Diocesi e Movimenti

 

Accoglienza, discernimento e valorizzazione dei

Movimenti ecclesiali nella chiesa locale

                                                                                                                                            

 

È ancora viva e attuale la problematica dell'appartenenza dei presbìteri diocesani ai Movimenti ecclesiali. L'argomento è stato trattato anche ultimamente in molte diocesi, impegnate nel cercare le vie per la formazione permanente del clero.

In un incontro del Consiglio Presbiterale dell'arcidiocesi milanese, svoltosi il 19-20 ottobre scorso, su «Diocesanità e Movimenti ecclesiali: i presbìteri di fronte al problema», i consiglieri erano invitati a rispondere ad alcune domande precise.

Riportiamo due interventi che ci sono sembrati particolarmente significativi, uno di don Mario Cocuzzoli e l'altro di don Tino Bellotti, sacerdoti diocesani che seguono la spiritualità del Movimento dei focolari, membri del Consiglio presbiterale dell'arcidiocesi di Milano.

Alla domanda: “I presbìteri diocesani collegati a Movimenti hanno riflettuto su quale contributo possono dare alla Chiesa particolare per la sua missione?”, don Mario ha così risposto:

«La mia esperienza nel Movimento dei focolari mi porta a questa conclusione: il contributo è di essere fermento di unità. L'incontro con questo Movimento è stato per me un aiuto a valorizzare la molteplice ricchezza ricevuta dall'educazione e formazione seminaristica e diocesana e ancora un aiuto ad essere ciò che annuncio e ad esercitare il ministero là dove il vescovo mi vuole, vivendo la fraternità sacerdotale con tutti.

Il modo di vivere il rapporto col coadiutore, la disposizione a servire il seminario per lo stage (in 16 anni mi sono stati inviati 16 chierici per questa esperienza), la promozione della commissione per l'Evangelizzazione in Decanato, il favorire la nascita del bollettino cittadino di Rozzano, l'assunzione di incarichi in Decanato per la Caritas (esperienza della casa di Betania per gli extracomunitari) e per le suore, sono nati e sono sostenuti da questo spirito di unità e di servizio alla Chiesa.

Anche tanti altri preti che si rifanno a questa spiritualità assumono e vivono questi incarichi con la prospettiva grande di servire la Chiesa intera. I piani pastorali dei vescovi sono applicati in modo vitale.

Mi è sempre stata illuminante una conversazione con Mons. Renato Corti, il quale parlando in un decanato quando era ancora vicario generale, diceva: “L'amicizia sacerdotale ha due espressioni: una per realismo pastorale e una per affinità spirituale. Tutte e due sono importanti e vanno tenute insieme”.

Ho sperimentato appunto nell'incontro con i preti un trovarmi a casa, in una famiglia di sacerdoti - anche di diocesi diverse - che si sforzavano di vivere il comandamento nuovo di Gesù.

È davvero una forza in più questa amicizia. E questo tempo vissuto tra sacerdoti non è rubato all'apostolato o al lavoro pastorale, mi spinge anzi a vivere e irradiare questo stile di comunione anche in decanato.

Per me, prete diocesano, il legame con questo Movimento ecclesiale è un dono dello Spirito; non si tratta di un metodo pastorale diverso da quello proposto dalla diocesi, ma di un carisma a sostegno della Chiesa universale e della nostra Chiesa diocesana».

Altre due domande chiedevano: «Il presbitero diocesano cosa riceve in concreto dal Movimento (di cui fa parte) in ordine all'esercizio del ministero pastorale nella Chiesa particolare?». E ancora: «Per alcuni presbìteri, in particolare, come si armonizza il ministero pastorale nella diocesi e nel Movimento?».

Don Tino Belotti ha risposto dando la sua esperienza:

«Ogni volta che si tenta di ridurre a schemi un'esperienza di vita, si finisce inevitabilmente per impoverirla e non cogliere tutta la ricchezza che essa contiene. Un'esperienza di vita si racconta cercando di cogliere nei diversi passaggi il filo che lega tutto, il filo dell'amore personale di Dio.

“Perché l'Eterno Padre mi ha fatto incontrare un Movimento, quello dei focolari?” È una domanda che equivale a quest'altra: “Perché l'amore di Dio ha chiamato me ad essere prete?” Sono domande che non hanno risposte secondo una logica razionale, ma ci immergono nel misterioso disegno di Dio su di noi.

Nel momento in cui, incontrando il Movimento dei focolari, mi si manifestava quella luce che faceva brillare quanto già c'era in me, potevo dire di no?

La luce che entra in una stanza non aggiunge nulla a quanto già c'è; rende però tutto più vivo. Non ho seguito questa luce perché mancava qualcosa al mio essere cristiano e prete; l'ho seguita perché, pur essendo presente in me tutto quanto possedevo in forza del mio battesimo e della mia ordinazione sacerdotale, nella pratica io vivevo a partire da altre realtà più superficiali. Che cosa è stata allora quella luce? Una forza che ha messo in moto quanto possedevo in maniera statica, quasi come un presupposto scontato, ma che non veniva messo in circolazione, che non diventava vita.

Nonostante fossi già prete, non mi ero mai accorto ad esempio che prima del sacerdozio dovevo mettere Dio; o meglio, tante volte il mettere Dio al primo posto era stato il proposito di una meditazione; ma ora diventava vita vissuta, perché ad ogni fallimento pastorale corrispondeva un rapporto nuovo con Dio Amore: crollava tutto, ma proprio in quel nulla trovavo Dio. Lui restava. Prima non vivevo così, perché? Non lo so. Eppure avevo tutto. Adesso vivevo così ed ero in pace. Potevo rifiutare quella luce che mi permetteva questa vita nuova?

E ancora: credevo di svolgere il mio ministero amando chi incontravo. Ma quando qualcuno mi ha amato fino al punto di essere pronto a dare la vita per me, perché questa è la misura del vangelo, allora ho capito che non avevo mai amato nessuno così. Ho cominciato a farlo e mi si è spalancato un orizzonte nuovo, l'orizzonte infinito di Dio Amore. Anche prima sapevo che Dio è Amore, ma l'averne fatto esperienza è un'altra cosa.

E potrei raccontare tanti di questi passaggi, e ne avvengono tuttora. Per me non fa nessun problema essere focolarino e prete diocesano. Come focolarino ho una vita da vivere che è poi la vita del vangelo vista dalla prospettiva dell'unità. Fare mia la pastorale del vescovo è evidente per me. Certo, il mio essere focolarino influisce sul modo di farla, perché non posso più fare una pastorale che non abbia come stile il vangelo vissuto.

Prima di ogni iniziativa allora mi premuro che ci sia l'amore scambievole almeno tra alcuni che possano fare da lievito. E costato gli effetti. Prima mi davo un gran da fare e non succedeva quasi niente; adesso cerco di esserci con tutto me stesso, ma per lasciar fare Dio, e mi accorgo quanto Lui operi nelle anime.

Ma soprattutto questa vita mi ha messo in cuore un amore grande per i sacerdoti. Prima vivevo nell'unità sacramentale con tutti, facevo parte dell'unico presbiterio in forza del sacramento dell'ordine, ma poi finivo per pensare a me stesso, alle mie cose. Adesso questa unità è vissuta in modo concreto: cerco i sacerdoti, mi incontro con loro, ci aiutiamo a restare nell'amore di Dio, cerchiamo di meritarci ogni momento la presenza di Gesù tra noi, secondo la promessa di Mt 18, 20: “Dove due o più... io sono in mezzo a loro”. E sono contento.

A questo punto mi domando: “Può essere questa mia esperienza una illusione, un imbroglio del nemico che ci vuole allontanare dalla volontà di Dio?”.     

Auspico che tutti noi sacerdoti, attraverso quella strada che Dio ha pensato per ciascuno, raggiungiamo quella piena vita di comunione, oggi ancor più necessaria per realizzare la nuova evangelizzazione».

A conclusione dei lavori la Commissione ha incluso nella Mozione finale questo paragrafo: «La presenza di realtà di Movimenti nella loro positività ecclesiale deve impegnare la responsabilità pastorale dei presbìteri in ordine alla loro accoglienza, al discernimento e alla valorizzazione per l'inserimento nel progetto pastorale della diocesi e della parrocchia».

 

E. P.