Il presbiterio? Una famiglia!

 

 

 

 

«Il vostro collegio presbiterale... unito al vescovo come le corde alla cetra»

 

Il presbiterio? Una famiglia!

 

di Irineu Roque Scherer

 

Tutti sappiamo che i preti non sono né dei funzionari, né dei meri esecutori di ordini, né dei francotiratori. Oggi si riconosce sempre di più il presbiterio diocesano come un «corpo», che cerca di muoversi armonicamente nella vita pastorale e di crescere in un'autentica fraternità. Un sacerdote del sud del Brasile, vicario generale e incaricato per la formazione del clero, ci mette al corrente degli sforzi che si stanno realizzando in questa direzione nel presbiterio della sua diocesi.

 

Quando  parecchi  anni   fa,   insieme  ad altri sacerdoti ho conosciuto la spiritualità del Movimento dei focolari, c'è stata una certa diffidenza da parte di alcuni sacerdoti della diocesi e dello stesso vescovo di allora. Avevano il timore di «perderci», che la vita del Movimento ci allontanasse dalla diocesi o che ci facesse diventare qualcosa di diverso, una specie di religiosi, che magari ricevono direttive anche da un'altra parte...

Ho avuto modo invece di costatare che quando un carisma ecclesiale entra nella vita di una persona, se è autentico, l'aiuta a realizzare più pienamente il disegno di Dio su di lei. Dal momento che ogni carisma è prima di tutto una riscoperta più fresca, più viva, più adatta ai tempi, del vangelo, la prima cosa che fa è «rievangelizzare» la persona, trasformare tutta la sua vita. È una grazia che fa vedere tutto in una nuova luce, da una nuova prospettiva. Sembra di trovare il vangelo per la prima volta: lo si conosceva, lo si studiava, lo si predicava, ma curiosamente mancava l'attenzione a viverlo minutamente, in ogni aspetto della vita. Questa «rivitalizzazione», che porta pienezza, gioia, tanti frutti nell'evangelizzazione, è stato un primo effetto che ha prodotto in me l'incontro con questa spiritualità.

Però devo aggiungere che il carisma del Movimento dei focolari, trattandosi della spiritualità dell'unità, mi ha offerto soprattutto una comprensione più profonda e la ricerca costante di una vera comunione con il vescovo e con gli altri sacerdoti della diocesi. Per cui mi sono ritrovato ancora più «prete diocesano».

 

Ci si muove «a corpo»

Puntando su quest'unità col vescovo e con gli altri sacerdoti, sono nate alcune esperienze interessanti. Un fatto sintomatico della direzione in cui cerchiamo di muoverci, è stata la comunione di beni che abbiamo fatto fra i sacerdoti della diocesi per dare una biblioteca ai nostri seminaristi che non avevano possibilità di acquistare i libri necessari per i loro studi. Al di là della funzionalità della cosa, ciò stabiliva un rapporto tra i seminaristi ed i preti, e costituiva un segno della fraternità che volevamo esistesse fra tutti. Anche se sembra una cosa piccola, non è stato facile, perché non si è abituati a muoversi in questo modo.

Fatto questo primo passo è risultato più agevole farne un secondo. C'era il problema delle vacanze: dove le trascorrono i sacerdoti, come, quando? E così è nata l'idea di acquistare un terreno, sempre attraverso la comunione dei beni tra di noi, e costruire insieme una casa sulla spiaggia della nostra regione. Oggi essa non solo ci serve per andarvi liberamente quando lo desideriamo, ma abbiamo preso l'impegno di passarvi là la prima settimana di gennaio (nell'emisfero sud l'estate comincia il 21 dicembre), insieme con il vescovo, tutti i 33 sacerdoti che costituiamo il presbiterio della diocesi.

Dopo naturalmente ognuno è libero di continuare a fare le vacanze come crede; alcuni restano nella casa, altri vanno dai familiari o altrove. Ma quella settimana insieme è preziosa. Non solo perché si approfitta anche per scambiare vedute, per aggiornarsi reciprocamente su aspetti pastorali o teologici, per confrontarsi su tematiche di attualità, ecclesiali, sociali, politico-economiche, e così via; ma anche perché in quel clima disteso, di vacanze, è più facile costruire un ambiente di famiglia tra i sacerdoti. È logico che questo influisce poi sull'andamento del presbiterio per il resto dell'anno. Ad esempio migliora la qualità dei raduni che facciamo regolarmente, dove diventa più facile affrontare le varie problematiche, grazie alla confidenza e al rapporto che già esiste fra tutti.

In questo contesto, un altro aspetto che abbiamo portato avanti già da dieci anni è stato affrontare insieme tutti gli spostamenti  necessari nella diocesi. Il vescovo fa la «consulta-zione» con tutti noi insieme. E si procede in questo modo. Il vescovo, nell'ultima riunione dell'anno, invita ognuno a raccontare come si sente nel proprio impegno pastorale: se sta bene, se ha difficoltà, se è stanco e quindi ha bisogno di un periodo di riposo, se vuole cambiare posto, se ha delle esigenze di studio e di aggiornamento, ecc.

Quello che mi ha colpito quest'anno è che più della metà abbiamo detto di essere disponibili a cambiare per andare a lavorare dove la diocesi ha bisogno.

In quest'incontro, dopo che tutti hanno parlato e sono stati ascoltati, ci si divide in gruppi di lavoro, e ogni gruppo propone idee, suggerimenti, un progetto globale di quegli spostamenti che pensano opportuni per migliorare la diocesi. Dopo si fa il consiglio plenario con il vescovo, che ascolta tutti i progetti, e già in quel momento dice qualcosa del suo pensiero, sulle cose che gli sembrano immediatamente più evidenti. In seguito il vescovo fa i colloqui con ognuno, per andare più a fondo e vedere più concretamente le varie esigenze e possibilità. Però lo fa già con una visione d'insieme, che viene dalla comunione con tutti i sacerdoti, i quali a loro volta sono diventati protagonisti e compartecipi nella conduzione della diocesi.

 

«Proporre ciò che siamo e sperimentiamo»

Una conseguenza di questo modo di agire è l'aver potuto programmare per tutti la possibilità di una formazione permanente. Sappiamo bene quanto questo sia necessario nel mondo d'oggi, anche a livello professionale oltre che spirituale. Così anche per i sacerdoti, perché possano crescere nelle loro conoscenze, avere la possibilità di cogliere meglio l'evolversi della società ed i segni dei tempi, rinnovarsi spiritualmente e rifarsi fisicamente... Per cui abbiamo visto insieme in quale periodo potrebbe essere conveniente per ognuno spendere del tempo per lo studio e per la formazione fuori della diocesi, in modo da sapere già in quale anno si avrà la possibilità di uscire e poter così regolarsi di conseguenza. Ovviamente poi tutto cambia quando si ritiene necessario, ma è tanto utile avere almeno questo programma di massima, visto insieme.

Un altro aspetto che affrontiamo è la preoccupazione per la salute del sacerdote. Abbiamo fatto una «cassa comune» dove tutti noi preti della diocesi depositiamo il 5% del nostro salario mensile. Questo fondo si utilizza per aiutare i sacerdoti in difficoltà, quando perché ammalati o per altre circostanze, non ricevono soldi sufficienti.

Adesso siamo anche in procinto di costruire un'altra casa, ma questa volta dentro la diocesi, che possa costituire un punto di riferimento e di incontro per tutti i sacerdoti, anche con spazi per lo sport. Eventualmente in futuro cercheremo di attrezzarla in modo che vi possa abitare anche qualche sacerdote malato o anziano che lo desideri.

In questo modo cerchiamo che la vita di presbiterio tra di noi non si riduca a incontri operativi per programmare delle attività. Desideriamo occuparci non soltanto della pastorale, ma della persona dei sacerdoti. Vorremmo che la chiesa-comunione che oggi viene così riscoperta e valorizzata teologicamente e nei documenti ecclesiali, si concretizzi prima di tutto fra di noi. Come potremmo generare l'unità nelle nostre comunità se non cerchiamo di viverla noi per primi? Vorremmo poter proporre agli altri quello che noi, almeno in qualche misura, già siamo e sperimentiamo.

Irineu Roque Scherer