Lettere ai presbiteri

Per uno stile comunitario di vita

                  

                                                                                             

Chiamati non alla solitudine ma alla comunione. I vescovi tedeschi nello scorso autunno hanno indirizzato ai loro sacerdoti una lettera coraggiosa e costruttiva, nella quale fanno un'analisi oggettiva della situazione della Chiesa e del clero nel loro paese senza coprire con veli pietosi le difficoltà esistenti. In Germania si calcola che 14 milioni di tedeschi vivono da atei e ogni giorno 391 persone abbandonano la Chiesa cattolica e 750 quella evangelica, rispettivamente 143.000 e 275.000 all'anno. Le chiese, nonostante il loro apparato organizzativo con i numerosi agenti pastorali laici, uomini e donne teologicamente ben preparati, non riescono a trasmettere vitalmente il messaggio evangelico ad una società sempre più secolarizzata e lontana dalla morale cristiana. Il clero, da parte sua, sempre più ridotto di numero e sovraccarico di lavoro, spesso è stressato e senza speranza.

Di fronte a questo quadro per nulla confortante, i vescovi tedeschi si sono posti delle domande, a nostro parere fondamentali, circa la vita e l'attività dei loro sacerdoti, dando delle indicazioni molto opportune.

Essi si chiedono anzitutto cosa bisogna avere concretamente di mira per l'edificazione di una comunità e quali dovrebbero essere i punti-forza dell'attività pastorale. Nella comunità ecclesiale il parroco sarà pastore perché indirizza tutte le sue forze alla predicazione della Parola di Dio, scopre carismi e capacità per un reciproco servizio, avvia esperienze di fede, accompagna spiritualmente chi ne ha bisogno e mantiene viva l'unione con il vescovo e il successore di Pietro. Lo scopo di tutto ciò dovrebbe essere rafforzare gli uomini nella fede, dare loro la speranza e renderli capaci di amare. Bisognerà allora ridimensionare un tipo di pastorale tradizionale impostata prevalentemente su celebrazioni liturgiche, per aprirla maggiormente all'evangelizzazione, ma ad una evangelizzazione che parta dalla testimonianza di una comunità cristiana viva: «La missione nel mondo passerà nel futuro in gran parte per la testimonianza vitale di una comunità e per i singoli cristiani che, nel ruolo che occupano grazie all'inclinazione, alla vocazione e alla capacità, testimoniano il vangelo. Per questo bisogna riflettere su quale abilitazione noi dobbiamo dare a questi fratelli, affinché essi vivano il vangelo e possano metterlo al primo posto nei rapporti pluralistici ed illimitati del mondo moderno». Ma come possono i sacerdoti contribuire a far nascere e a sviluppare simili comunità evangelizzate ed evangelizzatrici?

I vescovi a questo punto rivolgono la loro attenzione alla vita stessa dei sacerdoti. Essi non possono dare quello che non hanno. Ci sembra questa la parte più interessante e innovatrice della lettera. «Non sarebbe il momento di fare un nuovo passo verso l'attuazione dei suggerimenti, in merito, proposti dal documento Presbyterorum ordinis (n. 8), dalla cui realizzazione siamo molto lontani?». Tanti sacerdoti «non hanno casa e se ne accorgono. Perciò non ci si deve meravigliare se per questa  mancanza, che molti non sopportano a lungo, si trovano sostitutivi... Di fronte a queste difficoltà, ma anche in considerazione del fatto che la particolare testimonianza del vangelo deve effettuarsi nella comunione, si raccomanda uno stile comunitario nel modo di vivere del prete». Per non essere fraintesi: ci saranno sempre sacerdoti che vivono soli; alcuni vogliono e possono vivere così. La questione è se questa può essere la normale vocazione sacerdotale, se per molti non risulta un carico troppo grande e anche per questo arrivano difficoltà a volte senza soluzione.

Certamente non tutti i preti si sentono preparati a vivere in comunità, però tutti sono chiamati a realizzare la comunione con gli altri confratelli: «Dovremmo riflettere più profondamente sui modi diversi di una vita in comune, che... anche il Vaticano II raccomanda caldamente. L'appartenenza ad una comunità di sacerdoti rientra in questo ambito di problemi. Ogni ecclesiastico - anche se non se la sente di essere membro di una comunità sacerdotale - dovrebbe cercare di avere un dialogo regolare con uno o due confratelli, anche se per fare ciò dovesse coprire lunghe distanze». E non bastano i raduni usuali promossi dalla diocesi che spesso corrono il rischio della convenzionalità, ma «sono raccomandabili svariati altri incontri tra sacerdoti amici: vacanze e riunioni in piccoli gruppi affini, esperienze in comune delle bellezze naturali e di tipo culturale e cose simili». Tutte le forme che facilitano la comunione tra sacerdoti sono da incoraggiarsi. Ci si guadagna in salute fisica e psichica, ma soprattutto si impara a vivere la comunione effettiva ed affettiva e si diventa capaci di promuoverla nella propria parrocchia. In questa nuova impostazione della vita sacerdotale anche il celibato acquista il suo vero significato: «Fanno parte di una riuscita vita da celibi i rapporti amicali e i legami con le persone con le quali ci possiamo confidare. Essere sacerdoti non significa condurre un'esistenza da solitari. Gesù non ha chiamato i suoi discepoli fuori dalla famiglia per isolarli, bensì per radunarli come sua nuova famiglia».

I vescovi tedeschi concludono richiamando la figura di Maria: «Per molti sacerdoti di varie generazioni e di vario stampo la vita con la Madre del Signore è diventata un aiuto fecondo per vivere in comunione con il Signore e nel Signore».

 

In un nuovo slancio di fraternità sacerdotale. La seconda lettera del 12 febbraio scorso è della Conferenza Episcopale Italiana. Forse per la prima volta in Italia, in un documento così autorevole, si parla della necessità della fraternità tra i sacerdoti. Molto si è detto nel passato - e lo si ribadisce giustamente anche nella presente lettera - sul fondamento della vita del prete, cioè la carità pastorale, ma essa deve poi esplicitarsi in una radicale scelta di Dio, in «quel radicalismo evangelico che è caratterizzato, nel sacerdozio, dalla libera scelta del celibato, dall'obbedienza apostolica, da uno stile di vita semplice e povero e dalla condivisione fraterna». Questo comporta una continua conversione e un continuo aggiornamento. «In questo senso la formazione permanente non consiste semplicemente in una sorta di strategia per essere salvaguardati dall'usura del lavoro quotidiano, né in un puro aggiornamento di tipo professionale, che pure ci è necessario, soprattutto nell'ambito dello studio delle discipline teologiche e pastorali e di quelle che possono aiutarci a comprendere meglio il mondo e il tempo in cui viviamo». «La formazione permanente dei sacerdoti ha i suoi contenuti fondamentali in questa accoglienza di fede del vangelo sul sacerdozio ministeriale e in questa testimonianza di carità pastorale e fraterna».

Anche i vescovi italiani riconoscono le difficoltà non comuni che i preti incontrano oggi: «Un certo senso di inadeguatezza, talvolta l'eccessivo carico di lavoro, una posizione sociologica di minore rilevanza rispetto al passato, condizioni non facili di vita domestica, la distanza territoriale a volte notevole da altri confratelli, l'avanzare dell'età pur con il persistere degli impegni pastorali(...).

Proprio queste situazioni devono spingere ancor di più i sacerdoti a cercare soluzioni alla luce del mistero di comunione e di missione di Gesù Cristo e della sua Chiesa...», a vivere cioè in comunione più profonda tra di loro nel presbiterio, abbracciando con serenità e spirito di fede la realtà della croce che ci identifica col Cristo crocifisso e risorto.

«La complessità propria della vita contemporanea rende ancor più acuta la necessità che ogni presbitero scelga e segua, come condizione e frutto di maturità spirituale, una regola di vita...», che prenda in considerazione «non solo la vita spirituale e la preghiera, la meditazione, l'apostolato, ma anche gli aspetti più concreti dell'economia personale, della salute, del riposo, del tempo libero...». L'esperienza ci dice che da soli è difficile rimanere fedeli ai buoni propositi senza l'aiuto dei fratelli. Per questo i vescovi giustamente aggiungono: «Dobbiamo inoltre impegnarci a promuovere e sostenere forme di vita comunitaria tra sacerdoti, flessibili e adatte alle varie sensibilità. Proporre e preparare i futuri presbiteri a mettere in atto questo modello di vita è compito primario dei nostri seminari».

È infatti in questa testimonianza di fraternità che i pastori possono oggi incidere in un mondo che non è disposto ad ascoltare maestri se questi non sono allo stesso tempo testimoni. «La comunione del presbitero con il vescovo e con i confratelli, diocesani e religiosi, è segno decisivo del servizio che gli è chiesto: testimoniare l'amore di Dio per gli uomini ed edificare così il suo Regno. La comunione del presbiterio - del quale fanno parte anche i religiosi presbiteri (Cf. Christus Dominus, n. 35) - è da vivere in modo tale che diventi esemplare per i rapporti fraterni che devono esistere tra tutti i membri del Popolo di Dio».

 

Per una testimonianza corale e un contagio vitale. L'ultima lettera in ordine di tempo e quella del Santo Padre a tutti i sacerdoti del mondo in occasione del Giovedì Santo. Con questo scritto il Papa vuol consegnare quasi di persona nelle mani di ogni sacerdote il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, perché con questo strumento essi sappiano «custodire il deposito della fede e trasmetterlo integro, con autorevole e affettuosa sollecitudine, alle generazioni che si susseguono». Sembra sentire l'eco delle parole stesse di Gesù : «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mt 16, 15).

Ma come essere all'altezza di questa missione oggi? Il nostro annuncio è credibile per l'uomo contemporaneo? Così risponde il Santo Padre: «Cari sacerdoti, la nostra vita e il nostro ministero diventeranno, di per se stessi, eloquente catechesi per l'intera comunità a noi affidata, se saranno radicati nella Verità che è Cristo. La nostra, allora, non sarà una testimonianza isolata, ma corale, offerta da persone unite nella stessa fede e comunicanti allo stesso calice. È a questo contagio vitale che dobbiamo mirare insieme, in comunione effettiva ed affettiva, per realizzare la nuova evangelizzazione che sempre più urge».

Testimonianza corale e contagio vitale possono fiorire solo da una vita di comunione nel presbiterio diocesano. Ed è qui che i sacerdoti giocano la loro vera identità e l'efficacia del loro apostolato.

 

E. P.