Dall'America Latina un organismo pioniere nel suo genere

 

Il primo consiglio episcopale continentale

 

di Anuar Battisti

 

Si è così abituati alle strutture di comunione oggi esistenti nella Chiesa, che spesso non si è coscienti del fatto che fino a pochi decenni fa non esistevano, né quale novità abbia significato la loro nascita, né di quale utilità essa sia stata . Presentiamo una breve descrizione del CELAM, istituzione che ha aperto la strada nei riguardi degli organismi che coordinano le Conferenze episcopali nei vari Continenti. Ci è offerta dal segretario esecutivo di uno dei suoi Dipartimenti, assieme alla testimonianza personale dell'atteggiamento con cui lui stesso cerca di lavorare all'interno di quella struttura, affinché essa serva il più possibile gli obiettivi comunionali per cui è sorta.

 

Prima di tutto bisogna chiarire  un  malinteso che si trova spesso nei mezzi di comunicazione, e in cui si cade alle volte all'interno della Chiesa stessa: il CELAM non è la «Conferenza» episcopale latinoamericana, ma il «Consiglio episcopale latinoamericano», a servizio delle 22 Conferenze episcopali del continente.

Forse la confusione viene dal fatto che tra le sue attività, esso ha la funzione di organizzare le Conferenze generali dell'episcopato latinoamericano, di cui le più famose sono state quelle di Medellín (1968), Puebla (1979) e Santo Domingo (1992).

Oltre a queste Conferenze generali ce n'è stata una nel 1955 a Rio de Janeiro, dove è nato il CELAM. Un altro dato poco conosciuto è che uno degli obiettivi del CELAM è stato quello di promuovere il consolidamento o la nascita delle stesse Conferenze episcopali nazionali.

Bisogna riconoscere che in quegli anni «lontani», è stato di grande lungimiranza far sorgere un tale organismo per affrontare le esigenze pastorali comuni a tutta l'America Latina, e per rispondere insieme alle problematiche sociali gravissime che affliggono queste nazioni.

 

A servizio della comunione

Uno degli equilibri più delicati e preziosi che il CELAM ha cercato sempre di salvare, è quello di non sostituirsi o sovrapporsi alle Conferenze episcopali. Infatti cerca di promuovere l'intercomunione fra di esse, intervenendo in quei settori dove le Conferenze non arrivano e lo fa a loro richiesta, studia inoltre i problemi d'interesse comune ed offre criteri d'azione per favorire l'integrazione dei lavori pastorali, promuove gli organismi e movimenti della Chiesa a livello continentale perché possano muoversi con maggiore coordinazione ed efficacia, e via dicendo.

Come si sa, la prima volta che Giovanni Paolo II ha utilizzato l'espressione «nuova evangelizzazione»  poi promossa instancabilmente a livello universale  è stato ad Haiti (1983), confermando precisamente che «il CELAM è a servizio di una Nuova Evangelizzazione, nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione».

 

Organizzazione

Fanno parte del CELAM i presidenti di tutte le Conferenze episcopali, un delegato per ogni Conferenza nominato da esse, i membri della presidenza (includendo il segretario generale) ed i direttori dei suoi dipartimenti e sezioni. Sono inoltre specialmente vincolati ad esso i vescovi membri delle varie commissioni episcopali, il comitato economico, e coloro che hanno ricevuto uno speciale incarico da parte della presidenza.

I dipartimenti sono: catechesi, comunicazione sociale, educazione, laici, pastorale famigliare, liturgia, missioni, pastorale sociale, vita consacrata, vocazioni e ministeri.

Le sezioni che coprono altre aree dell'attività pastorale sono: ecumenismo e dialogo religioso, gioventù, pastorale della cultura.

Inoltre i segretariati attendono ad aspetti specifici: non credenti, pastorale dei santuari, pastorale militare e pastorale della mobilità umana.

Esiste infine  un Istituto teologico-pastorale (ITEPAL),  per  la formazione di agenti di pastorale, che oltre all'insegnamento si occupa di ricerca e documentazione, e al quale sono uniti i Centri di documentazione ed informatica e la biblioteca generale. Un centro di pubblicazioni permette la diffusione dei numerosi studi e conclusioni dei convegni promossi dal CELAM per affrontare i più svariati ed attuali argomenti pastorali e teologici.

Dopo esperienze isolate in alcune Chiese, a partire da Medellín sono stati offerti dei piani per una pastorale organica a tutto il continente. L'attuale piano globale (il quinto) comprende il periodo 1991-95. Più che un piano d'azione è un servizio organico di aiuto per le Conferenze, d'accordo con la natura e lo stile del CELAM, e si situa nella prospettiva di Santo Domingo su: «Nuova evangelizzazione, promozione umana e cultura cristiana».

 

Vivere e promuovere l'unità

Dentro l'organizzazione del CELAM, da due anni lavoro come segretario esecutivo del dipartimento di vocazioni e ministeri.

Per me costituisce un'esperienza molto ricca, nel  cuore  della Chiesa  latinoamericana, dove posso contribuire all'unità tra le diverse Commissioni delle vocazioni delle Conferenze episcopali, attraverso incontri, convegni, corsi, pubblicazioni, contatti personali.

Tutte le attività sono programmate a partire da una commissione di sei vescovi, che si rinnova ogni quattro anni, i quali s'incontrano due volte l'anno, seguendo nelle loro riflessioni e indicazioni pratiche gli orientamenti del piano globale di pastorale approvato nell'assemblea generale.

Portare poi alla pratica le linee che emergono, diventa per me sempre più una sfida, dal momento che non basta realizzare delle attività, ma è necessario uno spirito che le animi. Come diceva Paolo VI nella Evangelii nuntiandi, soltanto lo Spirito è capace di suscitare «l'umanità nuova a cui l'evangelizzazione deve mirare, con quella unità nella varietà che l'evangelizzazione tende a provocare» (n. 75).

Al di là delle naturali limitazioni umane, constato sempre che le persone che hanno un'esperienza concreta di unità, sono quelle che più riescono a far sì che le strutture siano veramente a servizio della comunione. Infatti personalmente mi è stata preziosa l'esperienza a riguardo fatta in precedenza con altri sacerdoti nell'ambito del Movimento dei focolari. Se è vero che dialogare è più ascoltare che parlare, devo dire che quella spiritualità è stata per me una «scuola» di ascolto vero di fronte ad ogni persona che trovo. Mi ha insegnato a valorizzare il positivo di ogni essere umano e di ogni istituzione ecclesiale con cui entro a contatto, a cercare di servire disinteressatamente, a non fermarmi davanti alle difficoltà che, com'è ovvio, si trovano in questo tipo di lavoro, a muovermi con un atteggiamento di fede per ascoltare la volontà di Dio attraverso i vescovi...

 

Esperienza di comunione: esigenza più sentita nei seminari

Per ciò che riguarda l'organizzazione dei corsi e degli incontri, un aspetto a cui do molta importanza è di non prendere mai una decisione da solo. C'è il rischio che qualcuno interpreti questo atteggiamento come mancanza di sicurezza, come dipendenza dagli altri o mancanza di criteri propri. È vero invece  il contrario: quando mi metto in rapporto con gli altri, in atteggiamento di ascolto, proponendo anche ciò che penso, avverto che i frutti sono molto più abbondanti. Così ad esempio per scegliere i temi degli incontri, gli esperti per parlare, ecc., sempre faccio uno scambio di idee con il vescovo responsabile o con altri sacerdoti con più esperienza. E in questi due anni non ho trovato nessuna persona delusa per la partecipazione a questi incontri.

In essi cerco di coinvolgere, per quanto mi è possibile, tutti i partecipanti, dalle decisioni più elementari come l'orario o la formazione dei gruppi di lavoro, fino allo sviluppo dei temi e alle conclusioni. Questo modo di agire fa sì che tutti si sentano protagonisti.

In genere, nel dialogo con i formatori, si sente la necessità urgente di costituire un'équipe all'interno dei seminari, che sia riflesso di quella comunione e fraternità che dovrebbe informare tutta la comunità.

Mi è molto piaciuta l'osservazione del documento sulla preparazione dei formatori dei seminari della Congregazione per l'educazione cattolica: «Il formatore che vive dalla fede educa più per ciò che è che per ciò che dice» (n. 27). Per cui, nel corso di 4 mesi organizzato l'anno scorso per 38 formatori (diocesani e religiosi) di 12 Paesi diversi, dall'inizio ho detto a tutti che la cosa fondamentale non sarebbero stati gli studi e letture di documenti e libri di teologia che avremmo fatto, poiché questo potevano farlo nei loro posti di provenienza. L'importante sarebbe stata l'esperienza di comunità che avremmo potuto costruire insieme in quei mesi. In questo modo non avremmo portato ai nostri seminari soltanto una teoria bensì un'esperienza.

Così le lezioni, lo studio a gruppi, le liturgie, lo sport, erano organizzati da quelli che chiamavamo «gruppi di vita». La cosa più importante è stata che questi gruppi si trovavano due volte la settimana per condividere la vita, le esperienze personali, e in quei momenti era «proibito» parlare di studio. Posso dire che questo è stato determinante per il ritmo di tutto il corso e per l'esperienza personale di ognuno.

Nel bilancio finale che abbiamo fatto insieme, è stato questo l'aspetto più apprezzato da tutti. Alcuni dicevano che era stata la prima volta in cui avevano avuto l'opportunità di parlare della propria vita e di essere ascoltati. Altri dicevano: «Voglio portare questa esperienza in seminario, specialmente fra la nostra équipe di formatori». È in questa linea che stiamo lavorando in tutti i corsi e gli incontri, perché è la necessità più sentita dai formatori e nei presbitéri diocesani.

Da parte mia, avverto che questo tempo a servizio di questo organismo continentale, ha rinnovato il mio ministero, mi ha dato un cuore più universale, facendomi conoscere ed amare di più la Chiesa, con le sue luci e anche con i suoi limiti che, come diceva ancora Paolo VI, non sono altro che la manifestazione dei suoi bisogni.

Anuar Battisti