Strutture a servizio della comunione: alcuni criteri operativi

 

«Metodologia» di comunione

 

di Vincenzo Zani

 

La Chiesa si avvale di strutture e di organismi che le consentono di vivere e di evangelizzare. Non ci può essere vita senza qualche tipo di struttura che la sostenga. Ma l'asse portante di ogni realtà ecclesiale, ciò che deve contraddistinguerla, è la «tensione all'unità». Il fraterno amore reciproco e la conseguente unità di stile trinitario dev'essere l'origine e la finalità di ogni progetto nella Chiesa. Quali caratteristiche deve avere la nostra azione per costruire la comunione anche attraverso le strutture? L'autore, senza pretese di esaurire l'argomento, ci propone dieci criteri, radicati nel vangelo e frutto della sua esperienza.

 

 

In  ogni servizio pastorale,  l'elemento che qualifica la sua autenticità evangelica è l'atteggiamento di costante tensione a quell'unità chiesta da Gesù al Padre, cioè sostanziata dalla vita trinitaria.

1. Per costruire questo tipo di unità è richiesto uno stile di vita, un modo di essere che precede e impregna ogni azione, fatto tra l'altro di accoglienza, di ascolto profondo, di morte al proprio egoismo, di valorizzazione del positivo degli altri, di donazione continua seguendo le ispirazioni dello Spirito Santo, di misericordia verso le limitazioni altrui, e così via. Poiché le strutture non sono altro che la cristallizzazione dei rapporti interpersonali, un tale tipo di atteggiamenti influisce e si trasfonde anche negli organismi ecclesiali.

2. Avere sempre presente il progetto globale che si sta realizzando nella propria Chiesa locale, e in esso inserire il nostro particolare ambito di azione. Questo metodo di conoscere e rifarsi sempre all'universale per giungere al particolare, consente: di costruire sul concreto il rapporto di unità con il vescovo e con gli altri responsabili della pastorale, di non sovrapporsi ad altri settori pastorali, di concretizzare un servizio mirato, cioè realizzato con razionalità ed efficacia evangelica.

3. Vivere il proprio lavoro come espressione della volontà di Dio e come impegno a edificare il Regno nell'umanità. Se ciò vale per ogni occupazione umana, acquista una valenza decisiva quando viene riferito alla necessità di rendere evangelizzatrici le strutture della Chiesa. È implicito in un tale atteggiamento l'impegno di acquisire la massima competenza nel proprio specifico campo d'azione. Il lavoro svolto con «professionalità», qualificata e aggiornata, accresce anche l'autorevolezza della Chiesa nell'attuare con incisività la nuova evangelizzazione.

4. Poiché il ruolo ricoperto è una responsabilità «ecclesiale», è evidente che ciò che si fa per perfezionare la parte rifluisce come contributo alla crescita di tutto il corpo. Ciò comporta il valorizzare e cercar di far maturare in tutti la coscienza della responsabilità nei riguardi del proprio settore di competenza. In altri  termini,  far  crescere  una  parte  in  vista del bene comune deve andare di pari passo con  il  prendere coscienza che la comunità ecclesiale deve valorizzare ogni sua più piccola espressione. La  grandezza di coloro che hanno delle responsabilità sta sempre nell'attenzione alla persona concreta e a ogni settore, senza perdere la visione dell'insieme e degli obiettivi.

5. Nel lavoro pastorale non ci si deve sentire «padroni» e detentori di un «potere». Al contrario è necessario servire concretamente e lealmente avendo il senso del relativo, sapendo confrontare, revisionare, perdere, aspettare, rimandare, ricominciare. Vale la pena richiamare alla mente le immagini evangeliche dell'agricoltore e i detti sapienziali dei tempi diversi: quello della semina e quello del raccolto.

6. Programmare accuratamente il proprio lavoro con cadenza annuale, mensile, settimanale, quotidiana, aperti sempre ovviamente agli imprevisti. Farsi aiutare quando non si è portati o non si è pratici in questa programmazione. Considerare il fatto che in ambito pastorale il criterio dell'efficacia deve essere sempre integrato con quello della sapienza. Questa scaturisce dalla tensione costante a fare le cose secondo il progetto di Dio, sempre attenti a cogliere e ad interpretare i segni dei tempi.

7. Vivere l'informazione come un metodo che costituisce parte integrante della pastorale. Questo vale all'interno, come impegno di aggiornare sempre i responsabili ed i colleghi sulle attività che si svolgono; vale anche all'esterno nel saper utilizzare i mezzi di comunicazione, mettendo in circolazione i fatti positivi, ed anche le problematiche, colte con obiettività, ma cercando una prospettiva propositiva e di soluzione.

8. In fase di programmazione sottoporre i propri progetti e proposte agli organismi di comunione ecclesiale (consigli pastorali, commissioni, consulte, giunte operative). Si tratta di rendere questi organismi protagonisti e punti di riferimento della comunione, «perdendo» in essi le proprie idee così da purificarle e ampliarle.

9. In fase operativa coinvolgere e responsabilizzare tutte le forze sul campo. Il tempo investito nel far reciprocamente conoscere, collaborare e stimare tra loro le diverse realtà di aggregazione, è sempre tempo prezioso e ottimamente impiegato. Testimoniare lo spirito di un lavoro in comune offrendo percorsi e iniziative maturati dalla collaborazione tra più settori.

10. In tutto applicare sempre il principio sapienziale: «È meglio il meno perfetto in unità che il più perfetto in disunità».

Vincenzo Zani