La comunione fra i catechisti: base di ogni catechesi

 

 

La catechesi
come esperienza di Chiesa

 

a cura di Alessandro Mayer

 

 

Sapevamo qualcosa delle loro particolari caratteristiche nel modo di svolgere la catechesi e siamo andati ad intervistarli. Da Teramo per arrivare al paese di Notaresco c'è un bel po' di strada non povera di curve e di strettoie. Ne valeva la pena, però, non solo per l'ameno ed accattivante panorama abruzzese che faceva da sfondo al nostro viaggio, quanto soprattutto per la vita che abbiamo trovato e che traspariva dai volti delle persone intervistate, dal tono con cui si esprimevano, dalla maniera di muoversi e dal loro rapportarsi nella comunità. Una realtà che è difficile rendere soltanto attraverso le parole. Tuttavia è il mezzo che abbiamo a disposizione e con esso cerchiamo di sintetizzare per i lettori qualcosa di ciò che abbiamo raccolto. Gli interlocutori dell'intervista sono il parroco, d. Giuseppe Micochero, ed in rappresentanza dei catechisti un piccolo gruppo di essi.

 

GEN'S: Come avete cominciato la vostra esperienza catechistica?

 

Prima di tutto bisogna dire che la parrocchia è estesa in un raggio di 12 km, con più di 4.000 persone e, oltre la chiesa parrocchiale, ci sono altri tre centri di culto per promuovere una maggiore vita comunitaria nelle diverse frazioni... Per cui sin dall'inizio c'era bisogno di parecchie persone che portassero avanti la catechesi a tutti i livelli e la situazione non era delle più rosee.

In quel tempo avevamo anche letto, in una pubblicazione specializzata, un'osservazione che ci è sembrata giusta: spesso quando si fa catechesi diamo per scontata la fede nelle persone, mentre essa non c'è o è molto debole, per cui prima ancora di esporre la dottrina in modo sistematico attraverso la catechesi bisognerebbe annunciare il «kerigma», le verità fondamentali della fede. Poiché questo non è sempre possibile o non lo si fa - diceva sempre l'articolo -, la catechesi non dà frutto, non produce delle vere «conversioni».

 

 

 

Impostazione

 

GEN'S: Qual è stata allora la vostra risposta a questa situazione?

 

Il nucleo del messaggio cristiano è il mistero pasquale: «Gesù è morto per noi ed è risorto». Questo però non è prima di tutto una dottrina, ma una realtà da sperimentare. Anton Weber diceva: «Sono convinto che dobbiamo tornare all'essenziale: come nei primi tempi del cristianesimo il kerigma era Gesù risorto, così oggi non ci può essere un altro kerigma, se non il Risorto presente in comunità cristiane dove i membri si amano come lui ci ha amati».

Infatti alcuni di noi avevano già fatto l'esperienza che nella comunità, quando si vive l'amore scambievole, si prova quella presenza del Risorto (cf Mt 18, 20) con tutti i frutti tipici dello Spirito, per cui ci siamo detti: il kerigma lo deve annunciare la nostra vita, e lo farà se saremo Chiesa viva prima di tutto fra noi catechisti. Allora abbiamo pensato di non affidare la catechesi a singoli individui, ma a gruppi di «due o più» persone disposte ad assicurare prima di tutto, in modo permanente, la presenza viva di Cristo in mezzo a loro. Lui il vero «catechista», che comunica e dona la vita, che «illumina ogni uomo».

 

GEN'S: E i risultati?

 

Oggi abbiamo 130 catechisti, che svolgono la catechesi in piccoli gruppi. Ci sono 25 «piccole comunità» di catechisti, che preparano insieme gli incontri e cercano innanzitutto di vivere ciò che trasmettono, mettendo l'unità tra di loro come presupposto di ogni attività. Il primo risultato è l'esperienza di Chiesa che loro stessi realizzano e che li fa crescere come cristiani.

I fanciulli ed i ragazzi in un primo momento si sorprendono un po', perché vedono che uno solo parla e gli altri ascoltano profondamente. Allora domandano: «Ma perché cinque catechisti? Perché uno parla e gli altri stanno zitti?».

Questa testimonianza è il primo insegnamento, la prima catechesi: chi parla e chi tace hanno lo stesso valore, le persone valgono non per ciò che sanno, dicono o fanno, ma per ciò che sono, per quel tanto di amore che c'è nella loro vita. Quindi quel silenzio ha una valenza ben precisa, ed i ragazzi cominciano a cogliere questo fatto, a imparare che esiste un altro tipo di «linguaggio».

 

 

 

«Come» stare insieme

 

GEN'S: Oltre a questo fondamento, come portate avanti la catechesi?

 

In Italia si accompagnano i ragazzi dalla seconda elementare fino alla terza media, e in questo cammino di fede ci sono delle tappe contenutistiche ben precise, per le quali seguiamo i catechismi della Conferenza episcopale. Ma sappiamo che non basta dire ai ragazzi delle verità perché crescano nella vita cristiana.

Perciò abbiamo scoperto quanto è importante il «come» si sta insieme. Tutto ciò che viene detto e che viene fatto nei gruppi lo si fa per promuovere l'amore scambievole, la presenza di Gesù in mezzo a loro. Per cui i bambini la prima cosa che colgono, al di là di ciò di cui si parla, è soprattutto un modo di stare insieme diverso. In questo clima essi colgono in maniera più profonda, più reale, i temi e le realtà di fede che si trasmettono.

Inoltre, in tutto ciò che trasmettiamo, cerchiamo di puntare sempre alla vita, di andare molto sul concreto. Innanzitutto cerchiamo di vivere noi, come si è detto, quello che presentiamo, in modo da poterlo offrire anche con una testimonianza concreta. E negli incontri catechistici cerchiamo di cogliere un insegnamento di Gesù riguardante ciò di cui abbiamo parlato, una frase a senso compiuto del Vangelo (a volte spieghiamo con disegni come la si può vivere), e proponiamo ai ragazzi di fare delle esperienze concrete nella settimana, che poi scrivono per metterle in comune.

 

 

 

Frutti

 

GEN'S: Che tipo di esperienze fanno?

 

Sono molto semplici, naturalmente, d'accordo col loro mondo e le loro possibilità: aiutando la mamma quando non ne avrebbero voglia perché si ricordano che in lei c'è Gesù, apparecchiando la tavola mentre avrebbero voglia solo di andare a giocare a pallone, non arrabbiandosi ingiustamente o per far prevalere i propri gusti, facendo qualche gesto d'amicizia verso persone discriminate anche quando costa perdere la faccia davanti ad altri, cercar di accogliere o di fare qualcosa per i più emarginati, i più bisognosi ed i più lontani per costruire la «civiltà dell'amore»...

Un termometro ad esempio di come vanno le cose è quanto riescono a vincere il loro egoismo e senso di possesso, così acuto alla loro età. All'inizio sono gelosi delle loro matite colorate e delle loro cose. Nella misura che andiamo avanti, quando qualcuno dimentica il quaderno sempre più spontaneamente c'è chi gli dà dei fogli, chi presta la matita, la penna...

Ci sono state poi delle raccolte in tutta la comunità, ad esempio per i bambini di Chernobyl, ed era bello vedere come mettevano insieme le loro cose per donarle.

Alle volte affidiamo loro dei compiti: chi si occupa del registro, chi dell'ordine della stanza, dei giochi, della preghiera oppure dei canti, e ogni mese si scambiano i ruoli. Il senso però non è quello di occuparli in qualcosa, ma di aiutarli a fare quei servizi in una certa maniera, con l'amore del vangelo. Allora si costruisce qualcosa in loro.

Un altro aspetto importante è il gioco. Sappiamo che ciò che il lavoro è per gli adulti, per i bambini lo è il gioco. È un aspetto molto importante della loro vita. Per cui cerchiamo di fare dei giochi con loro alla fine dell'incontro di catechesi, non soltanto per tenerli buoni o farli contenti, ma con uno scopo educativo, per rendere concreto ciò di cui si è parlato quel giorno, per aiutarli a scoprire che anche nel gioco si può amare, per imparare a rispettarsi ed a vedere che non è più importante chi sa giocare meglio ma è la persona che vale.

Un altro mezzo che utilizziamo sono le scenette ed i mimi. Non soltanto per il messaggio che trasmettono ma piuttosto per come vengono svolti. Sempre c'è qualcuno che vuole mettersi in mostra perché ha più capacità, mentre un altro è più timido e si vergogna. Allora si cerca di aiutare quello a cui costa di più perché lo faccia lo stesso ma per amore, e quello che vorrebbe prevalere perché faccia posto agli altri anche per amore.

 

GEN'S: È importante tutto questo perché crea comportamenti nuovi fra di loro...

 

Infatti, anche se sono cose piccole, sono importanti perché creano una mentalità evangelica. Segnano i ragazzi. Chi di noi adulti ricorda le cose che ha imparato al catechismo? Mentre anche quando loro dimenticheranno molto di ciò che hanno imparato, queste realtà sicuramente le porteranno in qualche maniera dentro, forse più di quello che immaginiamo. Nel seme che si butta nei bambini c'è già la pianta. Le categorie che ora essi assorbono poi per forza di cose influiscono sulla vita, e li aiuteranno ad avere una scala di valori più evangelica di fronte alle circostanze, magari nelle loro scelte, nell'educazione dei loro figli, ecc. Non rimarrà loro tutto quello che hanno imparato a memoria, però conserveranno, pensiamo, questo modo particolare di stare insieme e uno stile di affrontare la realtà influenzato dal vangelo.

Costatiamo infatti che qui i ragazzi fanno una scoperta di Dio, acquistano un rapporto vero con lui, riescono a scoprire la vita di Dio proprio nella loro vita. Mentre prima venivano quasi a malavoglia, si annoiavano, poi quando si riesce a portare avanti questo stile vengono con gioia. E questo non si dimentica.

 

 

 

Difficoltà

 

GEN'S: Ci saranno pure dei fallimenti.

 

Ovviamente, le difficoltà non mancano mai, sia nelle normali crisi che implica la crescita personale di ognuno, sia nel rapporto tra noi, sia nei riguardi di coloro ai quali si rivolge la catechesi. Tutte le attività che portiamo avanti sono in svolgimento, in germe. Abbiamo delle linee in cuore, delle certezze, ci accorgiamo che la direzione è giusta, però deve sempre essere esplicitata, migliorata, verificata nella pratica. Spesso ci scontriamo con dei limiti o degli sbagli che rallentano il cammino.

Quello che ci aiuta però è un «segreto» senza il quale la vita cristiana è impossibile: dire che il nucleo del cristianesimo è il mistero pasquale, esistenzialmente significa, come dice Giovanni, «passare dalla morte alla vita perché abbiamo amato i fratelli», implica cioè la dinamica di trasformare ogni difficoltà, ogni dolore, in occasione di un amore più grande, più divino. Sappiamo che la misura dell'amore che Cristo ci ha lasciato è la croce ed il sentirsi sulla croce abbandonato. Per cui andiamo agli incontri senza aspettarci niente, disposti a continuare ad amare quando non troviamo ben disposti i ragazzi, quando sono eccessivamente vivaci, quando ci viene affidato un gruppo meno sensibile perché magari composto da ragazzi che provengono da famiglie senza un'esperienza cristiana profonda...

Un altro fallimento tipico, poi, è quello della mancanza di perseveranza: difficilmente i ragazzi continuano a frequentare la catechesi quando hanno terminato il periodo di preparazione ai sacramenti. Perciò una delle gioie più grandi che abbiamo è, passato qualche anno, trovare alcuni - alle volte anche parecchi - che si sono integrati nelle varie comunità o in qualche realtà ecclesiale.

 

 

 

Altri sacramenti

 

GEN'S: Tutto questo per quanto riguarda i ragazzi. Riuscite ad arrivare anche alle famiglie?

 

Non possiamo programmarlo, nel senso di dire: «quest'anno arriveremo alle famiglie». È qualcosa che cresce con la vita. Nella misura che maturiamo nell'amore il nostro agire diventa più onnicomprensivo. Dobbiamo imparare a cogliere Dio all'opera, a vedere i passi che Dio ci indica senza voler fare di più o di meno. Però sempre di più nasce l'amicizia fra i catechisti e le famiglie, nella misura in cui esse si sentono amate attraverso quel servizio che viene fatto ai loro figli. È importante questo perché, se nella famiglia non si condivide in qualche modo la linea evangelica che portiamo avanti, le cose si fanno più difficili con i ragazzi. E poi sono i genitori che hanno ricevuto un sacramento che dà loro la grazia di educare i figli e quindi sono essi i primi responsabili nel trasmettere la fede...

 

GEN'S: E la catechesi negli altri ambiti?

 

Per esempio anche la catechesi pre-battesimale la facciamo attraverso coppie «esperte» nel tenere Gesù in mezzo. Facciamo sei incontri, cinque andando noi nelle case delle famiglie che vogliono battezzare i figli e uno qui in parrocchia. Anche per i fidanzati, l'anno scorso abbiamo fatto 13 incontri, come un «catecumenato» per il matrimonio. Ed abbiamo visto che è possibile per il fatto che c'è la comunità che accompagna il loro cammino. Avvertono che non è il prete che fa tutto (questa era la mentalità). Il parroco non può fare ciò che fanno i catechisti, mentre ha il suo lavoro da svolgere, quello di articolare l'insieme. La Chiesa così non appare come se fosse solo «roba del prete», ma attraverso la comunità diventa la Chiesa che parla, che si esprime, che serve. È la Chiesa viva la realtà che viene in evidenza.

Tutti i venerdì abbiamo l'incontro di comunità, impostato sulla Parola di Dio come «Parola di vita» (Fil 2, 16). Lì commentiamo la Parola, la applichiamo alla realtà e ci scambiamo esperienze di come riusciamo ad incarnarla concretamente. Oltre tutto è tanto bello perché si riesce a fare anche lì un'esperienza di comunione, di Gesù in mezzo alla comunità. In questo contesto stanno venendo fuori delle coppie di sposati le quali partecipano agli incontri di preparazione al matrimonio dei fidanzati, per offrire la loro esperienza su che cosa ha generato il vangelo vissuto nella loro vita personale e famigliare. In più danno il loro apporto di unità, si crea amicizia con le coppie che si stanno preparando, le seguono. Così si vede la Chiesa come «madre» che conduce al sacramento.

Vediamo che rimangono tanto contente, e poi si passano la voce, lo raccontano agli altri fidanzati. Per cui quando ai nuovi che arrivano diciamo che ci sono in programma tanti incontri, non restano male, ma vengono volentieri.

Nella misura in cui la comunità vive, non solo si trasforma in un polo di attrazione, ma anche diventa capace di produrre cultura. Il mondo d'oggi non si interesa tanto dei discorsi, ma della vita. È Importante offrire dei modelli di una vita piena, diversa.

Ci siamo resi conto infatti quanto sia importante mettere a contatto le persone con degli «esperimenti di laboratorio» di vita cristiana autentica, dove ognuno si sente bene. Per questo ad esempio abbiamo visitato la cittadella del Movimento dei focolari a Loppiano, vicino a Firenze. Vi andiamo da diversi anni: la prima volta con un pullman, quest'anno i pullman erano sei con più di 300 persone. Vedono lì un mondo diverso, uno stile nuovo di società informata dal vangelo, che è possibile rivivere fra noi a tutti i livelli, e quindi anche nella catechesi.

 

Alessandro Mayer