Ravvivare l’unità nel corpo sociale

 

L’esigenza etica oggi

 

a cura di Gianni Caso

 

 

Il curatore dell’articolo è giudice alla Cassazione italiana e, nell’ambito del movimento Umanità Nuova, è responsabile del bureau internazionale per il settore «Moralità pubblica ed etica sociale». Le testimonianze qui riportate costituiscono un piccolo «campionario» di come sia possibile costruire una società diversa con alla base i valori evangelici.

Presentiamo tre esperienze, realizzate in diverse aree di lavoro. Esse, nel loro piccolo, mostrano come anche oggi sia possibile apprezzare e perseguire i valori morali, trasformando i rapporti tra le persone che dall’antagonismo passano alla collaborazione e alla solidarietà.

L’etica del lavoro

Gli antichi Romani espressero i doveri dei cittadini nel triplice precetto: «vivere onestamente, cioè comportarsi nella società con lealtà e rettitudine», «non arrecare danno agli altri», «dare a ciascuno il suo». Questi precetti esprimono il minimo della giustizia, al quale ogni cittadino è tenuto, e senza il quale è gravemente compromessa la convivenza sociale.

Con riferimento alle presenti condizioni della società questi doveri si specificano soprattutto nei seguenti comportamenti:

- doverosità del lavoro: urge oggi recuperare il senso della laboriosità, unita alla parsimonia, per contrastare la pericolosa tendenza a procacciarsi denaro con frodi, traffici illeciti, speculazioni;

- rinunciare a guadagni al di fuori della legalità (per esempio, farsi pagare un prezzo o un onorario superiori a quelli dichiarati nei contratti, nelle ricevute fiscali, ecc.);

- recuperare un alto senso del rispetto delle leggi, anche di quelle fiscali.

In particolare, nel campo del lavoro dipendente pubblico, oltre lo scarso impegno, si è diffusa la disonesta abitudine di pretendere un compenso per l’atto d’ufficio dovuto.

Nell’esperienza che segue un pubblico funzionario con delicatezza e attenzione cerca di sanare questi mali.

Franca è una funzionaria giudiziaria e lavora nel settore penale. Un giorno una signora la ferma nel corridoio dell’ufficio. E’ anziana, spaventata, distrutta dal dolore e dalla vergogna del suo primo contatto con la giustizia, perché il marito è detenuto in carcere. Ha trovato un avvocato, ma non ha tutta la somma che quegli le ha chiesto per ottenere la liberazione del marito.

Franca freme dentro di sé: sa che il giudice concede la libertà provvisoria sulla base di motivi seri e validi; perché far credere a questa signora che occorrono dei soldi? Lei è cosciente di avere dei doveri verso l’ufficio, che è tenuta al segreto professionale, che deve avere solo rapporti formali col pubblico, ecc. Tuttavia, sente che può e deve fare qualcosa per aiutare quella signora. Si informa su quanto ha già corrisposto all’avvocato, e la cifra le sembra sufficiente. Allora consiglia alla signora: «Non dia più niente all’avvocato, perché basta quanto già dato; e gli dica che gliel’ho detto io. Suo marito uscirà comunque, perché il giudice lo ha già deciso». Temendo di avere ecceduto, riferisce la cosa al giudice, il quale la tranquillizza: «Ha fatto benissimo».

I magistrati con i quali Franca lavora hanno compreso lo spirito del suo agire, ed uno di essi, pur avendo convinzioni diverse da quelle della fede cristiana, ogni volta che sorge un problema nell’ufficio si rivolge a lei.

L’etica dell’impresa

Nell’attività imprenditoriale bisogna guardarsi dall’adottare comportamenti industriali non leciti, come ricorrere nella produzione a tecniche che incidono negativamente sulla sanità e genuinità dei prodotti o inquinano l’ambiente, allo scopo unicamente di ridurre i costi o aumentare i guadagni, oppure  sfruttare a questo scopo la mano d’opera.

Nella gestione dei rapporti commerciali - soprattutto tra grandi imprese private e enti pubblici o governativi - possono instaurarsi condotte illecite, consistenti nell’aumentare falsamente il prezzo dell’opera o del servizio a carico del committente pubblico, al fine di procurare profitti illeciti sia ai pubblici funzionari sia ai dirigenti dell’impresa a danno della comunità (tangenti).

Per quanto riguarda la vita interna dell’azienda, i ritmi, le modalità e l’ambiente di lavoro devono essere rispettosi della persona del lavoratore.

Ora, è possibile realizzare concretamente tali principi? E’ possibile attuare la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa? E’ possibile una più equa retribuzione fra le diverse categorie? E’ possibile istituire un servizio sociale per le famiglie dei lavoratori dipendenti e, contemporaneamente, assolvere anche agli obblighi fiscali? In conclusione, è realizzabile tutto ciò nell’attuale contesto dell’economia di mercato, dominata dal criterio del minor costo e del maggior profitto, senza detrimento per l’economia aziendale? La seconda esperienza va incontro a questi interrogativi.

A servizio della comunità

Antonio, titolare di un’impresa di impianti elettrici e tecnologie affini in una città del Sud Italia, si è trovato inizialmente a dover aiutare il padre e i fratelli in un negozio di elettrodomestici con annesso laboratorio.

Essendosi presentata alla sua ditta l’occasione di partecipare ad un appalto pubblico per l’impianto di illuminazione della sua città, e avendolo vinto, egli vide in ciò l’opportunità di creare un’impresa più grande e di dare quindi lavoro a chi ne aveva bisogno.

Non era facile. I suoi colleghi gli dicevano che senza qualche amicizia influente, qualche accordo sottobanco, non avrebbe fatto molta strada.

Le difficoltà non sono mancate. Una volta un funzionario, dopo aver discusso alcune modifiche migliorative da apportare ad un progetto, concluse dicendo che se si volevano fare quei lavori bisognava «accontentare» qualcuno. Antonio con molta semplicità rispose che lui era contento di fare quei lavori, ma era ugualmente contento di non farli se quelle erano le condizioni. La perizia fu approvata, i lavori vennero eseguiti ed anche con quel funzionario nacque un bel rapporto. E tante volte si è sperimentato che l’onestà è più forte delle bustarelle.

L’azienda di Antonio opera in una regione depressa, dove il mondo del lavoro è pieno di dolorose situazioni: condizioni di lavoro precarie, protezioni antinfortunistiche nei cantieri scarse o inesistenti, ma soprattutto operai che spesso lavorano 10 ore al giorno per 30/40mila lire senza assunzione regolare e quindi senza diritto a pensione, ferie, tredicesima, assicurazione malattia, ecc. Una situazione di vero e proprio sfruttamento dei più deboli e bisognosi.

Nella sua azienda Antonio non ha voluto adottare questi metodi, anche se c’era il rischio di non reggere alla concorrenza. Certo, non è sempre facile reperire 120/130 mila lire al giorno per poter pagare secondo i contratti un operaio comune, ma egli c’ è riuscito e finora la sua azienda è in piedi, mentre le altre imprese spesso sono in gravi difficoltà.

Ugualmente, quando l’azienda non riusciva a vincere le gare per l’appalto di lavori, perché non si accettavano certi «giochetti», è sempre spuntato un qualche lavoro privato che ha consentito di andare avanti.

Gli operai all’inizio avevano un po’ di paura per questa situazione di precarietà, ma ora sono loro stessi a ricordare che «la Provvidenza non mancherà».

La comunione tra le aziende

Dopo il lancio del programma dell’economia di comunione, Antonio ha visto che una possibilità di applicarla in concreto era quella di collegare tra loro più aziende dello stesso settore, i cui proprietari desiderano farlo. In questo modo si va contro la mentalità imprenditoriale tradizionale, secondo la quale ognuno tiene per sé e per la propria azienda idee, sviluppi, offerte di lavoro ed utili. Collegandosi, invece, è possibile mettere in comune i mezzi meccanici e le attrezzature, spostandole là dove servono, senza doverne acquistare di nuove e, ancora, mettere in comune le disponibilità finanziarie, per evitare di pagare forti interessi alle banche.

Con alcune di queste aziende collegate, l’impresa di Antonio ha partecipato ultimamente ad un appalto-concorso per la riqualificazione di un centro storico, e ad essa è toccato di elaborare gli impianti di pubblica illuminazione. Studiando il progetto, si è trovato subito di fronte ad una scelta impegnativa: proseguire nell’installazione di lanterne in stile, che erano assolutamente irrispettose della tradizione e della storia del paese, realizzando comunque un alto guadagno, o proporne la rimozione e la sostituzione con altre più consone al sito, all’ambiente, e quindi nell’ottica dell’amore verso la città, rinunciando ad un maggiore profitto.

Agendo secondo le proprie convinzioni, ha scelto la seconda soluzione. Il risultato di questa scelta è stato che la commissione di esperti, incaricata di esaminare la validità dei progetti, ha aggiudicato i lavori al loro gruppo di aziende, e l’elemento determinante è stato proprio il nuovo progetto dell’impianto di illuminazione pubblica, presentato da Antonio.

La moralizzazione pubblica

In questo periodo, purtroppo, a causa del sistema delle tangenti, c’è stata una forte caduta di moralità nella vita pubblica, con gravi conseguenze negative sul piano della giustizia sociale, della corretta gestione dell’economia e della legittimità democratica del potere politico. Dalla corruzione pubblica trae forza anche la criminalità, mentre i gruppi economici divengono arbitri della ricerca del profitto ad ogni costo, senza il rispetto dei beni fondamentali delle persone e della collettività.

Altra piaga dell’immoralità pubblica è il favorire nei concorsi e nelle gare pubbliche per motivi diversi, ma sempre riconducibili all’interesse privato, alcuni concorrenti in danno di altri, violando la legalità e la giustizia. Ecco una terza esperienza vissuta in tale contesto.

Il coraggio di parlare

Paolo, membro di una Commissione d’esami per un posto di architetto, viene informato da un concorrente di gravi irregolarità nello svolgimento del concorso con specifiche accuse a carico del presidente della Commissione. Ne informa alcuni membri della Commissione e si consulta con persone competenti.

Per rispetto verso l’accusato, propone di mettere al corrente quest’ultimo, prima di procedere alla denuncia. Gli altri accettano. Così, in una riunione viene richiesta una chiarificazione al presidente accusato. Costui, dopo una prima reazione, accetta di partecipare ad un incontro col Sindaco, al quale Paolo espone i fatti, facendo presente che, nella sua qualità di pubblico ufficiale, egli non poteva tacere quanto era venuto a sua conoscenza.

A conclusione dell’incontro viene stabilito di andare dal Magistrato. Qui è presente anche l’accusato che tenta di minimizzare i fatti, mentre gli altri tacciono. Paolo ascolta, cercando di capire il da farsi. Ma prima di congedarli, il Magistrato rivolge proprio a Paolo alcune domande generiche, e da lì partono gli interrogatori. L’unità che Paolo aveva stabilito con gli altri membri della Commissione fa sì che si riferisca una unica versione dei fatti, che è quella che corrisponde alla verità. L’inchiesta giudiziaria va avanti e porta all’arresto del presidente incriminato e di altre tre persone pure coinvolte nell’illecito.

Il fatto viene riportato dagli organi di informazione e incontra il favore dell’opinione pubblica. Tanti, infatti, sapevano che quel settore della pubblica amministrazione era corrotto, ma se ne parlava soltanto, ingenerando sfiducia nei cittadini. Con questa azione si faceva sì che i concorsi potessero svolgersi regolarmente a tutela dei concorrenti onesti e preparati.

Ho riportato solo tre brevi esperienze tra le tante che conosco. Esse mi hanno dato la speranza che il fermento evangelico stia penetrando sempre più il nostro tessuto sociale, rispondendo a imperativi morali ormai ineludibili.

Gianni Caso