Istituzione e carisma nel mutuo ascolto dello Spirito

 

È lo Spirito che crea la comunione...

 

di Christoph Hegge

 

 

Chi volesse circoscrivere l'azione dello Spirito Santo esclusivamente dentro le strutture della Chiesa cattolica e delle altre Chiese cristiane somiglierebbe ad un bambino che tentasse di rinchiudere nel suo palloncino tutta l'atmosfera. D'altra parte, pensare che Egli abbia abbandonato la Chiesa-istituzione per agire solo al di fuori di essa o addirittura contro, sarebbe dichiarare il fallimento della missione che Gesù stesso riconosceva allo Spirito Santo nella sua Chiesa. Se egli, dunque, agisce con liberalità divina dentro e fuori le Chiese, dove e quando vuole, a noi spetta riconoscere la sua presenza e seguire le sue indicazioni.

 

 

Già  prima del  Concilio Vaticano II tanti cattolici, sotto l'impulso dello Spirito, avevano riscoperto la Parola di Dio come forza ispiratrice del loro vivere quotidiano, la liturgia come luogo dove si poteva sperimentare la presenza rinnovatrice del Signore e la Chiesa come corpo mistico di Cristo. Molti laici acquistavano una rinnovata autocoscienza di essere non soggetti passivi, ma membri attivi della Chiesa, chiamati a condividere in modo organico il mistero della comunione con Dio e fra di loro per il bene di tutta l'umanità.

Merito, tutto questo, del movimento liturgico e di quello biblico, delle varie associazioni di carattere apostolico come l'Azione Cattolica, gli istituti secolari e i nuovi movimenti ecclesiali che, facendo uscire la santità dalle ormai anguste mura dei monasteri, la riversavano nei campi aperti del mondo laicale. Questa nuova vitalità ecclesiale spingeva Pio XII a scrivere due famose encicliche: la Mystici Corporis e la Mediator Dei. La prima metteva in luce il ruolo essenziale di tutto il popolo di Dio nella Chiesa e l'uguaglianza di tutti i suoi membri per il battesimo, riconoscendo che esso ci unisce anche alle altre Chiese cristiane; la seconda voleva riportare la liturgia alla sua funzione vitale per i cristiani.

Il Vaticano II confermava questa dottrina e l'approfondiva, aprendo nuovi orizzonti. In questo contesto i movimenti ecclesiali nati prima del Concilio e gli altri che si aggiungevano dopo, dimostravano una fecondità apostolica particolare. I loro membri, essendo in maggioranza laici e lavorando negli ambienti laicali, riuscivano a provocare vere conversioni alla fede, un'autocoscienza di vivere nello Spirito e una profonda comunione non solo spirituale ma spesso anche una condivisione dei beni materiali.

Si assisteva per tanti versi ad un ritorno al cristianesimo dei primi tempi.

Ma anche negli ambienti tradizionali della Chiesa, come le diocesi e le parrocchie, il Concilio fece sentire il suo influsso con la creazione di nuove strutture di comunione, come i consigli pastorali, i consigli presbiterali, i sinodi, ecc.

 

Ma dov'è lo spirito del Concilio?

Purtroppo, però, dopo un breve periodo di euforia subentrava in molti luoghi  una lunga fase di stagnazione ed anche di delusione. Questo si può spiegare in parte perché è mancata una vera ed effettiva corresponsabilità dei fedeli in queste «strutture di comunione» o perché non sapevano usarle e quindi non ne vedevano i frutti e, una volta passato l'entusiasmo della novità, abbandonavano lo sforzo; e in parte anche  soprattutto in Europa  a causa di una perdita di spiritualità con la conseguente incapacità di accogliere ed integrare in una visione evangelica gli avvenimenti di rivolta sociale e morale degli anni '60-'70.  Per questa ed altre motivazioni, iniziava quel grande «esodo» dalle Chiese tradizionali, che perdura fino ad oggi.

Mentre le strutture tradizionali della Chiesa risentono tuttora di questi contraccolpi, sono sempre più numerose le aggregazioni ecclesiali che promuovono una vita spirituale seria e una comunione nello Spirito molto impegnata, incidendo positivamente in ambienti secolarizzati.

In questa panoramica, per tanti, le strutture di comunione suscitate dal Concilio Vaticano II sembrano divenute organismi piuttosto pesanti ed amministrativi, invece di essere luoghi dove si vive e si sperimenta la presenza del Cristo. È stato facile allora sollevare il sospetto che ancora una volta nella storia della Chiesa le strutture e le istituzioni corrano il rischio di soffocare il soffio rinnovatore dello Spirito.

L'azione dello Spirito Santo da una parte e le strutture ed istituzioni ecclesiali dall'altra, vengono spesso presentate come opposte ed inconciliabili. Lo Spirito a volte è inteso come principio vitale in contrapposizione a tutto ciò che è strutturato e che produrrebbe il lento affievolimento e la morte. Si considera lo Spirito come il simbolo dell'incalcolabilità assoluta, perché spira dove vuole (Gv 3, 8), il principio della dinamicità contro la manifestazione della continuità e della tradizione. Ancora altri lo intendono come colui che provoca l'immediata comunione tra gli uomini e Dio, dispensando da ogni forma di mediazione umana o istituzionale.

D'altronde sorge spontanea la domanda: può mai esserci opposizione tra l'opera di Gesù e quella dello Spirito Santo?

 

Chiesa istituzione e Spirito Santo

La Chiesa  così come viene intesa dal Concilio  è certamente un accadimento dello Spirito Santo e scaturisce dall'evento pasquale di Cristo. È lo Spirito di Cristo, la sua dinamica salvifica di vita, morte e resurrezione che coinvolge i cristiani, facendoli Chiesa: Corpo Mistico di Cristo (LG 7), tempio dello Spirito Santo (LG 4; 9; 17), popolo di Dio in tutta la varietà delle sue espressioni (LG cap. II). Non si può scindere l'azione dello Spirito Santo dall'evento storico-salvifico di Cristo. In Cristo, Dio si lega alla storia, diventando ed assumendo la nostra storicità peccaminosa: per noi Dio «lo ha fatto peccato» (2 Cor 5, 21). Nella croce di Gesù la nostra salvezza, la nostra riconciliazione, diventa definitivamente visibile e presente nella storia umana; si può dire che viene storicamente «istituzionalizzata». Questo è anche il significato fondamentale di istituzione o struttura: la parola della riconciliazione è «piantata» nella terra, è «conficcata» nella croce del Golgota. Così l'evento pasquale di Gesù è il sacramento basilare della Chiesa.

Rendendo presente nella Chiesa il Cristo pasquale lungo la storia, lo Spirito Santo fa di essa il sacramento visibile per il mondo, «un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (LG 1). La Chiesa, da parte sua, vivendo nello Spirito Santo l'esistenza pasquale del Cristo morto e risorto, assume e permea l'umanità nella sua interezza e si esprime nella storia in segni umani ed esterni, dando loro un significato nuovo, perché diventino espressione della comunione trinitaria di Dio con noi e tra di noi nell'amore reciproco. La Chiesa è perciò, allo stesso tempo, «comunità di fede, di speranza e di carità», «comunità spirituale», ma nelle condizioni umane spazio-temporali, cioè società organizzata e strutturata, «comunità visibile» (LG 8). Nella corporeità di Cristo, morto e risorto, Dio si lega alla Chiesa e alla storia umana, servendosi di segni visibili e di strutture e istituzioni umane, dove lo Spirito Santo agisce senza esserne prigioniero nella misura in cui noi non lo soffochiamo.

 

Strutture ecclesiali: mezzi salvifici dello Spirito

Come si rapportano allora l'azione dello Spirito Santo, che è lo Spirito di Cristo, e la Chiesa storico-visibile e strutturata?

Prima di tutto si deve affermare che dalla Pentecoste fino ad oggi lo Spirito Santo è il garante della continuità sostanziale tra la predicazione del Regno di Dio di Gesù e la Chiesa istituzionalizzata postpasquale, secondo le stesse parole di Gesù: «Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future» (Gv 16, 13).

È lo Spirito che dopo la Pasqua stimolerà i discepoli a continuare l'opera di Gesù, raggruppandoli attorno agli apostoli, vivendo la carità reciproca, celebrando l'Eucaristia e stimolandoli a portare la salvezza a tutti gli esseri umani. Così la Chiesa è diventata, sotto la guida dello Spirito, «forma storico-sociale» che rappresenta continuamente e permanentemente l'amore tra il Padre e il Figlio, sacramento universale di salvezza (LG 48) per tutta l'umanità.

A questo scopo devono servire le istituzioni che si trovano nella Chiesa: da quelle che risalgono direttamente a Gesù come la predicazione, il battesimo e l'Eucaristia, fino a quelle che sono nate dalla tradizione delle singole Chiese. Certamente c'è istituzione ed istituzione: non si può mettere sullo stesso piano il battesimo e una norma del diritto canonico. Ci sono istituzioni ecclesiastiche adatte a certi tempi e inutili e dannose in altri contesti storici e culturali. Quando tali istituzioni diventano obsolete e non sono più all'altezza del loro compito devono essere aggiornate o abbandonate. A ragione diceva K. Rahner che «il problema della distinzione tra la sostanza e la forma storicamente condizionata è uno dei compiti più essenziali e urgenti dell'ecclesiologia».

Lo Spirito Santo svolge nella Chiesa una duplice azione: si serve delle istituzioni per garantire l'universalità e l'unità della Chiesa stessa, così come si serve dei suoi impulsi carismatici per spingere la Chiesa e l'umanità verso un continuo rinnovamento. Egli  per dirla con un esempio preso in prospettiva cattolica  agisce nel papato e nel collegio episcopale, perché sia fedele al suo ministero d'unità, ma opera anche in tutti gli altri membri del Corpo di Cristo con una grande varietà di carismi che, pur mantenendo l'unità, favorisce la pluralità delle forme nell'obbedienza di tutti all'unico Signore della Chiesa.

In sintesi si potrebbe dire che lo Spirito Santo attua la salvezza degli uomini nella loro storia per mezzo della predicazione del vangelo, la celebrazione dei sacramenti, la comunione e la comunità universale di tutti i fedeli, servendosi, quindi, di mezzi «istituzionalizzati»; contemporaneamente, però, agisce nel cuore di ogni essere umano e nella storia di ogni popolo dentro e fuori le istituzioni, suscitando novità imprevedibili ma sempre in continuità con il messaggio di Gesù, come dispiegamento e attualizzazione del vangelo. Non dovrebbe esserci perciò contrasto tra Chiesa-istituzione e Carisma, ma mutuo ascolto dello stesso Spirito.

 

Strutture e vita trinitaria

Ciò detto si spiega più facilmente il senso delle cosiddette strutture di comunione o strutture di corresponsabilità introdotte dal Concilio Vaticano II. Prendiamo ad esempio la parrocchia. Mentre prima, per tanti motivi storici, l'attività e la missione della parrocchia dipendeva quasi interamente dal parroco, il Concilio ha voluto sottolineare che tutti i fedeli sono corresponsabili della missione della Chiesa (cf CIC cann. 204 § 1, 208, 212 § 3) ed ha istituito il consiglio pastorale parrocchiale.

Naturalmente questo richiede da parte di tutti, a cominciare dal parroco, un atteggiamento di servizio e di ascolto reciproco, come quello di Gesù, sempre pronto a dare la sua vita per noi, perché solo così lo Spirito Santo può penetrare e agire nelle strutture. Quando questo avviene, il consiglio parrocchiale  per rimanere nell'esempio che abbiamo scelto  diventa non solo lo strumento ma anche il luogo dove si realizza e si sperimenta la comunione ecclesiale.

Ma, perché ciò possa succedere, non basta cambiare il vocabolario e continuare con la stessa mentalità e gli stessi atteggiamenti di prima. Non basta, ad esempio, parlare di autorità come servizio con lo scopo in fondo di farne accettare un uso più o meno autoritario. Essa è servizio nella misura in cui è impregnata di amore evangelico, che concretamente tende a raggiungere l'unanimità.

Allo stesso tempo non si può negare un servizio di guida nella Chiesa, che trova il suo fondamento nel Nuovo Testamento. Il BEM (il documento «Battesimo, Eucaristia, Ministero», del Consiglio ecumenico delle Chiese) al n. 16 dice: «Qui devono essere evitati due pericoli. Da una parte, l'autorità non può essere esercitata senza riguardi per la comunità. Gli apostoli erano attenti all'esperienza e al giudizio dei credenti. D'altra parte, l'autorità dei ministri ordinati non deve essere talmente ridotta da renderli dipendenti dall'opinione comune della comunità. La loro autorità riposa sulla loro responsabilità di esprimere la volontà di Dio sulla comunità».

Da ciò si vede che il problema non sono tanto le strutture, necessarie nella nostra condizione umana, quanto quali sono le strutture che sono fedeli al vangelo e adeguate ai tempi, e quale uso di esse noi facciamo.

 

Le strutture dipendono dalle persone

Le strutture di comunione non sono da confondersi con la comunione vissuta: attraverso di loro lo Spirito ci ricorda che dobbiamo vivere in comunione e ci spinge a farla emergere. Solo persone educate alla comunione, esperte in essa, sapranno usare le strutture in senso comunionale. Ciò non può avvenire per una forza magica.

Prendiamo ad esempio il Vaticano II, che Giovanni XXIII ha chiamato «novella Pentecoste» e che è stato sotto tanti aspetti un brillante prototipo di struttura di comunione nella storia contemporanea. L'episcopato cattolico mondiale per fare questa esperienza di comunione dovette percorrere un cammino non facile, perché la comunione è sempre radicata nel comportamento pasquale-kenotico di Gesù. Anche l'esercizio del primato dovette battere questa strada evangelica. Basti ricordare gli sforzi spesso dolorosi di Paolo VI che varie volte intervenne nel Concilio per cercare di accogliere al massimo le richieste della minoranza, evitando possibili scissioni.

Avvenne così nel Concilio che i Padri non imposero l'opinione di una maggioranza contro una minoranza ma, valorizzando il contributo dei singoli e dei gruppi, raggiunsero quasi sempre l'unanimità 1. Questa tensione all'unità fu, senza alcun dubbio, la sfida più proficua per i Padri stessi e indicò un cammino per arrivare ad un nuovo stile di vita che deve informare tutti gli organismi della Chiesa.

Certamente le strutture di comunione, a tutti i livelli, rappresentano una continua sfida ad una vita comunionale. Esse sono il permanente ricordo o il costante invito ad essere e a diventare sempre più segno tangibile-visibile di quella comunione intratrinitaria a cui le istituzioni sono chiamate. Nella misura in cui si avvicinano a questa meta esse diventano evangelizzatrici.

I movimenti ecclesialiali  e non solo loro  non devono scandalizzarsi o scoraggiarsi di fronte alla lentezza e alle involuzioni, inevitabili nel cammino umano, ma offrire con la loro esperienza un contributo vitale nel rendere sempre più comunionali anche le strutture ecclesiali.

 

Christoph Hegge