Persone e strutture nuove per trasformare la società

Costruire solidarietà

di Marisa Varela

 

Presentiamo l’esperienza di un’assistente sociale che, lavorando ad un progetto governativo, cerca di vivere quest’esperienza nel rispetto delle culture locali, con lucidità socio-politica e alla luce del vangelo.

Ponti da costruire

Sono assistente sociale e lavoro in un programma nazionale per l’animazione e la formazione dei giovani, promosso da un organismo governativo dipendente dal Ministero degli Interni in Argentina. Il programma comprende quattro diverse sezioni: politiche sociali, pedagogia e comunicazione, problematiche specifiche, e quella dove io opero che si occupa di progetti e lavori comunitari.

Siamo in 30 i formatori e i responsabili di questa attività. Non soltanto proveniamo dalle più svariate professioni, ma siamo anche di differente estrazione politica e ideologica.

Eppure siamo riusciti a collaborare mettendo a base valori che tutti possono condividere. Alcuni avevano fatto anche qualche esperienza evangelica e non lo dicevano, ma si avvertiva che la loro sensibilità verso i giovani aveva delle radici cristiane.

Fin dall’inizio, essendo il mio ideale di cristiana il fondamentale comandamento dell’amore evangelico, ho cercato di contribuire a costruire rapporti solidali fra tutti, cominciando dai miei colleghi.

Non è stato facile, poiché alcuni sono dei tecnici ed altri di provenienza politica, e spesso c’è tensione tra questi due settori: i tecnici hanno sfiducia verso questi ultimi nel timore che il loro lavoro sia sottomesso agli interessi politici; mentre questi hanno diffidenza nei riguardi dei tecnici perché temono che essi ostacolino le loro legittime idealità politiche. Per superare queste difficoltà, ci siamo proposti di concepire la nostra attività anzitutto come un servizio e quindi di cercare il bene della gente prima degli interessi propri o del proprio partito.

In questo contesto cerco di scoprire tutto ciò che ci unisce, di costruire ponti, di creare «famiglia», perché non potremmo trasmettere agli altri certi valori se prima non li realizzassimo fra di noi.

Conflitti da superare

Non mancano difficoltà e conflitti, com’è naturale, e in qualche momento c’è stata una crisi profonda. Ad esempio una volta abbiamo presentato al Ministero una rivendicazione sulle nostre condizioni di lavoro. C’eravamo messi d’accordo su quello che ci sembrava giusto e tutti si sono mostrati unanimi. Invece quando sono andata in rappresentanza di tutti i colleghi a parlare con i nostri responsabili, ho saputo che alcuni, di nascosto e astutamente, avevano detto che non erano d’accordo e che si sarebbero accontentati d’altro, per guadagnarsi la benevolenza dei superiori.

Di fronte ad un tale atteggiamento – e non era la prima volta che scoprivo manovre di questo tipo –, sono stata presa dallo scoraggiamento, pensando che non era possibile realizzare ciò che ci eravamo proposti: anteporre l’aspetto professionale e di servizio a quello politico e alla ricerca di affermazioni personali ad ogni costo.

Alcuni colleghi mi consigliavano di non preoccuparmi, di mettermi da parte: non avrei perso niente perché non avevo l’interesse di acquistare meriti per salire nella scala politica, e nemmeno avrei fatto una brutta figura perché avevo fatto la mia parte e nessuno attendeva che facessi di più. Sarebbe stato facile muovermi così, ma sentivo dentro che non era giusto. Sarebbe stato rinunziare a continuare nella costruzione di un mondo nuovo.

Dopo diversi giorni di amarezza sono riuscita a riconoscere in questa situazione la misura d’amore a cui ero chiamata: quella che Cristo aveva vissuto sulla croce fino all’abbandono. E mi son detta: «Non è questo che lui ha vissuto: l’angoscia, l’aridità, il sentirsi fallito, impotente? Non è immagine di Lui ogni divisione?».

Ho sperimentato ancora una volta che solo così un cristiano riesce socialmente a non abbassare le braccia, ad andare avanti consumando e trasformando le difficoltà, guardando sempre con occhi nuovi coloro che hanno sbagliato, in modo da non agire per ripicca ma in maniera costruttiva.

Per formare i giovani

Sono già circa 6.000 i giovani che sono passati per i nostri corsi. Vengono un centinaio alla volta, dalle varie regioni del Paese e, in genere, sono dirigenti: alcuni in campo politico, altri a livello comunale o in ambito ecclesiale. Alcuni gruppi sono venuti a Buenos Aires, mentre per altri siamo andati noi sul luogo (dalla Patagonia fino ai punti più estremi del Nord argentino).

Come metodo abbiamo utilizzato delle tecniche di educazione popolare, raccolte da esperienze fatte in diversi Paesi latinoamericani. Sono tecniche di gruppo che promuovono la partecipazione di tutti, creano rapporti solidali e spazi ordinati di libera espressione e di ascolto. Tutto ciò ha permesso che potessimo mettere la conoscenza reciproca alla base del nostro lavoro.

A questo riguardo eravamo d’accordo con i colleghi su certi atteggiamenti imprescindibili che dovevamo avere nei loro riguardi: valorizzare la cultura di ogni regione perché si sviluppi il meglio di ognuna, ascoltare molto la gente e far in modo che siano essi i protagonisti principali, cercando insieme le soluzioni.

In uno di questi posti, ad esempio, la nostra visita coincideva con una festa ancestrale, che risale agli indigeni che abitavano lì da secoli, dedicata alla «madre terra» per ringraziarla di tutto ciò che essa dà offrendole dei frutti simbolici. A tale fine depongono in una buca alcuni dei migliori semi, frutti, carne, vino, dopodiché s’inginocchiano per ringraziare il Padre, e infine si svolge una festa, con suoni, balli e canti tipici di quella regione.

Poiché tra i temi che dovevo trattare non c’erano soltanto quello del lavoro comunitario ma anche quelli della cultura, dell’identità, della partecipazione, della difesa dei loro diritti, era evidente che dovevo cercare di cogliere cosa significava questa festa per loro. Abbiamo avuto un dialogo molto interessante. Mi hanno domandato cosa sentivo io di fronte a ciò che avevo visto e loro mi hanno raccontato come lo vivevano. Questo mi ha aiutato tanto a conoscerli e a capirli. Il corso è stato uno dei più fruttuosi, grazie a ciò che abbiamo vissuto insieme e ai rapporti fraterni che si sono creati.

Con questa linea di ascolto e di ricerca del positivo che c’è in tutti, abbiamo scoperto nei giovani tanti valori, ben diversi da quelli che ci mostrano i mezzi di comunicazione, con la loro seduzione consumistica. Alle volte abbiamo assecondato la loro ricerca d’identità, in aree dove ancora non esistono radici culturali profonde essendo figli di emigranti di diverse provenienze, andati in quella regione in cerca di lavoro. Altre volte abbiamo trovato in loro un grande amore soprattutto per i più poveri, ai quali vogliono dare priorità e possibilità di promozione.

In uno dei luoghi visitati abbiamo visto che la necessità più urgente era l’irrigazione per migliorare i raccolti e poter dare da mangiare alla propria gente, ma dicevano che avevano bussato a tante porte senza ricevere mai l’aiuto necessario. Quando ci siamo informati di quanto avevano bisogno, abbiamo capito che sarebbero bastati 500 dollari! L’unica difficoltà era che bisognava aiutarli a esporre la loro situazione, a fare i calcoli, a esprimere con chiarezza la loro richiesta, e ciò sarebbe bastato per trovare con facilità l’aiuto necessario, come di fatto è stato. In un’altra occasione si è capito che, pur avendo delle buone produzioni locali, vivevano in una povertà estrema perché dipendevano dagli intermediari che si prendevano la maggior parte dei guadagni. Si è studiato come organizzarsi per evitare l’intermediazione.

In un altro posto del Sud argentino tanti erano rimasti senza lavoro. Anche se la ditta petrolifera li aveva indennizzati abbondantemente, c’era il rischio che tanti non riuscissero a crearsi un’alternativa valida. Attraverso una crescita della coscienza comunitaria e studiando insieme le possibilità locali e le loro abilità lavorative, sono riusciti a dar vita ad una cooperativa per produrre bombole di gas, dal momento che esso è molto abbondante in quella zona e loro sono esperti proprio in quel tipo di lavoro.

In altre occasioni abbiamo potuto offrire consulenza per organizzare le loro cooperative per avere luce o telefono, o piccoli ospedali per i primi soccorsi, o laboratori di cucito. Si sono sviluppati anche dei centri studenteschi per la vendita di libri usati e di dispense e per l’orientamento dei giovani nella loro ricerca di quale studio sia possibile e conveniente in quella regione. Abbiamo anche promosso delle azioni per combattere l’alcoolismo, che per diversi motivi è una piaga tra tanti giovani dell’interno del nostro Paese. Anche contro la droga (sebbene essa non ha potuto diffondersi come in altre regioni del mondo, vista la povertà del Paese) e per la prevenzione dell’Aids si sono promosse alcune iniziative.

La nostra presenza non si è limitata ad appoggiarli perché fossero essi stessi in prima linea a concepire e promuovere i loro progetti e il loro sviluppo, ma spesso abbiamo continuato i contatti anche dopo in modo che avessero continuità nella loro azione.

Strutture nuove
ed impegno politico

Siamo coscienti che nella nostra azione sociale dobbiamo affrontare il problema delle strutture sociali. Quando andiamo in un posto e vediamo che la gente viene sfruttata e vive nella miseria, sappiamo bene che non basta ciò che facciamo con il nostro lavoro di promozione comunitaria. Con esso si trovano piuttosto soluzioni parziali e immediate, si rimane a livello degli «aiuti», mentre dobbiamo arrivare alle cause, come tante volte hanno affermato i nostri vescovi latinoamericani (ad esempio a Puebla ed a Santo Domingo). Frequentemente le cause dell’indigenza non sono innocenti, non dipendono soltanto da fattori ambientali o culturali, ma da quelle «strutture di peccato» di cui vigorosamente parla la Sollicitudo rei socialis.

Per cui capiamo che non possiamo fermarci soltanto alla formazione delle persone e ad un livello assistenziale-promozionale. Bisogna anche trovare nuove strutture economiche per una migliore distribuzione dei beni, promuovere più adeguate strutture educative, legislative, giudiziarie, sanitarie etc.

Ma per arrivare a tali trasformazioni ci vuole, oltre alla competenza, il potere decisionale. Ed esso si acquisisce attraverso la politica. Per cui io personalmente sento la vocazione al concreto impegno politico.

E ciò non solo per un istinto o entusiasmo passeggero. So bene quanti sacrifici mi costerà un tale impegno. Quando si entra a pieno in quel mondo devi affrontare parecchie realtà poco gradevoli, come il rischio del gioco sleale da parte dei tuoi «avversari» politici, la corruzione che è una piaga che permea il tessuto sociale del nostro Paese, la diffidenza di buona parte del popolo che considera la politica «una cosa sporca», in qualche misura l’allontanamento di amici e conoscenti che appartengono ad altri partiti...

Per cui se lo faccio, è a causa delle mie convinzioni cristiane. La scelta politica è una conseguenza della mia scelta di Dio. Una cosa che ho visto in questi anni è che non si deve avere il cuore e la prassi divise, con momenti «spirituali» in cui vivi tutta per Dio ed altri di lotta ed impegno in cui vivi «per il mondo» e secondo le sue regole. Voglio essere tutta di Dio per essere tutta nel mondo. E avverto che, nella misura in cui ci riesco, gli altri lo riconoscono e lo rispettano.

Ho provato mille volte quanto è importante il proprio atteggiamento, perché normalmente «contagia» gli altri. Ho sperimentato in questi anni che è possibile avere rapporti cordiali e puliti anche con coloro che non condividono pienamente le tue scelte. Ho tanti amici in tutti i partiti, e vorrei mostrare, almeno dalla mia parte, che si può far politica senza essere nemici.

Un’altra dimensione che è stata fondamentale per me fino ad oggi e con la quale continuerò ad affrontare la politica, è quella dell’unità. Affronto quindi questo impegno radicata nella comunità con la quale permanentemente ci aiutiamo – pur nel pluralismo delle opzioni concrete – a rimanere nell’amore che proviene da Dio ed a cercare sempre il principio ispiratore delle nostre azioni nella Parola di Dio vissuta.

Marisa Varela