il Figlio, e dicendolo lo genera e gli comunica tutto ciò che è e ciò che ha. Il Figlio chiama il Padre e gli si dona in totalità con perfetta obbedienza. Lo Spirito Santo procede dal Padre e il Figlio» (Effatà, apriti, 1990, p. 26). Perfetta è la comunione tra loro, come fra chi dona e chi accoglie il dono e lo restituisce in pienezza. Nella vita trinitaria si realizza pienamente, potremmo dire, il «feed back comunicativo».

Tutta la storia della salvezza può essere letta dal punto di vista della comunicazione, come espressione dell'Agape trinitaria e come chiamata di grazia per l'uomo ad entrare, nel Figlio e per opera dello Spirito, nella dinamica di comunione e donazione della vita trinitaria.

Il primo atto di Dio nei confronti del mondo è già un atto di comunicazione agapica. La creazione, infatti, quale amore donante di Dio avviene mediante la Parola in forza della «Ruah». In un modo proprio ed esclusivo rispetto a tutti gli altri esseri, l'uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio e porta in sé l'impronta della Trinità. Questa immagine si manifesta nella capacità e nel bisogno dell'uomo di mettersi in relazione con gli altri comunicando e, ancor più radicalmente, nell'essere interlocutore di Dio stesso.

 

Storia della salvezza come comunicazione

In questo senso tutta la storia biblica si presenta come la narrazione viva di una comunicazione che si instaura, si rompe, si ristabilisce. La prima rottura della comunicazione è nel rapporto uomo-Dio, cui segue immediatamente la rottura della comunicazione nel rapporto degli uomini tra loro. Emblematica è la vicenda della torre di Babele, che con l'impossibilità degli uomini di parlarsi fra loro con un unico linguaggio, diventa «il simbolo della non comunicazione, della fatica e delle ambiguità a cui è soggetto il comunicare sulla terra. Babele è anche il simbolo di una civiltà in cui la moltiplicazione e la confusione dei messaggi porta al fraintendimento» (card. MARTINI C. M., ibid., p. 1).

Dio però, nella fedeltà al suo amore gratuito ristabilisce il rapporto con l'uomo: è quanto avviene con i Patriarchi e nell'Esodo con l'Alleanza del Sinai, con una comunicazione tra Dio e l'uomo che si radica nell'assoluta gratuità di Dio.

Questa comunicazione presenta, inoltre, un'altra caratteristica: la mediazione profetica. Essa non è un discorso teorico, ma una parola che con la denuncia e con la promessa entra nella vita del popolo e crea la sua storia.

Nella persona di Gesù e nel suo evento pasquale, la comunicazione tra Dio e l'uomo raggiunge l'apice. Gesù stesso è il messaggio di Dio fatto carne, pienamente e definitivamente offerto all'umanità.

Il rapporto reciproco tra Gesù e il Padre è un rapporto di comunione piena e perfetta. In questo rapporto troviamo sia una reale distinzione e alterità di soggetti, per cui la comunione si realizza attraverso un'estasi di Gesù verso il Padre, sia la reciprocità. È un rapporto che avviene nello Spirito.

L'affermazione di Paolo: «Egli è l'immagine del Dio invisibile» (Cor 1, 15) mette in luce un altro aspetto del rapporto: quello della necessità di una mediazione del visibile per cogliere l'invisibile, la mediazione dell'immagine come mezzo di comunicazione.

 

Lo Spirito artefice dell'attività comunicatrice

Si sa che l'Antico Testamento vedeva nell'immagine il rischio di un culto idolatrico: ma questo rischio in Gesù è totalmente superato, perché Egli non è una semplice immagine, bensì Dio stesso incarnato.

Il momento culmine in cui si compie l'autocomunicazione della Trinità agli uomini è il mistero pasquale della morte e risurrezione di Gesù: in questo mistero assume particolare rilievo il grido dell'abbandono lanciato da Cristo in croce. In una intervista rilasciata da E. Guerriero, autore della biografia su H. U. von Balthasar, su questo punto così spiegava il pensiero del teologo: «La croce è l'azione buona del Figlio, il quale in obbedienza e per amore verso il Padre intraprende il viaggio nelle lontananze più estreme per riportare a Lui in sofferenza, morte e abbandono la creatura che, come il figliuol prodigo, aveva voluto allontanarsi dalla casa paterna. Nell'amore mantenuto vivo dallo Spirito il Padre va a riprendersi il Figlio proprio nella lontananza più estrema (quella della morte), di modo che l'ultima parola non è il no disperato della creatura ma il sì di Dio (...). Nella discesa agli inferi il Figlio andò oltre ogni lontananza da Dio di modo che la creatura è compresa, presa in mezzo nell'abbraccio pasquale del Padre al Figlio».

Nell'atto dell'abbandono si rivela l'amore trinitario, poiché il Padre per amore dona il Figlio, il Figlio per amore dona se stesso, vivendo dall'interno la situazione di lontananza da Dio in cui versa l'umanità peccatrice, e vincendo questa situazione nella ritrovata unità col Padre nello Spirito Santo.

La comunicazione di Dio all'umanità continua con il dono di Cristo morente in croce: lo Spirito Santo, che è — potremmo dire — l'agente centrale della comunicazione intratrinitaria e della comunicazione di Dio con l'umanità. Lo Spirito è presente all'inizio nella creazione, nell'Incarnazione di Cristo in Maria, nell'evento pasquale. Sarà presente in modo particolare nella Pentecoste per riaprire i canali di comunicazione che a Babele erano stati interrotti.

Lo Spirito continua ad essere l'artefice centrale della comunione intraecclesiale e dell'attività missionaria, ossia comunicatrice ed evangelizzatrice della Chiesa.

 

Dalla comunione alla comunicazione

Proprio il tema della «comunione» lascia trasparire più di ogni altro tema il vero senso della comunicazione della Chiesa. Infatti, mentre la «comunicazione» viene intesa spesso semplicemente come un trasferimento di informazione in cui i due soggetti rimangono distinti, la comunione dice una partecipazione di un soggetto all'altro. Scrive P. Babin (direttore di un centro internazionale di formazione alle comunicazioni sociali e religiose e del dipartimento audiovisivi del Centro Nazionale delle Ricerche Scientifiche, in Francia, nonché autore di numerosi saggi sulla comunicazione): «All'alba dell'era della comunicazione, è importante che i cristiani meditino attentamente le parole-chiave di comunione e agape. Sotto il regno dominante della stampa, la nostra fede è stata presentata come un insieme strutturato di dogmi materialmente definiti. Nel momento in cui si impongono le interconnessioni elettroniche, rapide e varie, io penso che — più che mai — la nostra fede dovrà essere ricentrata e presentata in termini di comunione.

L'esegeta G. Lohfink, nella sua opera La Chiesa che Gesù voleva, mostra chiaramente che il Regno di Dio inaugurato da Gesù non consiste in una conversione intellettuale e affettiva, più o meno individuale (la conversione a “una comunicazione”), ma nell'instaurazione di un nuovo tipo di relazioni tra gli uomini in una “società alternativa”. Di fronte alla società di Cesare, di fronte a Israele che Egli dispera di riunire, Gesù crea non una scuola, ma una “società-contrasto”, una struttura sociale, “Sale”... che avrà il compito di influire sulla società tutta intera.

Dunque, la “contro società” di Gesù risveglia i desideri, contesta la pesantezza e le deviazioni, stimola e dona a tutti la possibilità di andare più lontano verso la vita piena. Società meravigliosa che potrà essere paragonata a una rete privata di televisione, una rete non come le altre (ce n'è una sola!), una rete “Super”, che pone turbamento nei cuori, per una vita diversa.

Il messaggio della rete è la vita e lo stile di coloro che fanno i programmi. In termini di comunicazione mediatica, oserei dire: c'è veramente un messaggio non quando la gente comprende, piuttosto quando è collegata e lo acquisisce. Il messaggio cristiano non è comprensione di un corpus dottrinale, benché questo aspetto sia essenziale e non rimpiazzabile; è la vita della comunità. C'è veramente un messaggio quando c'è una conversione alla comunità, l'entrare nella comunione.

Tocchiamo il cuore del Vangelo. Peraltro, io credo che un tale messaggio, è lo stesso che, sotterraneamente, la generazione dei computer e dei media attende dai cristiani. Agli uomini di qualunque credenza che vogliono appoggiarsi ai media per costruire il villaggio globale, i cristiani dicono “sì”, senza riserve. Inoltre, per il vigore del loro stile, essi mostrano che la comunione è il tesoro. In termini di catechesi per la nostra epoca, si potrebbe dire: la comunione è il programma. Non si tratta di cambiare il Vangelo; si tratta di presentarlo come un mosaico in modo tale che ciascun aspetto rinvii all'immagine centrale dell'agape. Inoltre, in linea col funzionamento dei media, si tratta di proporre un cammino che va dall'esperienza della comunione all'insegnamento sulla comunione» (in «Lumen Vitae» 1987, n. 3).

In tal senso si deve incoraggiare la riflessione teologica ad affrontare con maggior coraggio e profondità i diversi aspetti della comunicazione sociale. È questo peraltro un servizio importante e insostituibile per l'azione pastorale. 1

mons. Dionigi Tettamanzi

 

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1) N.d.R.: All'argomento «mass media ed evangelizzazione» abbiamo dedicato per intero il numero di Gen's 3/1993. Per ciò che riguarda il rapporto specifico dei mezzi di comunicazione con gli Orientamenti pastorali della CEI per gli anni '90, segnaliamo un pregevole studio: CINELLI G., Evangelizzazione e testimonianza della carità: ruolo e significato dei mezzi di comunicazione sociale, Dissertazione scritta «ad licentiam» nella Pont. Università Lateranense, anno accad. 1991-92; ampia bibliografia tematica alle pp. 159-169.