Flash
di vita
Questa rubrica,
aperta alla collaborazione dei nostri lettori, riporta alcune brevi esperienze
che mettono in luce la bellezza di una vita ispirata al vangelo nella normalità
del quotidiano.
Una «tecnica» per
credere
Insegno
religione nella scuola e non è un compito facile. La fede cristiana non può
essere soltanto «materia d'insegnamento». Come fare allora per trasmetterla in
modo vitale? Ho fatto un'esperienza positiva, al riguardo, nelle scuole medie,
condivisa da tanti altri amici «insegnanti» di religione.
Un
giorno parlavamo con gli alunni su Gesù di Nazaret,
sulla società della sua epoca, sul suo messaggio. Seguivano con interesse,
finché qualcuno domandò: «Come sappiamo che tutta questa storia di Gesù e del
suo messaggio non è un'invenzione? La stessa esistenza di Dio, può essere
qualcosa che montiamo noi stessi per rispondere alle domande più dure della
vita, e così farcela più vivibile e tranquilla...».
Non
era la prima volta che ascoltavo domande simili in classe. Nelle altre
occasioni avevo cercato di addurre tante argomentazioni, ma alla fine ognuno
rimaneva con le sue idee. Questa volta ho capito di dover fare altrimenti: non
dovevo affrontare quelle domande come una sfida alle mie conoscenze, bensì come
un'occasione per vivere concretamente il vangelo, facendo miei i loro dubbi e
cercando prima di tutto di ascoltarli e capirli profondamente.
Dopo
aver ascoltato coloro che desideravano esprimere le loro opinioni a riguardo,
domandai a tutta la classe chi di loro credesse in Dio. La maggioranza alzò la
mano. Però quando cercavano di spiegare, in un dialogo sereno ed aperto, le
ragioni che avevano per credere, si avvertiva che non sapevano fondarle con
chiarezza.
Allora
mi domandarono a loro volta se io credessi in Dio e, avendo dato una risposta
affermativa, mi chiesero perché. Raccontai che un giorno, quando avevo più o
meno la loro età, un professore mi propose di fare un'esperienza di fede, e
facendola ho sentito sempre di più la presenza di Dio nella mia vita. Non si trattava
quindi per me di credere in Qualcuno di cui mi avevano parlato, ma di credere
in Colui col quale sperimentavo un rapporto sempre più personale e profondo.
Mi
domandarono allora come si faceva un'esperienza di fede. «Conosco una tecnica
molto semplice risposi . Nel vangelo c'è una frase che dice: A chi mi ama mi
manifesterò<170>; e un'altra: Qualunque cosa avete fatto a questi
piccoli, l'avete fatto a me<170>. Se cominciamo a mettere in pratica la
seconda, ho costatato che si avvera anche la prima».
Chiesi
se ne volevano fare la prova ed accettarono. Così abbiamo cominciato ogni mese
a prendere una frase del vangelo per cercare di metterla in pratica.
Addirittura hanno cominciato a scrivere in un quaderno le esperienze che
andavano man mano facendo.
Quando
gli alunni delle altre classi hanno visto quel quaderno si sono interessati
alla nostra iniziativa. Per cui a poco a poco anche con loro se ne è parlato ed
hanno accettato la proposta. Adesso sono 200 gli alunni con i quali cerchiamo
di vivere la Parola, e nei quaderni si leggono frasi come queste: «anche se a
volte la dimentico, la Parola di vita va imprimendo le sue orme nella mia
vita»; «vivendo così ho cominciato a sentire una gioia che mai avevo provato»;
«nel mio gruppo di amici siamo già parecchi che viviamo la Parola, e questo ha
migliorato moltissimo i nostri rapporti»; «lei si è meravigliata molto del mio
atteggiamento e mi ha chiesto perché mi comportavo così; quando le ho
raccontato della Parola di vita mi ha detto che anche lei vuole vivere in
questo modo»; «sperimentando il vangelo sto scoprendo sempre di più quale
tesoro è la vita cristiana»...
È
già più di un anno che abbiamo cominciato e a poco a poco molti hanno sentito
un'esigenza sempre maggiore di concretezza, per cui abbiamo affrontato il
problema della disoccupazione nella nostra regione, della fame nel Terzo Mondo,
abbiamo portato avanti delle operazioni concrete nella misura delle nostre
possibilità, coscienti che tutti dobbiamo essere costruttori di un mondo unito.
I
genitori hanno saputo della Parola di vita attraverso i figli, e parecchi hanno
voluto cominciare a viverla e a prendere parte alle nostre iniziative.
Tutto
questo mi ha fatto costatare ancora una volta la potenza che scaturisce
dall'amore evangelico, capace di innescare piccole rivoluzioni permettendo di
agire a Colui che guida la storia.
C. S.
Cercare rapporti
veri con tutti i sacerdoti
Sono
da pochi mesi ritornato dalla Scuola Sacerdotale, e l'ordinazione diaconale è
già vicina. Il vescovo mi ha chiesto di vivere insieme a lui questi mesi per
aiutarlo un po' nei lavori di segreteria, ma soprattutto per accompagnarlo nei
suoi viaggi e nelle sue visite per la diocesi. Ciò mi dà la possibilità di
avere contatti con tutte le parrocchie e con tutti i nostri sacerdoti.
Cerco
di ascoltarli veramente, di condividere le loro gioie e difficoltà, creando un
rapporto fraterno con quelli che ancora non conoscevo, e ravvivando i contatti
con coloro con i quali in passato i rapporti erano difficili a causa delle
differenze di mentalità. impressionante come aiuta, prima di ogni incontro,
dirsi esplicitamente in cuore: «Vado a trovarmi con Gesù, quest'altro è anche
Gesù...». Allora hai un'altra disposizione, e poiché si fondano sul Vangelo, i
rapporti che si stabiliscono sono diversi da quelli basati soltanto sul
sentimento umano.
Un
giorno sono andato a trovare un cappellano militare. Un buon sacerdote ma che,
a causa del suo temperamento forte, dopo vent'anni di ministero si trovava
isolato, senza rapporti con gli altri sacerdoti, in un atteggiamento piuttosto
di attacco e difesa.
Quando
ci siamo trovati sono andato ad abbracciarlo e a salutarlo come fossimo dei
grandi amici. Dopo un po' mi racconta i suoi problemi in parrocchia, e mi fa un
lungo elenco di critiche verso i suoi fratelli di presbiterio, in alcune delle
quali non gli mancavano ragioni, ovviamente. Cercavo soltanto di accogliere nel
mio cuore quanto mi diceva, senza giudicare. Quando ha finito, gli ho detto,
con molta semplicità, che ero tornato in diocesi con il desiderio di stabilire
dei rapporti fraterni con tutti, dimenticando il passato e le cose che ci hanno
diviso, poiché siamo stati chiamati da uno stesso Padre ad essere una famiglia
unita... Lui mi ha ascoltato senza dirmi niente.
Una
settimana dopo mi telefona per trovarci ancora. Abbiamo parlato per due ore ma
nella sua conversazione non c'erano più critiche. Prima di andarmene m'invita a
guidare, qualche giorno dopo, l'esame di coscienza di quei giovani che durante
il servizio militare si preparavano a ricevere la Cresima. Ho accettato e dopo
alcuni giorni ho accompagnato il vescovo che ha cresimato più di cento soldati.
Ho visto il cappellano felice.
Altri
incontri importanti li ho avuti con dei giovani sacerdoti, che erano passati ad
altre diocesi senza avere più nessun contatto con la nostra, a causa di
problemi con altri preti.
Un
giorno sono andato a visitare la mamma di uno di loro, che aveva un cancro.
Quando lui è andato a casa sua ed ha saputo che ero stato dalla mamma, è venuto
a trovarmi. stata l'occasione per accoglierlo, dandogli tutto il tempo
necessario. Praticamente sono stato tre giorni con lui, mettendomi il più
possibile a sua disposizione. A un certo punto mi ha parlato delle ferite che
aveva dentro, e del timore che questo dolore aumentasse e non gli permettesse
di ristabilire buoni rapporti con coloro che avevano provocato quelle ferite.
Per questo non pensava di ritornare in diocesi. Io mi sono limitato a dargli
speranza, dicendogli che era giovane, che abbiamo un nuovo vescovo, che molti
stanno cambiando atteggiamento, che io stesso sono con una disposizione nuova,
di perdonare ogni offesa ricevuta in passato e puntare soltanto all'unità, alla
fraternità con tutto il presbiterio...
Dopo
quella conversazione ha ripreso fiducia ed è andato a chiedere un incontro col
vescovo. Dopo aver parlato con lui, gli ha chiesto di ritornare in diocesi ed
ha proposto che vivessimo tutti e due in una stessa parrocchia o almeno nella
stessa città. Il vescovo ha accettato ed il suo ritorno avverrà fra qualche
mese.
Una
settimana dopo è venuto un altro sacerdote giovane, che aveva lasciato il
ministero per un certo periodo e l'aveva poi ripreso in un Paese limitrofo.
Appena ho saputo che era arrivato, sono andato a trovarlo. Da allora è venuto
tutti i pomeriggi in curia, e siccome il vescovo era fuori per alcuni giorni,
partecipavamo insieme all'Eucaristia. Durante le due settimane in cui ci siamo
visti, mi ha ripetuto che non sarebbe mai più tornato in diocesi, che si
trovava bene nel posto dov'era. Io gli dicevo che ne gioivo, che l'importante
era che lui si trovasse bene servendo la Chiesa, che il posto era secondario...
Quando
il vescovo è tornato hanno parlato insieme e (improvvisamente per me) gli ha
detto che era disposto a ritornare in diocesi, quando lui lo considerasse
opportuno, esprimendogli il desiderio di abitare insieme ad altri sacerdoti. La
risposta del vescovo è stata affermativa e anch'egli ritornerà fra qualche
mese.
Un
terzo giovane sacerdote «in esilio», sono andato a trovarlo a motivo
dell'ordinazione di tre nuovi sacerdoti amici. Nella diocesi dov'è adesso lo
stimano moltissimo, sta lavorando con successo e non vorrebbero lasciarlo
partire. Ma mi ha confidato che si fermerà lì ancora un anno, poi desidera
tornare nella «sua» diocesi perché gli sembra che Dio lo chiami lì, e assieme
agli altri sacerdoti vuol contribuire a costruire l'unità del presbiterio.
Per
ultimo, mentre vi scrivo, il vescovo mi ha mandato a vivere 10 giorni con un
altro sacerdote per aiutarlo perché, malato di gola, non può parlare per un
certo periodo. Egli cerca di vivere la spiritualità dell'unità e siamo rimasti
d'accordo che continueremo a trovarci regolarmente per aiutarci a costruirla
tra di noi e con tutti i prossimi con cui Dio ci mette in contatto.
J. P.