Matrimoni tra cristiani e musulmani

 

 

Dato che ci si trova in modo sempre più frequente di fronte a situazioni dolorose e difficili a causa di matrimoni tra musulmani e cristiani, abbiamo chiesto alla stessa autrice dell'articolo precedente di offrirci alcuni elementi per conoscere meglio i motivi di tali difficoltà.

 

I matrimoni tra persone di fede islamica e cristiana, soprattutto cattolica (chiamati «dispari»), spesso sono sconsigliati da entrambe le comunità a causa delle difficoltà che presentano.

Il primo ostacolo è costituito dalla natura stessa del matrimonio. Per il diritto canonico il matrimonio è «il patto (...) con cui l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole» (c. 1055, 1). Per i musulmani è un contratto in base al quale l'uomo s'impegna a versare una somma di denaro alla donna e a provvedere al suo mantenimento in cambio del diritto, divenuto così legittimo, di intrattenere con lei rapporti sessuali. È evidente che ci si trova di fronte a due concezioni diverse e per alcuni aspetti opposte.

Inoltre, mentre è ammesso il matrimonio di un musulmano con una donna non musulmana (almeno appartenente alle cosiddette «genti del libro»: ebrei e cristiani), non è assolutamente consentito ad una donna musulmana di contrarre matrimonio con un non musulmano.

Bisogna tener presente che la legge islamica non considera il matrimonio indissolubile, prevedendo infatti il ripudio unilaterale del marito. Inoltre, sebbene alcune legislazioni contemporanee di Paesi musulmani l'abbiano abolita, la poligamia è prevista dalla legge coranica pure se sottoposta a limitazioni.

Il matrimonio poi, per i musulmani, determina una struttura patrilineare della famiglia con il diritto del marito di educare nella fede la prole legittima, cui possono equipararsi anche figli nati da rapporti ritenuti giuridicamente leciti anche se fuori del matrimonio (concubinato).

La donna cristiana che sposa un musulmano dev'essere informata di tutte le limitazioni all'esercizio della propria fede cui sarà soggetta - specie nel caso dimori in un Paese musulmano, basti pensare ai Paesi in cui non è permesso l'esistenza di luoghi di culto non musulmano -, sia all'interno della propria famiglia - poiché non potrà manifestare la propria fede - e, in questo secondo caso, anche quando viva in un Paese non musulmano.

Secondo il diritto canonico invece, il matrimonio «dispari» (tra un cattolico e un non cristiano) è considerato impedimento dirimente (c. 1086, 1). Tale impedimento può essere dispensato con l'autorizzazione dell'autorità ecclesiastica, nel caso siano adempiute le condizioni previste per i matrimoni cosiddetti «misti» (tra due battezzati di cui uno non cattolico). È necessaria cioè la dichiarazione della parte cattolica di evitare ogni pericolo di abbandonare la fede e la promessa di fare il possibile perché i figli siano battezzati ed educati nella fede cattolica, ed inoltre i due contraenti devono essere al corrente dei fini e delle proprietà essenziali del matrimonio, in modo da non escluderle da parte di nessuno dei due. Il coniuge non cattolico dev'essere informato sulle promesse fatte, in modo che sia cosciente degli impegni presi dalla parte cattolica (cf c. 1125).

Al problema dei matrimoni «dispari» non è quindi possibile trovare altre soluzioni che vadano oltre la conoscenza degli aspetti più importanti delle rispettive legislazioni in materia matrimoniale. L'auspicio sarebbe che eventuali unioni coniugali «dispari» tra persone umanamente e spiritualmente mature, e quindi capaci di rispettare la diversità delle due fedi, possano divenire privilegiato momento di dialogo tra cristiani e musulmani, e forse assumere una importanza particolare nel promuovere i valori famigliari e coniugali delle due tradizioni religiose.

 

A. P.