La comunione deve incarnarsi in strutture per divenire storia
Intervista al teologo Piero Coda

 

Quale comunione

per le strutture ecclesiali?

 

a cura di Enrique Cambón

 

Oggi il concetto di Chiesa-comunione è al centro della riflessione teologica: in cosa esso consiste? Quali conseguenze implica tale concezione per le strutture ecclesiali e per la missione della Chiesa nella storia? Sono alcune delle problematiche fondamentali alle quali la seguente intervista intende offrire dei chiarimenti.

 

 

Ecclesiologia di comunione: presenza viva del Cristo Risorto

 

GEN'S: Il Sinodo straordinario dei vescovi (1985) ha affermato che l'ecclesiologia di comunione è stata «l'idea centrale e fondamentale» nei documenti del Concilio Vaticano II. Nell'esplicitare poi cosa s'intende per tale concetto, lo si suole identificare con la «Chiesa eucaristica», dal momento che è l'Eucaristia che ci fa uno. Qual è il rapporto tra Eucaristia e comunione nella Chiesa?

 

Mi sembra che nell'ecclesiologia di comunione del Vaticano II certamente ha giocato un ruolo determinante  dal punto di vista storico-genetico e poi anche dell'approfondimento  il tema dell'ecclesiologia eucaristica, soprattutto nella sua origine orientale (della Chiesa ortodossa).

Ci sono stati, e ci sono tutt'ora, degli studi di grande valore su questo tema. Però mi sembra che sia un po' riduttivo identificare l'ecclesiologia di comunione con l'ecclesiologia eucaristica, perché vanno tenuti presenti due altri elementi per comprendere tutta la ricchezza di queste realtà.

Il primo  presentissimo nel Vaticano II  è quello del primato della Parola di Dio, che è ribadito anche dal Sinodo dell'85, che parla appunto della Chiesa «sub Verbo Dei». La Chiesa nasce dalla Parola di Dio e insieme dal sacramento e quindi occorre sempre tener presente questa dimensione che, tra l'altro, ci mette in rapporto profondo anche con l'eredità della riforma protestante.

Il secondo elemento di cui bisogna tener conto è quello della carità vissuta tra le persone. Qui mi rifaccio a una intuizione molto profonda di Chiara Lubich, che più volte, con grande semplicità ma andando al cuore del mistero cristiano, sottolinea che sono tre gli elementi da cui nasce la Chiesa: la Parola di Dio, il battesimo e in pienezza l'Eucaristia, la carità reciproca. Questi tre elementi sono collegati tra loro in modo inscindibile. La Parola e l'Eucaristia, infatti, non sono altro che la trasmissione sacramentale della grazia di Dio in Cristo, per mezzo dello Spirito Santo. Ma questa trasmissione della grazia, culminante appunto nell'Eucaristia, dev'essere attivamente assunta dai discepoli nella vita della carità reciproca e del servizio. Se manca questa libera e attiva assunzione e traduzione in pratica della grazia ricevuta dalla Parola e dal sacramento dell'Eucaristia, questa grazia non è efficace storicamente, non si traduce cioè di fatto in novità di vita della Chiesa nella storia.

È, questa, una considerazione tanto elementare quanto decisiva, e sorprende come talvolta non venga abbastanza sottolineata quest'ultima (e originaria!) conseguenza della recezione del sacramento dell'Eucaristia, che è appunto la messa in pratica, nella reciprocità e nel servizio, della grazia ricevuta. Solo così si ha quella che la 1 Gv chiamerebbe la «perfezione» dell'amore, nel senso della grazia/carità donata che si fa evento tangibile e credibile nella storia. Questo sottolinea anche, in definitiva, qual è il rapporto tra Eucaristia e comunione: la carità vissuta, grazie alla Parola e all'Eucaristia, si esprime in pienezza nell'unità, che è la presenza del Cristo risorto nella storia. Questa è la realtà più profonda della Chiesa! Non è il Cristo che vive per la grazia nel singolo credente che ha ascoltato la Parola e ha ricevuto l'Eucaristia, ma è la presenza del Cristo risorto che si attua pienamente là dove due o tre, riuniti nel nome di Cristo (cf Mt 18, 20) per la Parola ricevuta e l'Eucaristia, vivono consapevolmente il comandamento dell'amore reciproco e il comandamento del servizio agli ultimi. Così, e solo così, ognuno dei discepoli diventa progressivamente  per l'unità e nell'unità  un altro Cristo. Questa è la Chiesa comunione vissuta.

 

 

L'ecclesiologia dei movimenti

 

GEN'S: Ti ho sentito una volta dire che i nuovi movimenti ecclesiali esprimono una nuova ecclesiologia. In che senso?

 

Bisogna innanzi tutto cercare di approfondire che cosa sono, dal punto di vista teologico, i movimenti ecclesiali. Normalmente la realtà dei movimenti viene affrontata nelle sue conseguenze pastorali o (più profondamente) nella sua caratteristica di fenomeno di rinnovamento spirituale. Ma essi, poiché sono una presenza suscitata dallo Spirito Santo nella Chiesa di oggi, hanno certamente anche una portata teologica. È un dato costitutivo della vita della Chiesa la presenza di grandi carismi donati dallo Spirito Santo che rappresentano un momento di approfondimento del mistero cristiano e di nuova energia per metterlo in pratica, in rapporto alle congiunture storiche e allo sviluppo stesso della storia umana. Un grande movimento spirituale, com'è stato nel passato, ad esempio, quello francescano, ha alla sua origine un carisma, cioè una luce e una energia nuova di lettura e di incarnazione del Vangelo nel «kairós» storico.

Rahner e von Balthasar, in alcuni loro studi ormai divenuti famosi  il primo sull'elemento dinamico della Chiesa, il secondo sulla presenza dei carismi e della santità nella vita della Chiesa  hanno sottolineato, con accenti diversi ma convergenti nella sostanza, che un grande carisma, proprio per questa sua funzione ecclesiale, mette in gioco sempre una scoperta che la Chiesa fa di se stessa: una scoperta in cui la Chiesa si trova di fronte a un'immagine più grande e più nuova di quella che essa stessa fino a quel momento aveva di sé. Un grande carisma configura sempre, in radice, lo stimolo a un rinnovamento di autocomprensione e di autoconfigurazione della Chiesa. Questa convinzione  si badi bene  non la traiamo solamente dalla tradizione della Chiesa ma dalla Scrittura stessa. Penso ai discorsi del Paraclito nel vangelo di Giovanni dove si parla dello Spirito che guida alla verità tutta intera (cf Gv 16, 13), che «prendendo» da ciò che Cristo ha rivelato lo rivela più pienamente (cf Gv 16, 14-15) e rende i discepoli, nel cammino storico, capaci di capire e di vivere ciò che in un tempo storico precedente non erano ancora capaci di «portare» (cf Gv 16, 12).

In questo senso mi sembra che alcuni dei nuovi movimenti ecclesiali  quelli alla cui radice è chiaro che c'è un grande carisma spirituale  costituiscono certamente una rilettura e una capacità di mettere in atto una visione più larga e più profonda della vita della Chiesa. Basti pensare, per non fare che un illustre riferimento storico, a ciò che hanno rappresentato per l'autocomprensione e l'autoconfigurazione dell'ecclesiologia del Medioevo gli ordini mendicanti, come ha sottolineato Ratzinger nel suo famoso studio su questo tema: non solo nel senso della nascita di una forma nuova di vita religiosa, ma anche per la figura del ministero ordinato e per il rapporto tra queste nuove forme di vita religiosa e il primato petrino. D'altra parte, la teologia è abbastanza indietro su questo punto: forse perché i movimenti non hanno ancora espresso una riflessione teologica capace di tradurre in modo comprensibile la ricchezza dei loro carismi, e forse anche perché la teologia è stata troppo poco attenta a leggere e cercare di capire la novità che lo Spirito Santo, anche attraverso questi carismi, offre come dono alla

Chiesa di oggi.

 

 

Sacerdozio comune e profilo mariano

 

Uno degli elementi di novità che vorrei sottolineare in questa ecclesiologia che emerge dai movimenti e che è in strettissima sintonia con quella del Vaticano II, è proprio la comunione: lo stimolo cioè a riconfigurare i rapporti e le vocazioni ecclesiali secondo la prospettiva della carità e della comunione. In alcuni dei grandi movimenti ecclesiali di oggi, partecipano al carisma d'origine persone di tutte le vocazioni, condividendo un tipo di vita secondo modelli di rapporto che non sono quelli tradizionalmente configurati nel passato nella vita normale della comunità ecclesiale. Senza che ciò significhi sovvertire questi rapporti (quelli, per esempio, tra laicato, ministero ordinato, vita religiosa), ma piuttosto rimetterli in gioco, mantenendo però la propria identità in una prospettiva in cui è sottolineata di più l'eguale dignità battesimale e in cui i rapporti sono ripensati e vissuti in una chiave comunionale, relazionale, trinitaria. E qui il grande tema teologico e pastorale che occorre approfondire è quello del rapporto «strutturale» tra la recezione del Concilio e l'azione dello Spirito Santo attraverso i carismi nella storia.

Un altro esempio  e qui mi rifaccio specificamente alla figura del carisma dell'unità del Movimento dei focolari  è rappresentato dall'emergere di quello che von Balthasar e Giovanni Paolo II hanno definito il «profilo mariano» della Chiesa. Mi sembra che questo fatto implica non solamente l'emergere nella coscienza della Chiesa di una sua dimensione tipica  che è appunto quella mariana insieme a quella apostolico-petrina , ma anche una configurazione storica precisa di questo profilo, che non rimane solamente sul livello dell'intuizione mistica ma si esprime in quello dell'operatività storica. E questa, evidentemente, è una novità ecclesiologica di cui è difficile prevedere la portata e le conseguenze in futuro.

 

 

Scuole di ecclesiologia di comunione

 

GEN'S: Evidentemente una Chiesa-comunione potranno realizzarla soltanto delle persone esperte nel vivere l'unità. In un tuo articolo accennavi che «occorrono scuole di ecclesiologia di comunione». Cosa intendevi?

 

L'espressione «scuola di ecclesiologia di comunione» è di Giovanni Paolo II, che ha voluto che si celebrasse il Sinodo della Chiesa di Roma e gli ha dato questa precisa finalità: che il Sinodo si trasformasse in una scuola in cui potesse essere praticata, vissuta e sperimentata l'ecclesiologia di comunione del Vaticano II, e, di conseguenza, che i frutti del Sinodo, codificati poi nelle decisioni del «Libro del Sinodo», fossero impregnati di questa visione e diventassero principi operativi della pastorale in questa prospettiva.

Mi sembra molto importante questa indicazione, perché oggi occorre una pedagogia di vita ecclesiale imperniata sui criteri nuovi proposti dall'ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Non è una cosa che si improvvisa. Il Vaticano II ha rappresentato il passaggio epocale da un'ecclesiologia di stampo più giuridico-societario a un'ecclesiologia di comunione, ma occorrono delle persone, e in primo luogo dei «pastori» che, avendo fatto proprio fino in fondo lo spirito di questa ecclesiologia, sappiano concretamente guidare le proprie comunità a comprenderlo e a viverlo. Ed è ovvio che, trattandosi di un'ecclesiologia di comunione, si può viverla e comprenderla solamente nella reciprocità di rapporto tra le varie vocazioni ecclesiali. Occorrono delle scuole di ecclesiologia di comunione, dunque, nel senso che occorrono delle realtà vive in cui sperimentare e imparare a far sperimentare l'ecclesiologia del Vaticano II.

Spesso i corsi di approfondimento sull'ecclesiologia del Vaticano II rimangono troppo teorici e astratti, e non badano alla concretezza dei rapporti. Soprattutto non si bada al fatto che queste scuole possono essere rappresentate anche, se non certe volte in forma privilegiata, da quelle realtà nuove che lo Spirito Santo ha suscitato in concomitanza del Concilio Vaticano II. Penso ancora, conoscendola in prima persona, all'esperienza del Movimento dei focolari che, con i suoi raduni, le sue Mariapoli, la vita di unità tra i membri delle diverse vocazioni, rappresenta una grande scuola di ecclesiologia di comunione che forma non solo i membri del Movimento a livello personale, ma li rende capaci, nei loro diversi ambienti di vita ecclesiale e sociale, di diventare fermento e formatori di altri formatori.

 

Strutture ecclesiali:
incarnazione storica della comunione

 

GEN'S: Qual è il rapporto tra la nuova coscienza della comunione che si fa strada nella Chiesa, e le strutture, organismi, mediazioni, attraverso cui bisogna concretizzarla?

 

È un rapporto fondamentale. Alcune volte, probabilmente per una certa stanchezza e una certa disillusione, si avverte che vengono sottovalutate le nuove forme di partecipazione e di corresponsabilità che sono nate dal Concilio Vaticano II (penso ai consigli presbiterali, ai consigli pastorali, ai Sinodi...). Sono invece delle realtà assolutamente necessarie, perché l'ecclesiologia di comunione non rimanga a livello dei principi, ma diventi, con tutta la difficoltà delle cose umane e la lentezza dei tempi umani, carne e sangue di tutto il popolo di Dio. Queste strutture sono necessarie anche perché possono diventare degli strumenti e dei luoghi in cui le esperienze di vita di comunione fiorite, ad esempio, nei movimenti ecclesiali entrano nel grande alveo della Chiesa popolo di Dio e interagiscono con tutte le altre realtà. Queste strutture non sono solo luoghi in cui si realizza l'ecclesiologia di comunione, ma in cui si incontrano tutte le esperienze di vita di Chiesa che sono fiorite in questi anni: penso ai gruppi biblici, alle comunità di base, ai gruppi di preghiera, al fenomeno del volontariato, a tutte le strutture di impegno nel sociale...

Questo mi pare anche un dato fondamentale che l'ecclesiologia del Vaticano II mette in luce: occorre fare molta attenzione alla dinamica dell'incarnazione della vita cristiana nella storia. Certamente, l'ecclesiologia di comunione è un'ecclesiologia pneumatologica, perché, sul fondamento dell'unità in Cristo, mette in luce la dinamicità spirituale dei rapporti e la loro interiorità nella vita trinitaria; ma, allo stesso tempo, è un'ecclesiologia che richiede un'incarnazione, perché questa novità dello Spirito si attua concretamente nella storia attraverso le strutture. Ricordo come Chiara Lubich  parli di un rapporto di analogia tra la divinità del Verbo e la sua umanità, da un lato, e la vita profonda della Chiesa e le sue strutture, dall'altro: un tema che  con tutte le attenzioni per una sua corretta ed equilibrata espressione  ritroviamo in LG 8. Quindi il rapporto tra coscienza di comunione e strutture di comunione è un rapporto di necessità teologica e non semplicemente strategica, perché riflette il mistero dell'incarnazione. Nello stesso tempo dev'essere anche un rapporto che chiamerei di «provvisorietà», appunto perché l'incarnazione delle strutture deve sempre tener conto dell'eccedenza del mistero e di quella che oggi siamo abituati a chiamare la «riserva escatologica»: e cioè la relatività di ogni traduzione storica del mistero e la sua tensione verso il «definitivo» che è sempre opera di Dio.

 

 

Perché non funzionano bene?

 

GEN'S: Quale impressione hai delle strutture di comunione promosse dal Vaticano II e ormai costituite a tutti i livelli della Chiesa? Funzionano?

 

L'impressione è che si è fatto certamente uno sforzo notevolissimo per cercare di dar vita a queste strutture. Penso, per esempio, a livello della Chiesa universale, alla grande novità che è stata l'istituzione del Sinodo dei vescovi e alla promozione delle Conferenze episcopali; e, a livello più locale, ai consigli pastorali, diocesani e parrocchiali, ai consigli presbiterali ecc. Lo sforzo quindi è certamente stato notevole e ci sono anche molti risultati.

Sinceramente devo però dire  anche in base all'esperienza concreta che ho fatto  che non mi sembra che queste strutture riescano del tutto a funzionare bene. Ho partecipato a un Sinodo della Chiesa universale (come esperto) e ho potuto rendermi conto della sua dinamica; ho partecipato a un Sinodo di notevole portata come quello della Chiesa di Roma, e ho pratica quasi normale dei consigli a livello diocesano oltre che di vita parrocchiale. Tutte queste strutture funzionano con difficoltà (come strutture di comunione e partecipazione) perché mi sembra che le persone che sono chiamate a costituirle e a metterle in atto, nella grande maggioranza non hanno avuto la possibilità di avere una formazione adeguata, spirituale e pratica, ai principi di una ecclesiologia di comunione. Tutti, certamente, sono convinti dell'importanza dell'ecclesiologia presentata dal Concilio Vaticano II ma poi, di fatto, non sanno viverla. Questi principi di cui vive l'ecclesiologia di comunione, direi che sono di due ordini.

Innanzi tutto, sono di natura spirituale. Si può qui ricordare quello che diceva Y. Congar: la Chiesa, prima del Concilio Vaticano II, aveva alla sua base un tipo di spiritualità forgiato sul principio dell'obbedienza; mentre l'ecclesiologia del Vaticano II richiede una spiritualità di comunione, il che implica un profondo rinnovamento spirituale nel modo di rapportarsi alla Parola, all'Eucaristia, ai fratelli nell'unico popolo di Dio, nella distinzione dei loro ruoli, ma sulla base anche della loro comune dignità battesimale. Molte volte si vede che in questi organismi non c'è la capacità  non per colpa o cattiva volontà, ma, ripeto, per mancanza di formazione adeguata  di vivere concretamente la comunione con gli altri, di ascoltarsi, di accogliere l'altro come un dono, di convergere verso l'unità, di rispettare la legittima e arricchente diversità.

In secondo luogo, si tratta di principi operativi, che consentono di trovare le formule adatte perché questo rinnovamento spirituale si concretizzi poi in precisi meccanismi di partecipazione e di corresponsabilità: che saranno il modo di affrontare un tema, di attuare il discernimento della situazione, di giungere a un consenso, il modo di prendere delle decisioni, di metterle in atto e di trasmetterle alla comunità. È tutto un campo nuovo e impegnativo da attuare.

Ricordo che al termine del Sinodo della Chiesa di Roma sono stato chiamato a fare una conferenza ad un nutrito gruppo di operatori pastorali, dove ho espresso queste convinzioni. Alla fine tutti hanno detto che questa era la prima se non l'unica cosa da fare, per rendere attiva e attuale questa ecclesiologia.

Vorrei dire che una tale mancanza di formazione e di pratica circa il rinvenimento delle modalità concrete per attuare l'ecclesiologia di comunione esige un notevolissimo e urgente sforzo da parte della Chiesa. Perché, se non si fa questo, il pericolo è grande: da un lato, quello della disillusione, e quindi di ritornare a una vita ecclesiale che si rifugia nel privato (dei singoli e dei gruppi); dall'altro, il pericolo, forse più sottile ma non meno grave, di «strumentalizzare» queste strutture di comunione, lasciandone intatta la forma, ma svuotandole di sostanza. È un pericolo molto grave perché significherebbe non attuare la novità del Concilio Vaticano II.

 

 

Strutture sociali «trinitarie»

 

GEN'S: Quale importanza hanno le strutture ecclesiali di comunione per superare  secondo l'espressione di «Sollicitudo rei socialis»  «un mondo sottomesso a strutture di peccato»?

 

Le strutture di comunione nella vita della Chiesa hanno un valore importantissimo nel senso di rendere attuale il significato più profondo e più radicale della presenza della Chiesa nella storia. La Lumen gentium dice che «la Chiesa è sacramento, cioè segno e strumento in Cristo, dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (LG 1). Questa non è solamente una realtà mistica ma concreta, quando la Chiesa diventa storicamente il segno percepibile e lo strumento efficace di questa comunione con Dio e di questa unità tra gli uomini, e ciò avviene là dove la comunione è vissuta, dove la Parola e l'Eucaristia sono tradotte in pratica nella carità reciproca e nel servizio agli uomini, e dove questo si esprime in una struttura della vita ecclesiale che è adeguata forma e adeguato strumento di questa comunione.

La forza del segno e dello strumento è certamente, da un lato, tutta dalla parte della grazia di Dio, di quello che siamo abituati a chiamare con la teologia scolastica l'ex opere operato. Ma non dobbiamo mai dimenticare che questo implica, dall'altra parte, l'ex opere operantis, nel senso dell'attiva adesione di chi riceve la grazia e la mette in pratica. In questo senso, la Chiesa ha molti passi da compiere per giungere a questa maturità, non solamente sotto il profilo spirituale, ma anche proprio sotto il profilo strutturale. Una Chiesa in cui il rapporto tra i membri e le diverse vocazioni risulti troppo verticistico, troppo burocratico o troppo intimistico, e non faccia emergere, anche attraverso le strutture, la dinamica dell'unità, della pluriformità, dell'eguaglianza nella diversità, certamente non è segno percepibile e strumento efficace di unità.

La Chiesa, in questo senso, proprio partendo da questa sua realtà di comunione, dovrebbe essere la presenza viva della novità dell'amore trinitario nella storia anche come fermento di una socialità nuova. Mi sembra che talvolta non riusciamo a percepire che cos'è la salvezza che Cristo ha portato e che la Chiesa testimonia e realizza. In che senso, infatti, Cristo ci ha salvati e la Chiesa è sacramento di salvezza? Nel senso che ci fa vivere la pienezza della vita come Dio l'ha pensata per l'uomo: la vita della comunione. La salvezza, quindi, è identica alla comunione, una comunione che si vive nella storia e in cui l'uomo si realizza per quello che è possibile già nella storia, anche se tende al suo compimento escatologico. Ed è proprio questa comunione la salvezza che diventa «utopia» non idealistica, ma reale, concreta, dove il mondo e la società possono trovare dei fermenti di rinnovamento e delle linee di luce per il proprio cammino. E questo senza voler essere troppo ecclesiocentrici: perché la Gaudium et spes dice molto giustamente che in questo cammino per realizzare se stessa, come segno e strumento di comunione, come utopia reale dell'unità, la Chiesa impara sì dalla Parola di Dio, ma impara anche molto dal mondo o meglio dallo Spirito Santo che parla anche attraverso le aspirazioni, le conquiste e anche le sofferenze e i problemi più gravi del mondo stesso.

In questo essere segno utopico di superamento e di contestazione delle strutture di peccato presenti nel mondo e di promessa delle strutture nuove della comunione, la Chiesa sa e deve imparare concretamente a scegliere la via regale del dialogo, del confronto, dell'incontro e dello scambio dei doni con tutti gli uomini e tutte le donne in cui sono presenti i semi del Verbo e i gemiti dello Spirito.

a cura di Enrique Cambón