Può la Trinità essere modello per la società?

Trinità: modello sociale

di Enrique Cambón

 

Sono divenute celebri espressioni come «il dogma della Trinità non significa niente per la pratica» e «se si eliminasse la Trinità dai libri teologici, quasi niente cambierebbe nel pensiero e nella vita dei cristiani», rispettivamente di E. Kant e K. Rahner. Abbiamo assistito al paradosso che «il più grande mysterium salutis è diventato il più complicato mysterium logicum» (M. González). Tuttavia da diversi anni la situazione sta cambiando. Ormai diventa un luogo comune affermare che la Trinità costituisce il modello della società umana, anche a livello economico, politico, culturale. Cosa significa tutto ciò concretamente?

Nei documenti ecclesiali

Ormai è un’affermazione ricorrente all’interno delle varie tradizioni cristiane e nel dialogo tra di esse, che la vita intima di Dio è il supremo modello di unità.

Nel magistero della Chiesa cattolica, tale tematica è pienamente assunta sia a livello universale che locale. Essa è entrata nettamente nel Concilio Vaticano II (cf GS 24, 40, 21; UR 2; LG 4, 47; PC 1); Giovanni Paolo II l’ha menzionata nell’enciclica sullo Spirito Santo (DeV 59) e sulla donna (MD 7), oltre che nella esortazione sulla famiglia (FC 11) e nella Sollicitudo rei socialis (40); il recente Direttorio ecumenico la pone come base e meta dell’unità a cui sono chiamati tutti i cristiani (13); i vescovi latinoamericani nel Documento finale di Puebla gli hanno dedicato dei paragrafi di raro vigore e lucidità sociale (211-219); i vescovi italiani lo indicano come uno dei fondamenti dei loro Orientamenti pastorali per gli anni ’90 (15-16).

Tuttavia in questi documenti la realtà trinitaria come modello sociale è enunziata solo a livello globale, di principio, senza svilupparne le conseguenze. Per cui la domanda che vogliamo farci, in modo molto breve e indicativo sulla scia di alcuni teologi di diverse chiese cristiane1, è la seguente: Quali caratteristiche concrete devono avere i rapporti e le strutture sociali per modellarsi sulla vita trinitaria?

Iniziativa, accoglienza,
reciprocità aperta

1. L’immagine divina si trova nell’essere umano anzitutto nel fatto che egli è riflesso del Padre. Come il Padre è nella vita trinitaria sorgività pura, cioè principio senza principio, origine non originata della vita divina, eterna sorgente dell’Amore, così la creatura umana è chiamata ad essere nella storia sorgente d’amore. L’essere umano è fatto per amare, chiamato a donare amore nella gratuità. Qui si radica il fatto che il cristiano vero vuole vivere per gli altri, essere sempre disponibile a prendere l’iniziativa nel cercare il bene degli altri, senza interesse e senza pretendere ricambio.

L’Amore di Dio è Creatore, e l’essere umano è chiamato ad essere «co-creatore», cioè continuatore, perfezionatore della  creazione, non soltanto nei riguardi della natura, ma anche attraverso i rapporti sociali. Dio, creando, dà la bontà agli esseri: «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco era cosa molto buona» (Gen 1, 31). Così il nostro amore, se è autentico, sa scoprire il positivo di ognuno e valorizzarlo. In certo qual modo il nostro sguardo purificato, il nostro atteggiamento positivo, «crea»: nel senso che fa esistere gli altri, dà luogo a nuove risorse di vita. Quando riusciamo ad amare le persone come hanno bisogno d’essere amate, le vediamo sbocciare, illuminarsi, promuoviamo la loro crescita e la loro realizzazione, permettiamo lo sviluppo di potenzialità che altrimenti rimarrebbero inespresse. L’amore fa sentire all’altro che è bello che esista. «Amare è dire all’altro: tu non morirai» (G. Marcel). «E’ l’amore che fa esistere!» (M. Blondel).

2. Poi, come il Figlio è accoglienza pura, così l’essere umano vive ad immagine della Trinità in forza della sua capacità di accogliere l’amore. Il Figlio ci rivela come divino sia non solo l’amare ma anche il lasciarsi amare, non soltanto il donare ma anche il ricevere. Si ama anche – e spesso si ama di più – lasciandosi amare. La povertà che accoglie è la condizione dell’amore, e quindi dell’essere. Però, mentre nel Figlio la ricettività è assolutamente pura, nella creatura può divenire possessività ed egoismo, distruzione dell’amore: ciò conferma l’importanza radicale del lasciarsi amare, senza voler essere sempre e soltanto i «protagonisti» dell’amore, quelli che danno sempre senza ricevere.

3. Infine, nella realizzazione reciproca di questa originaria vocazione all’amore, gli esseri umani rivelano la presenza dello Spirito Santo. Come nella Trinità, fra l’Amante e l’Amato, lo Spirito è l’eterno legame di unità, così Egli è il fondamento dell’unità sociale. È nella reciprocità che si realizza pienamente la persona umana.

Lo Spirito nella Trinità fonda anche l’apertura infinita del mutuo amarsi delle Persone. Com’è noto, in Oriente e in Occidente il cristianesimo ha sviluppato due tradizioni con delle caratteristiche proprie e complementari. Infatti, mentre la teologia latina ha sottolineato il fatto che lo Spirito è l’Amore tra il Padre e il Figlio, quella orientale mette in evidenza che quell’Amore di Dio, appunto per il fatto d’essere tale, non può rimanere «chiuso» in se stesso, ma eccede e si riversa nella Creazione e nella storia. In questa prospettiva lo Spirito è l’estasi (l’«uscita») di Dio verso la creatura, la comunicazione «all’esterno» della vita stessa di Dio, «l’apertura della comunione divina a ciò che non è divino» (C. Duquoc).

Da ciò si vede chiaramente che la reciprocità nel nostro amore interpersonale, se vuole essere di «qualità» trinitaria, non può divenire chiusura egoistica: lo Spirito porta gli esseri umani a fuggire l’esclusività imprigionante fra l’amante e l’amato, e ad aprirsi agli altri.

Ciò non significa che non debbano esistere rapporti di differente esclusività nell’amore. Però, perfino il rapporto più autenticamente esclusivo, come quello fra la sposa e lo sposo, è sempre anche inclusivo degli altri. Come diceva Saint-Exupéry, amare non è guardarci l’un l’altro negli occhi, ma guardare tutti e due nella stessa direzione. Si tratta di una legge dell’esistenza solo apparentemente paradossale (trinitaria appunto): una reciprocità aperta è protezione e salvezza anche dell’amore a due.

Il riflesso nella società

Se tutto ciò vale per ogni persona e per i rapporti intersoggettivi, lo stesso deve dirsi nei riguardi di una più ampia socialità.

L’umanità è costitutivamente espressione di Dio Padre, nel senso che ogni gruppo umano non può essere solo un insieme di persone che singolarmente sono sorgenti d’amore, ma devono essere tali per divenire, come comunità, sorgente di vita e di amore per gli altri settori della società.

Non rifletterà il Padre un gruppo umano in cui non sia rispettata la dignità di ciascuno, il suo essere originale e irrepetibile. Ma nemmeno rifletterà il Padre quel gruppo dove le differenti originalità che lo compongono non convergono in comunione per divenire una più alta sorgente d’amore, per la società.

Inoltre nessuna comunità potrà realizzarsi all’insegna del dominio e dell’arbitrio e dunque attraverso forme autoritarie ed oppressive. La fede trinitaria impedisce che l’affermazione del Dio uno, con la sua assolutezza ed onnipotenza, sia usata – com’è successo di fatto nella società – come legittimazione ideologica del dominio di alcuni esseri umani sugli altri.

Così la comunità umana esprime il Figlio diventando luogo dell’accoglienza, comunione di differenti ricettività nell’amore, più profonda della semplice somma delle ricettività dei singoli. Una comunità è veramente umana e riflette in sé il Figlio di Dio, nella misura in cui accoglie gli ultimi, i poveri, le vittime della società e rifiuta con coraggio ogni discriminazione derivante da potere, ricchezza, razza, sesso, cultura.

Infine la società rifletterà l’azione dello Spirito in quanto sarà comunione nella reciprocità e nella permanente tensione alla libertà, non soltanto all’interno dei gruppi ma anche tra i diversi settori sociali.

Una tale comunione dovrà esprimersi attraverso l’attuazione di progetti sociali che siano continuamente verificati e rinnovati alla luce del mistero trinitario. Ciò fa sì che nessun ordinamento sociale possa essere assolutizzato. Ogni progetto è costretto all’umiltà del provvisorio, alla fatica del discernimento.

Di fronte ad ogni programma e concretizzazione sociale, il paradigma trinitario costituirà, allo stesso tempo, pungolo e misura, «riserva» critica e propositiva, impulso verso una liberazione «da» tutto ciò che disumanizza e «per» una maggiore comunione e partecipazione.

Verso quale società?

Fin qui abbiamo fatto riferimento soprattutto al pensiero di autori europei. Se volessimo dare una sguardo a testi di teologi latinoamericani, vedremmo come, pur utilizzando essi un metodo simile, a causa della situazione sociale drammatica in cui vivono parlano della Trinità nei riguardi della società con altri toni ed accenti.

Dicono, ad esempio, che i poveri, come soggetti di diritti, di organizzazione e di attiva partecipazione nei cambiamenti sociali, scoprono in Dio Padre colui che la Bibbia ci mostra come il Liberatore degli oppressi, la Giustizia dei poveri, il Difensore dell’orfano e della vedova, Colui che convoca un popolo libero e di fratelli. Scoprono Gesù, il Figlio, come l’iniziatore di un Regno di Dio che si concretizza nella storia capovolgendo convinzioni e strutture in favore dei poveri, degli abbandonati, degli ultimi; perciò è segno di contraddizione e per essere fedele fino in fondo alla sua causa arriverà alla morte in croce. Scoprono lo Spirito Santo come Spirito della verità, del giudizio di Dio contrapposto al giudizio degli uomini, Spirito di lucidità e fortezza per dare testimonianza con gioia in mezzo all’avversità, alla situazione sociale tragica e alla persecuzione...2.

Ecco come un’altra voce dell’America Latina sintetizza cosa significa il paradigma trinitario per la socialità umana:

«Dalla comunione delle tre persone divine derivano spinte di liberazione per la persona umana, per la società, per la Chiesa, per i poveri, in un duplice senso, critico e costruttivo. La persona umana è invitata a superare tutti i meccanismi di egoismo e a vivere la sua vocazione di comunione. La società offende la Trinità quando si organizza sulle diseguaglianze, la onora invece quanto più favorisce la partecipazione e la comunione di tutti, e genera giustizia ed uguaglianza tra tutti. La Chiesa è tanto più sacramento della comunione trinitaria quanto più supera le diseguaglianze fra i cristiani e fra i diversi servizi e quanto più intende e vive l’unità come coesistenza nella diversità. I poveri sono spinti a rifiutare la loro povertà in quanto è peccato contro la comunione trinitaria»3.

A conferma, ancora una breve indicazione di un noto teologo riformato tedesco che da tempo indaga sulla teologia trinitaria e le sue conseguenze sociali:

«Rispecchia il Dio trinitario solo un’umanità una, unica ed unificante senza dominio di classe e senza oppressione dittatoriale. Questo è il mondo in cui gli uomini si caratterizzano per le loro relazioni sociali e non per il loro potere o per quanto possiedono. Questo è il mondo, in cui gli esseri umani hanno tutto in comune e tutto condividono, fatta eccezione per le loro caratteristiche personali»4.

«A immagine della Trinità»

Se gli esseri umani sono capaci di vivere la dinamica trinitaria, lo si deve al fatto di essere stati creati «a immagine di Dio» (Gen 1, 26). C’è una creatura dove ciò si possa trovare in modo archetipico?

È stato detto di Maria che «è una spiegazione di Dio... la creatura che più copia Dio e più ce lo mostra»5. D’altronde, come dichiara un noto documento ecumenico, un elemento comune alle varie tradizioni cristiane nei riguardi di Maria è la sua imitazione6.

Ebbene, nella prospettiva che venivamo mostrando, oggi si riconosce che tra Maria e la Trinità esiste un rapporto di profondità unica. Si tratta di un nuovo e fecondo filone della mariologia attuale7. Ella è stata la sorgente d’amore che ha permesso l’incarnazione del Verbo, con una ricettività totale (che ascolta, accoglie, acconsente) nei riguardi della volontà di Dio. Ciò l’ha fatta diventare «la prima discepola del suo figlio»8 e «sperimentata in discese dello Spirito Santo»9.

La sua apertura alla Parola ha dato un’ impronta e una dinamica trinitaria alla sua vita, da offrirsi come icona (immagine) creata della Trinità, modello di apertura all’amore infinito di Dio che si comunica all’umanità, paradigma di quel genio femminile, fatto di amore personale, concretezza, accoglienza, risposta, silenzio d’amore, vicinanza alla vita... tutte «virtù trinitarie», poiché rendono possibili i rapporti trinitari. Dimensione femminile necessaria sia alle donne che agli uomini per essere se stessi.

Trinità:
in che senso «programma sociale»?

«La santa Trinità è il nostro programma sociale». Questa frase (che si trova nel secolo scorso in teologi delle chiese ortodossa, anglicana e luterana, ma sembra avere origini già in S. Sergio, il grande monaco ortodosso russo del sec. XIV10), è tra quelle più citate oggi dagli autori che parlano del rapporto tra socialità umana e Trinità.

Di fronte a una tale espressione bisogna però aver chiare due cose. La prima, che quello che l’Amore unitrinitario ci offre come «programma» non sono, ovviamente, delle ricette tecniche preconfezionate, ma un quadro di riferimento, una scala di valori, delle idealità, uno stile e qualità di vita, un’utopia (nel senso positivo di dover-essere, di meta ideale verso la quale tendere), così pienamente umani da poter essere condivisi, nei valori che veicolano e nelle loro conseguenze pratiche, da persone di altre fedi e convinzioni.

La seconda, che non possiamo cadere in una sorta d’integrismo, cioè nell’ingenuità di pretendere d’incarnare il vangelo e la vita trinitaria nella società senza traduzioni e mediazioni storiche. Non basta vivere l’amore evangelico a livello personale o in micro-iniziative, è necessario che esso passi alla società, si traduca in strutture e progetti sociali. Altrimenti si rischia di fermarsi a un livello «spirituale», interpersonale, o alle opere d’assistenza: tutte cose valide e necessarie, ma insufficienti a trasformare la società in senso trinitario.

Evidentemente qui stiamo accennando solo a indicazioni di base e generali. Gli esperti ed operatori nei vari campi – politica, economia, giustizia, educazione, sanità, arte, e via dicendo – sono coloro che hanno il compito, arduo ma affascinante, di calare la dinamica trinitaria nel concreto.

«La Trinità, versione dell’Assoluto inaudita per qualsiasi fede religiosa non cristiana, combatte con l’uomo come l’angelo con Giacobbe, per farsi accogliere da lui per accoglierlo in Sé. È la Trinità che preme sul pensiero, sui rapporti interpersonali, per informarli di Sé... Fino a quando l’uomo non trasformi in trinità le sue categorie trasformando in trinità la sua vita. Con un lavoro secolare la Trinità sta trasformando, per purificazione e dilatazione, la comprensione di Dio che l’uomo aveva elaborato... Dagli abissi della cultura d’oggi deve esplodere una vita nuova e pensare nuovo. Una vita che sia già fin d’ora trinità... Un elaborare istituzioni e strutture che calino per quanto è possibile queste realtà nella prassi di tutti i giorni... Occorre dilatare queste realtà. Farle entrare in tutte le espressioni dell’uomo»11.

Trinità:
ispirazione e criterio della storia

Ecco quindi la grande sfida dell’umanità di oggi: pensare «trinitariamente» tutta la vita sociale e le strutture in cui essa si organizza.

Questa è la convinzione dei cristiani: nella Trinità c’è la grammatica, la chiave per interpretare e per impostare praticamente l’esistenza. E tale è la loro responsabilità: contribuire con i fatti ed il pensiero ad esplicitarlo nella storia, in tutte le sue immense virtualità12.

È chiaro però che non si tratta di una questione «confessionale». Ogni essere umano che si muove nel senso della solidarietà, del servizio, della partecipazione, del rispetto e della valorizzazione di ogni legittima diversità, è mosso dallo Spirito di Dio e agisce secondo il programma trinitario che è scritto nel «codice genetico» dell’umanità.

Allora si tratta di una realtà solo psico-sociologica? Neppure. La vita trinitaria ci è stata svelata in pienezza dal Cristo e per renderla possibile egli ci ha manifestato e inviato il suo Spirito. Teologicamente si direbbe: ogni nostra espressione trinitaria ha, in modo consapevole o meno, un fondamento cristologico-pneumatologico.

Altrimenti ci sarebbe un doppio rischio. Coloro che dicono di non avere fede potrebbero prendere il paradigma trinitario come una chiave suggestiva, socialmente funzionale per più motivi, ma senza un fondamento in Dio. Mentre i cristiani potrebbero vedere la vita trinitaria come un modello da copiare solo esteriormente. L’uno e l’altro atteggiamento, pur con i loro risvolti positivi, sarebbero incompleti e quindi diminuerebbero la dimensione a cui è chiamata la socialità umana.

E ciò perché la nostra vita si muove secondo il modello ma allo stesso tempo nella interiorità della vita trinitaria. La vita unitrinitaria di Dio non è solo lo «stampo», ma la fonte della nostra vita. «La rivelazione ci è stata data non per soddisfare la nostra curiosità, ma per farci migliori» (J.H. Newman), per trasformare e divinizzare la nostra vita. Dio non si è solo autorivelato, la realtà più sconvolgente è che Dio-Trinità si è autocomunicato, ci ha fatto partecipi della sua stessa vita.

Come ha fatto notare il teologo ortodosso G. Larentzakis, «nel passaggio tanto citato del vangelo di Giovanni (17,21), “che tutti siano uno”, spesso ci si ferma lì, dimenticando il seguito, molto più importante: “come tu Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola” Certamente quella frase si riferisce alla profonda comunione dei cristiani tra di loro, ma anche alla comunione tra Dio e gli esseri umani».

Anche se c’è una mutua implicanza tra l’amore a Dio e al prossimo, l’esperienza mostra quanto sia importante trovare il giusto ordine delle cose: è la nostra unione con Dio la radice del nostro amore sociale. Come dice il Concilio Vaticano II, «con quanta più stretta comunione saranno uniti (i cristiani) col Padre, col Verbo e con lo Spirito, tanto più intimamente e facilmente potranno accrescere le mutue relazioni fraterne» UR 7)13.

In un prossimo articolo vorremmo aggiungere altre caratteristiche tipiche della dinamica trinitaria vissuta socialmente, in base all’esperienza pluridecennale di un carisma tipico del nostro tempo.

Enrique Cambón

1)   Nella prima parte seguirò, abbastanza liberamente, il pensiero di B. FORTE (cf. Trinità cristiana e realtà sociale, in: Asprenas, 2 (1986), 360-364; ID. Trinità come storia,Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1985, 181-184).

2)   Per un’introduzione alla visione di Dio nella teologia della liberazione, cf. gli articoli di R. MUÑOZ, J. COMBLIN e L. BOFF in: I. ELLACURIA - J. SOBRINO, Mysterium Liberationis. I concetti fondamentali della teologia della liberazione, Ed. Borla, Roma 1992 (ognuno di questi autori ha poi un volume più ampio dedicato allo stesso tema, pubblicati in italiano dall’Ed. Cittadella); cf anche G. GUTIÉRREZ, Parlare di Dio a partire dalla sofferenza dell’innocente, Queriniana, Brescia 1986; ID., Il Dio della vita, Queriniana, Brescia 1992.

3)   L. BOFF, Trinità e società, Cittadella Ed., Assisi 1987, 294-295; lo stesso autore ha scritto successivamente un’opera più breve, che può considerarsi una versione divulgativa della precedente e che è stata giudicata persino più riuscita: ID., Trinità: la migliore comunità, Cittadella Ed., Assisi 1990.

4)   E’ un testo di J. MOLTMANN, i cui abbondanti scritti trinitari esistono in traduzione italiana. Il brano citato (che si trova anche in altre sue opere) l’abbiamo preso da una sua conferenza a Napoli pubblicata in: Sulla Trinità, M. D’Auria Ed., Napoli 1982, 36.

5)   C. LUBICH, cit. in: M. CERINI, Dio Amore nell’esperienza e nel pensiero di Chiara Lubich, Città Nuova Ed., Roma 1991, 92.

6)   Dichiarazione ecumenica sul culto mariano (Saragozza, 9 ottobre 1979) n. 2, in: Il Regno/Documenti, 19 (1979) 473. Si tratta di un documento firmato da studiosi delle chiese cattolica, ortodossa, anglicana, luterana, riformata ed «evangelicals».

7)   Cf. B. FORTE Maria, la donna icona del Mistero, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1989 (spec. la terza parte, dove si troverà anche bibliografia sulla più recente impostazione trinitaria della mariologia).

8)   Come rilevano Paolo VI nella Marialis Cultus e Giovanni Paolo II nella Redemptoris Mater.

9)   C. LUBICH, cit. in: L.M. SALIERNO, Maria negli scritti di Chiara Lubich, Ed. Città Nuova, Roma 1993, 71.

10) Cf. G.M. ZANGHÌ, Dio che è Amore. Trinità e vita in Cristo, Città Nuova Ed., Roma 19922, 143.

11) ID., in: Il problema ateismo, Roma 1986, 222 ss.

12) Cf. P. CODA, Dio Uno e Trino, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1992 (per i rapporti fra Trinità e socialità, vedi soprattutto «Prospettive sociali», 262 ss.).

13) «Convivere con la Trinità dentro di noi dispone l’animo a convivere poi con Gesù nei fratelli» (C. LUBICH, Detti Gen, Città Nuova Ed., Roma 1969, 38).