Ecumenismo

 

Dialogo tra il card. Ratzinger

E il teologo protestante P. Ricca

 

 

L'incontro si è svolto il 29 gennaio nell'aula magna della Facoltà valdese di teologia a Roma e si è trattato senz'altro di un avvenimento singolare e significativo.

Gli interventi si sono succeduti in due tempi, seguiti da un dialogo con il pubblico presente. Nel primo sono stati affrontati due temi: 1) di fronte all'attuale stagnazione che sembra attraversare l'ecumenismo, quali passi avanti potrebbero fare le comunità cristiane per trasformare la crisi in svolta?; 2) dal momento che il papato è la questione più acuta di divisione tra i cristiani, quali passi ecumenici, quale unità futura si può prevedere?

Ha cominciato il card. Ratzinger. L'unità della Chiesa, ha sottolineato, è lo scopo ultimo al quale tendiamo, il movente principale del nostro impegno ecumenico. Ma i «modelli» attraverso cui si deve arrivare all'unità bisogna continuare a cercarli. Dobbiamo tendervi sapendo che è necessaio percorrere due tappe: un tempo intermedio con soluzioni intermedie, per poter arrivare poi all'unità delle Chiese nella Chiesa.

Quello che sappiamo però è che questa Chiesa unita in nessun caso implica uniformità. Come succedeva nella Chiesa antica, dove accanto alla Scrittura, alla «regula fidei» e alla struttura sacramentale che erano comuni, si trovava una grande pluriformità: c'era la Chiesa semitica, quella copta, quella bizantina, altre chiese greche, quella latina, e in questa ultima c'era grande diversità, ad esempio, tra la chiesa irlandese e quella di Roma. Così oggi, arrivare all'unità reale implica un'unità pluriforme con modalità che non possiamo ancora definire.

Se per ciò che riguarda la ricerca di modelli intermedi il cardinale diceva di trovarsi molto vicino alla proposta di «unità attraverso la diversità» del teologo riformato Oscar Cullmann, allo stesso tempo riconosceva che l'unità non possiamo farla noi, dobbiamo contribuire, impegnarci con tutte le nostre forze, ma è un dono di Dio, poiché la Chiesa non è nostra ma è di Dio. Per cui faceva presente che molti problemi nell'ecumenismo provengono dal fatto che esso è visto secondo modelli politici: tutto sembrerebbe a volte dipendere dalla prudenza e dalla buona volontà, con compromessi, contratti e patti. Questo modello è costruito senza tener conto della realtà che la Chiesa dipende sostanzialmente da Dio. Solo lui può creare l'unità: un'unità fatta solo da noi non sarebbe all'altezza.

Questo richiede da parte nostra pazienza, perseveranza nell'andare avanti insieme, rispetto reciproco, disponibilità ad imparare dall'altro, a lasciarsi correggere da lui con lo sguardo posto sempre sulla Scrittura, a perdonare e ricominciare sempre di nuovo, a lavorare facendo insieme quelle opere per il bene dell'umanità che la carità esige e suggerisce...

L'ecumenismo quindi è anzitutto un atteggiamento fondamentale, un modo di vivere il cristianesimo, non un settore accanto ad altri settori. La regola pratica fondamentale dell'ecumenismo è quella di fare noi tutto ciò che possiamo, e lasciar fare a Dio la sua parte.

Anche oggi in cui Dio non ci dà ancora l'unità perfetta, ci riconosciamo fratelli, riconosciamo la ricchezza dell'altro. In questo senso si può capire il detto paolino «è necessario che avvengano divisioni tra voi» (1 Cor 11, 19). Forse dobbiamo essere gli uni «spina» per gli altri. L'ascolto umile, il lasciarsi arricchire, è più importante che un'unità superficiale.

In questo contesto il card. Ratzinger è passato al secondo punto, la questione sul papato. La sua risposta - con precisi rimandi alla situazione tra ortodossi e cattolici - si potrebbe sintetizzare in una frase: il ministero dell'unità affidato da nostro Signore a Pietro è irrinunciabile nella Chiesa per i suoi successori, ma la storia ci mostra che può essere esercitato in modi molto diversi. «Non oserei dire quali possono essere le forme future... Non posso parlare in astratto, in situazioni concrete si possono vedere soluzioni concrete».

A questo punto è intervenuto il prof. Ricca manifestando il suo rallegramento e compiacimento per le affermazioni del cardinale nella sua maggior parte «condivisibili e condivise da un protestante».

Il papato - come ha riconosciuto più volte Paolo VI - rimane il nodo cruciale della divisione. Esso, continuava Ricca, fonda l'unità cattolica e impedisce l'unità cristiana. È un tema che si trova a livello ecumenico in una vera e propria «impasse». Il dogma del Vaticano I, pur ripensato alla luce del Vaticano II, mantiene intatta la sua portata. Di fronte a ciò, i protestanti resistono ad ammettere un modello di Chiesa che non si sentono di condividere e che ritengono diverso da quello che si può ricavare dalla predicazione di Gesù e dalla testimonianza apostolica.

Per il futuro il prof. Ricca vedrebbe solo tre possibilità: 1) restare «con Pietro e sotto Pietro», ma questa è un'eventualità molto difficile da attuarsi: in questo caso l'unità sarebbe da prevedersi solo escatologica, si realizzerebbe solo al ritorno di Cristo; 2) produrre un cambiamento, una «conversione ecumenica», una svolta: «il papato si metta a servizio dell'unità cristiana, non solo cattolica», esprimeva il prof. Ricca, senza dilungarsi sui modi e le conseguenze che questa tesi implicherebbe. E si domandava: Sto sognando? Ne seguirebbe un collasso istituzionale all'interno della Chiesa cattolica? Eppure la giudicava una possibilità perfettamente in linea con la sostanza del ministero petrino. «Una tale iniziativa potrebbe intraprenderla soltanto un Papa, e sarebbe tanto sapiente», concludeva; 3) il Papa resti quello che è, ma non si proponga come centro e fulcro dell'unità cristiana non cattolica. Ogni Chiesa rimanga col suo proprio concetto di unità, e «si diano la mano in segno di associazione» (Gal 2, 9) come Pietro e Paolo, realmente unite e realmente diverse, con appuntamenti regolari in Concili ecumenici.

Per ciò che riguarda la crisi dell'ecumenismo, il prof. Ricca ne trova la causa sostanzialmente nel fatto che le Chiese non sono cambiate abbastanza. Si sono aperte, ma non si sono mosse. L'ecumenismo esige dei cambiamenti profondi, altrimenti entra in crisi. Perché esso possa passare dalla crisi ad una svolta sono necessari tre passi: le Chiese devono uscire dal loro narcisismo, dal loro settarismo e dal loro legalismo.

Così descriveva Ricca ognuno di questi livelli: Superare il narcisismo significa superare la propria centralità ecclesiale per riconoscere la centralità di Dio (del Regno di Dio) e del prossimo (innanzitutto dell'altro cristiano come primo prossimo). Superare il settarismo, a volte nascosto e a volte anche teologizzato nelle Chiese, vuol dire comprendere il valore della diversità, imparando ad amare la diversità che al massimo abbiamo guardato con curiosità e forse segreta insofferenza. E superare il legalismo equivarrebbe ad evitare che l'ecumenismo venga soffocato, prima ancora di nascere, da mille leggi che lo vogliono, sì, proteggere, ma anche controllare, inquadrare, addomesticare... Il legalismo dà l'impressione di aver paura che l'ecumenismo cresca. Sarebbe necessaria per Ricca una nuova libertà: la libertà dell'ecumenismo. La legge - diceva - è necessaria, ma dopo, in un secondo momento.

In seguito si è passati al secondo giro d'interventi, dove si è risposto alla domanda: Quali i problemi emergenti nella società e nel mondo che sfidano le Chiese a rendere testimonianza efficace? Come e con quale priorità?

La parola chiave in cui si sono trovati d'accordo i due oratori è stata: essenzialità.

Il prof. Ricca ha rilevato che oggi il cristianesimo affronta la sfida delle religioni, per la quale si trova impreparato teologicamente e psicologicamente. La sfida dell'incontro con Israele che è collegata con la stessa identità del cristianesimo. La sfida della laicità in chiave di ricerca di una nuova grammatica e di un nuovo linguaggio della fede, che - come intuiva D. Bonhoeffer -, senza essere «religioso» abbia lo spessore necessario per orientare alle realtà di Dio. La sfida dell'etica, che è l'ambito ecumenico forse meno frequentato poiché sembra che si trovino lì le problematiche e le differenze più grandi, ma che potrebbe essere tuttavia luogo d'incontro. E la sfida maggiore: quella di Dio stesso, della sua Parola con tutte le sue stupende promesse.

Dovendo concentrarci sull'essenziale, quale potrebbe essere una parola d'ordine oggi per i cristiani? Ancora ispirandosi a D. Bonhoeffer, Ricca la esprimeva così: «l'essenziale cristiano oggi è pregare e praticare la giustizia». Questo potrebbe essere un programma ecumenico formidabile. E ancora, l'essenziale ecumenico per i cristiani di oggi potrebbe essere sintetizzato in quelle tre realtà fondamentali: fede, speranza, carità. Riconoscendo, aggiungeva, che finora siamo stati soprattutto Chiese della fede, un po' della speranza, ma forse non ancora del tutto la Chiesa dell'amore.

L'intervento del cardinale Ratzinger ha coinciso sulla necessità di ritornare al centro, all'essenziale. E individuava il problema centrale del nostro tempo nell'assenza di Dio. Pertanto il dovere fondamentale dei cristiani è testimoniare il Dio vivente.

Se c'è un problema di crollo dell'etica nella nostra società, esso proviene dall'assenza di Dio. Oggi si è disposti magari a riconoscere che Dio possa esistere, purché non abbia a che vedere con la nostra vita. E ciò si avverte non soltanto nel mondo secolarizzato, ma anche in modo pericoloso nella stessa Chiesa cristiana. Non abbiamo più parlato del giudizio e della vita eterna, per cui Dio è diventato lontano e astratto. Le cose che facciamo sono «cosa nostra», per Dio non ha troppa importanza se facciamo questo o quell'altro, piccoli come siamo e persi in quest'universo immenso. Quindi tutto diventa manipolabile. Vogliamo edificarci da noi stessi, nel breve tempo della nostra vita: vogliamo inventare da soli come costruire la nostra esistenza, per cui l'essere umano, questa creatura immagine di Dio, finisce per perdere la sua dignità.

Ridiventare perciò coscienti della realtà di Dio che vive, ci conosce, ci ama, sotto il cui sguardo viviamo e che attende dalla nostra responsabilità la costruzione di un mondo secondo il suo amore, è il compito più urgente per i cristiani. C'è infatti il pericolo di rifugiarci in un'etica non fondata sulla fede del Dio vivente e pertanto senza forza per cambiare la vita umana.

Tutti noi cristiani, a cui ci unisce la fede in questo Dio, dobbiamo dare questa testimonianza essenziale a tutta l'umanità. Il resto verrà di conseguenza: l'impegno per la pace, per i deboli, per la giustizia, e per tutte le altre esigenze dell'amore.

 

E. C.