Intervista a mons. Miloslav Vlk,
presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee

 

Per la comunione tra le Chiese

 

a cura della Redazione

 

In questo numero dedicato alle strutture ecclesiali di comunione, presentiamo una tipica espressione di tali organismi: il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE); la sua fisionomia; la sua funzione a servizio della comunione fra le Chiese. Lo facciamo attraverso un protagonista d'eccezione, il suo nuovo presidente, l'arcivescovo Miloslav Vlk, metropolita di Praga e primate della Boemia dopo la caduta del regime comunista. Per parecchi anni impedito di esercitare il ministero, si era guadagnato da vivere lavando i vetri di uffici e negozi 1. La sua elezione a presiedere il Consiglio è stata significativa per più motivi, come si desume anche dalle sue parole.

 

 

Cenni storici e obiettivi attuali

 

GEN'S: Potrebbe sintetizzarci com'è nato il Consiglio e quali sono i suoi obiettivi a servizio della comunione tra le Chiese d'Europa?

 

Il CCEE fu fondato nel 1971 per promuovere la collaborazione tra le Chiese europee. È un organismo simile ad altri che esistono nella Chiesa cattolica a livelli continentali: CELAM per l'America Latina (dal 1955), SEDAC per l'Asia (dal 1970), FABC nell'Africa (dal 1972). In un primo momento il CCEE era composto da delegati delle 17 conferenze episcopali dei Paesi dell'Europa occidentale, essendo quelle dell'Est impedite di prenderne parte. Oggi, dopo gli avvenimenti dell'89, esso rappresenta tutte le Chiese europee. A partire dall'aprile dello scorso anno, dopo la richiesta del cardinale Martini, allora presidente del CCEE, volentieri accolta dal Papa, ne fanno parte  al posto dei delegati  gli stessi presidenti delle 30 Conferenze nazionali, oltre ai 3 vescovi dei Paesi dove non esistono Conferenze episcopali (cioè Russia, Bielorussia e Lussemburgo).

Per cogliere la portata del servizio che questo organismo deve prestare alla Chiesa, basta menzionare che l'Europa è abitata da 720 milioni di abitanti, dei quali più del 40% sono cattolici (circa 300 milioni). Essi vivono in 680 diocesi con quasi un migliaio di vescovi.I principali compiti attuali del CCEE sono stati così sintetizzati nel gennaio scorso dallo stesso Giovanni Paolo II: «Occorre provvedere alla promozione di una sempre più intensa comunione fra le diocesi e fra le Conferenze episcopali nazionali, all'incremento della collaborazione ecumenica fra i cristiani ed al superamento degli ostacoli che minacciano il futuro della pace e del progresso dei popoli, al rafforzamento della collegialità affettiva ed effettiva della communio gerarchica... Mediante il CCEE la Chiesa cercherà di infondere alla comunità continentale un “supplemento d'anima”, ravvivando in essa quella che potrebbe dirsi “l'anima dell'Europa”».

 

 

Comunione vissuta

 

GEN'S: Cosa le sta particolarmente a cuore per il suo compito in un tale organismo?

 

«È necessario che le Chiese di Dio, presenti in Europa, si stringano in forte unità di intenti e di opere», ci scriveva ancora il Papa l'anno scorso in un suo messaggio. Credo che questa sia la prima priorità del CCEE. E ciò non ha solo un valore psicologico o sociale, ma soprattutto ripropone l'importanza del fatto che Gesù Cristo è là dove due o tre sono riuniti nel suo nome, con la verità e gli effetti trascinanti che questa sua presenza provoca.

La collegialità tra i vescovi e la nostra comunione con il Papa, non è solo una frase, ma il punto di partenza. Non dobbiamo limitarci a fare conferenze e simposi. Il CCEE continuerà a promuovere tali incontri di studio con tutta serietà, ma affinché il mondo creda occorre approfondire l'«essere uno» come Cristo ha chiesto al Padre.

 

 

Attenti ai segni dei tempi

 

GEN'S: Il CCEE vuole anche essere attento, nella sua riflessione e nell'azione che promuove, all'uomo concreto, alle culture dei popoli, ai «segni dei tempi»...

 

In effetti, non è possibile evangelizzare l'Europa senza tener conto dell'ora che essa vive. Dobbiamo comprendere le esigenze di libertà, di democrazia, di collaborazione che la percorre. Rievangelizzare non vuol dire tornare indietro. La Chiesa non può non essere attenta ai segni dei tempi.

Ripeto sempre che una grande sfida per noi è saper unire la «causa uomo» con la «causa Dio». Da una parte dobbiamo approfondire le nostre radici in Dio e nel vangelo, perché se cadiamo in un umanesimo che pretende risolvere con le sole forze umane i problemi del mondo ci troveremo impotenti: senza Dio anche i valori umani autentici non trovano il loro fondamento e le persone che vogliono portarli avanti rischiano, a lungo andare, di svuotarsi. Ma dall'altra dobbiamo sempre aprirci all'essere umano concreto ed ai suoi problemi.

Cercare giustizia per gli oppressi e promuovere solidarietà è la nostra strada come fu quella di Gesù. Questo dobbiamo farlo ancora più decisamente. Il «come» dipenderà anche dal superamento della nostra cultura egoistica e dal progressivo affermarsi di una nuova cultura, la «cultura del dare».

 

 

Grandi tematiche da sviluppare

 

GEN'S: In questo contesto, quali sono i grandi temi che il CCEE sta studiando e a cui vuol dare nuovo impulso?

 

Sono tanti e importanti. Accenno soltanto ad alcuni di quelli trattati negli incontri organizzati dal Consiglio in questi anni.

Dal 1984 il CCEE ha promosso la creazione di un gruppo internazionale sulla pastorale dei migranti e delle minoranze etniche. Oggi esistono nel mondo 100 milioni di persone che hanno dovuto abbandonare la loro patria, alla ricerca di lavoro o come rifugiati. Di essi circa 40 milioni sono immigrati in Europa. Per cui si è realizzato un incontro di studio con rappresentanti di 17 Paesi europei, presieduto dall'arcivescovo di Lussemburgo Fernand Franck, sul tema «Occasioni e rischi delle migrazioni in Europa: un nuovo contesto. Come risponde la Chiesa alla xenofobia?». Queste sono state le importanti linee operative per le Chiese cattoliche d'Europa, improntate sulla ricerca di comunione, emerse in quell'incontro: «Aiutare a creare atteggiamenti positivi nei confronti dei “non connazionali”che vivono nei diversi Paesi europei; valorizzare ed evidenziare ciò che unisce; aprire gli animi agli altri: solo l'apertura agli altri esorcizza la paura; rendere le comunità cristiane più calorose nell'accoglienza dello straniero; realizzare una pastorale “intercomunitaria”tra parrocchie territoriali e missioni etniche con gli stranieri e non solo per essi; sviluppare iniziative sociali ed umanitarie a favore dei rifugiati e richiedenti asilo; favorire uno sviluppo solidale dei popoli; operare sempre più nella prospettiva dell'ecumenismo e del dialogo interreligioso». Nell'ottobre scorso si è organizzato un altro convegno su «La Chiesa in Europa, comunità riconciliata di popoli ed etnie».

Sempre nell'84, si è creato il comitato episcopale europeo dei media, che nell'aprile scorso ha realizzato un incontro di pastorale della comunicazione sociale su «I valori del Vangelo, la cultura dei media e la ricostruzione dell'Europa».

A febbraio c'è stato in Germania l'incontro per vescovi responsabili della pastorale biblica e per esperti di pastorale biblica delle Conferenze episcopali europee, al quale hanno assistito rappresentanti di 21 Paesi, sul tema «La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa in Europa oggi e domani».

Inoltre negli anni scorsi sono stati svolti diversi simposi, tra cui «I giovani e la fede» (1979), «Secolarizzazione ed evangelizzazione» (1985), «L'atteggiamento odierno di fronte alla nascita ed alla morte» (1989). L'ultimo, e forse quello che ha riscontrato un'eco più vasta, fu realizzato nel settembre scorso a Praga su «Vivere il Vangelo nella libertà e nella solidarietà» 2. Credo che a questo livello si trovi una delle grandi scommesse che ci attendono sia all'Ovest (dove ci si è impegnati molto nel sociale ma oggi si sente l'esigenza di maggiore spiritualità), come all'Est (dove si avverte che la nuova libertà da sé non basta ed i miraggi consumistici dell'Occidente non possono che deludere). Come ho detto nelle conclusioni del simposio, se manca la solidarietà, la libertà intristisce.

 

 

Dimensione ecumenica

 

GEN'S: Una dimensione fondamentale della comunione è la ricerca dell'unità attraverso l'ecumenismo. Come sono i rapporti del CCEE con le altre Chiese cristiane d'Europa?

 

Il dialogo ed i contatti ecumenici sono praticati dal CCEE fin dalla sua nascita. Non si può evangelizzare l'Europa se le Chiese cristiane sono isolate l'una dall'altra. Il cammino ecumenico è indispensabile per la rievangelizzazione.

Siamo convinti che il nostro continente, da lungo dilaniato dalle divisioni, debba impegnarsi in modo vigoroso perché siano superate quanto prima.

In Europa già dal 1959 esiste il KEK, cioè la Conferenza delle Chiese Europee che raduna 120 chiese protestanti, ortodosse, veterocattoliche e anglicane. Circa ogni tre anni i rappresentanti del KEK e del CCEE si trovano ufficialmente per una riflessione ecumenica. Un incontro è previsto per il maggio 1995.

È stato creato un comitato consultivo comune tra KEK e CCEE per l'ambiente e lo sviluppo (intendendo sviluppo non soltanto come crescita economica), con lo scopo di mettere in pratica le indicazioni dell'assemblea ecumenica di Seul del 1990 su «Giustizia, pace e salvaguardia del creato». Da un'indagine è risultato che le Chiese sono tra i soggetti più attivi nel rendere consapevoli ed educare sui temi dell'ambiente e dello sviluppo. Allo stesso tempo manca ancora coordinazione tra le Chiese, per cui all'inizio del '95 si troveranno dei loro rappresentanti di tutto il continente, per elaborare criteri e linee comuni per uno «sviluppo durevole».

In questo modo le nostre Chiese vogliono offrire il loro contributo alla questione ambientale in vista dell'anno dedicato alla conservazione della natura proclamato dal Consiglio d'Europa per il 1995.

È stata pure costituita, dal 1987, una commissione mista sotto il nome «Islam in Europa», nata per il dialogo e la collaborazione con i musulmani, sempre più presenti tra noi. In una nuova Europa che si unisce non può mancare il dialogo con le grandi religioni.

Nell'Est i cristiani delle diverse Chiese abbiamo sofferto insieme, e ciò unisce nelle cose essenziali. Sotto i regimi marxisti erano più difficili gli incontri tra i dirigenti delle varie Chiese, ma ciò sta crescendo adesso. Vorrei che questa nostra esperienza fosse uno dei contributi che le Chiese dell'Est portano al Consiglio, incoraggiando e sviluppando quanto è stato fatto sinora.

L'ultimo passo, che giudico di grande rilievo, l'abbiamo dato nella nostra ultima assemblea generale realizzata a gennaio in Germania. Abbiamo proposto un'Assemblea ecumenica europea (dopo quella di Basilea dell'89 su «Giustizia, pace e salvaguardia del creato») che si realizzerà nel maggio 1997,  invitando a tal fine il KEK a intensificare nei prossimi anni i nostri contatti a tutti i livelli, in ambito regionale e nazionale.

Scopi di tali incontri dovrebbero essere: dare una comune testimonianza di fede di tutti i cristiani; incoraggiare e stimolare le iniziative ecumeniche; prendere in esame e riconsiderare i conflitti esistenti; prendere sul serio la comune responsabilità di fronte allo Stato e alla società; lavorare insieme nell'ambito caritativo ed essere all'altezza, insieme, delle esigenze dell'amore del prossimo specialmente di fronte ai deboli, agli svantaggiati...

 

 

«Vangeli viventi»

 

GEN'S: Ci permetta qualche domanda più personale. Abbiamo visto in televisione una sua lunga intervista 3, nella quale le chiedevano come vive il suo inatteso incarico a Praga, e se sia cambiato qualcosa nel suo rapporto con la gente...

 

Chi non ha vissuto quella specie di «miracolo» che è stato il crollo così improvviso dei regimi marxisti, difficilmente può capire quale sorpresa ed incanto abbiamo sentito di fronte alla libertà. Diventare vescovo era qualcosa d'imprevedibile e oggi la mia sorpresa continua con la nomina a presidente della CCEE.

Ovviamente quell'euforia dei primi tempi è passata. Adesso siamo entrati nella quotidianità, nei numerosi, vasti e complessi problemi da affrontare, ci troviamo con una impreparazione per gestire questa libertà, non abbiamo degli esperti, ci mancano delle strutture e delle persone che sappiano gestirle, non siamo abituati a dialogare con la società, e via dicendo.

Quando pulivo i vetri per le strade avevo un contatto diretto, permanente, con la gente, e non voglio perderlo per il fatto che adesso ho da svolgere un altro servizio. Cerco di sfruttare tutte le occasioni perché esso continui. Dopo le liturgie, quando vado a fare le cresime, mi sforzo di cercare il rapporto con tutti, facciamo una specie di «udienza pubblica», per valorizzare il popolo di Dio e costruire l'unità.

 

GEN'S: Che influsso ha l'esperienza precedente nel suo ministero attuale?

 

In primo luogo la coscienza che prima di parlare del vangelo devo viverlo. Allora non avevamo mezzi né grandi possibilità di organizzare delle attività, per cui o vivevamo il vangelo o morivamo come cristiani. Quella realtà non dobbiamo dimenticarla in nessuna situazione. Nel medioevo si usava tanto l'arte visiva come «Biblia pauperum»; oggi la Bibbia che tutti possono capire è quella narrata dalla nostra vita concreta, vivendo il vangelo e collaborando con tutti nel far crescere nella società i valori del Regno.

Dobbiamo parlare con la «parabola» della nostra vita al mondo che ci circonda, il quale vuole vedere, toccare e sperimentare che il vangelo è vivo e vero. Questo vale per il mio Paese ma anche per tutti, per rispondere alle sfide epocali e portare avanti una nuova evangelizzazione.

C'è un altro aspetto dell'esperienza precedente che non vorrei perdere. Quando ero nell'impossibilità di muovermi, ho sperimentato che Dio è vicino anche se noi non possiamo fare niente. Adesso che ho molte possibilità di agire e sono chiamato a tante responsabilità, c'è il pericolo di buttarmi a lavorare con le mie energie, con i miei pensieri. Invece devo radicare tutto nell'unione con Dio e nell'unità con gli altri, ascoltando i miei collaboratori, sapendo perdere talvolta anche le mie idee. In questo modo cerco di agire non solo umanamente con le mie forze, ma lasciando fare allo Spirito di Dio.

Devo far passare le mie attività attraverso la croce, le perdite, attraverso l'impossibilità di fare qualcosa che vedo o di non arrivare a fare quello che vorrei. La croce è molto fedele nella mia vita, anche oggi, seppure in modo diverso, in tutti questi compiti. E anch'io voglio essere fedele a Gesù crocifisso. Questa è la luce e la forza della mia vita.

 

a cura della Redazione