Dopo la pubblicazione, ora molto dipende da noi

 

 

Nuovo catechismo:
un punto di partenza

 

di Enrique Cambón

 

 

«È l'unico catechismo che sia frutto di un Concilio ecumenico, con autorità papale e con carattere ufficiale per tutta la Chiesa: è veramente un'eccezione tra i catechismi». Così veniva descritto fino ad oggi il Catechismo Romano, pubblicato in seguito al Concilio di Trento. Oggi dopo più di quattro secoli (la prima edizione di quel catechismo è del 1566) l'eccezione si ripete con il recente e ormai famoso Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC). In questo articolo vogliamo condividere alcune riflessioni che ci auguriamo possano essere utili per una più proficua lettura.

 

 

 

«Norma sicura per l'insegnamento»

 

Com'è noto il testo fu preceduto, già all'annuncio del progetto, da molte critiche e perplessità ed è destinato a suscitare inevitabilmente giudizi contrastanti. Basta sfogliare i giornali e se ne troverà un'ampia gamma, che va dalle espressioni più critiche («strumento di riaccentramento intorno alla dottrina più tradizionale», «catechismo di restaurazione») a giudizi come il seguente: «Non è un catechismo ma un manuale di teologia di ottima qualità: migliore di quelli in corso nei seminari».

Sul suo contenuto è da prevedere una miriade di commenti di studiosi a tutti i livelli. Però una cosa è certa: di fronte al travaglio degli studi biblici e teologici con la conseguente insicurezza che producono nella fede dei credenti, ed alle caratteristiche epocali dell'umanità, si è cercato di presentare un compendio della «dottrina comune» cattolica, una «norma sicura per l'insegnamento della fede», come l'ha chiamato il Papa nel documento per la pubblicazione del Catechismo. Vuol essere, a livello dottrinale, strumento dell'unità della Chiesa universale.

In questo contesto, si avverte allo stesso tempo un grande sforzo per offrire una presentazione aggiornata della dottrina. Si nota una forte ispirazione biblica (migliaia di citazioni, cercando però non di raccogliere semplicemente riferimenti biblici ma ispirandosi alla Scrittura); si seguono i Padri e i grandi teologi (i più citati Agostino e Tommaso d'Aquino); si utilizzano le fonti liturgiche d'Oriente e d'Occidente; soprattutto si tiene presente il Vaticano II (citato circa 800 volte! al punto che nella solenne celebrazione dell'8 dicembre a Santa Maria Maggiore in Roma, il Papa ha definito il CCC come «il frutto più maturo e completo dell'insegnamento conciliare»); c'è infine la ricerca di una presentazione positiva (ad es. la trattazione di ogni comandamento non comincia dalla proibizione ma dalla virtù corrispondente), cercando un'impostazione trinitaria e cristocentrica...

 

 

 

Catechismo «universale»?

 

Certamente il nome «Catechismo universale» per alcuni può prestarsi a equivoci. Infatti non ha come finalità di essere usato tale e quale per tutti ed ovunque. Il CCC non è destinato ai «fedeli» (anche se ovviamente non li esclude). È un «compendio della fede» che costituisce un punto di riferimento dottrinale per i catechismi locali.

Infatti così era stato chiesto dai vescovi nel Sinodo dell'85 e così è stato presentato dal Papa nel citato documento per la pubblicazione.

È indirizzato quindi prima di tutto ai vescovi e ai redattori dei catechismi delle chiese locali. Questo spiega ciò che bisogna cercare in esso e ciò che non ci si deve attendere.

 

 

 

Non ha uno scopo pedagogico

 

Ciò è stato esplicitamente detto dai redattori, che hanno chiarito che è compito dei catechismi locali tener conto di «colui che annuncia» (il catechista), del «come» avviene l'annuncio (metodo), e di «coloro ai quali» si annuncia.

Un solo accorgimento metodologico risulta evidente nel testo: per il fatto che negli ultimi decenni la catechesi ha spesso trascurato l'importanza della memoria, nel CCC dopo ogni tema ne viene enucleata la dottrina in «formule brevi», così che anche i catechismi delle varie chiese locali possano trarre di lì ispirazione per proporre le verità da memorizzare.

D'altronde è importante precisare che un catechismo di questo tipo ha per sua natura solo una presentazione enunciativa, attestativa della fede. Non è né un trattato teologico, né apologetico. Non si propone una funzione esplicativa o interpretativa, tipica appunto dei catechismi locali.

Quindi inutilmente si cercherebbero in esso nuove «ipotesi di lavoro» a livello di spiegazione delle realtà della fede. Sono state evitate con cura le opinioni teologiche che sono ancora in discussione. In questo senso è un compendio alquanto «tradizionale» e costituisce «una raccolta sistematica di formulazioni già collaudate dal consenso della Chiesa» (E. Francini). Non ci sono «novità», se non quelle già solidamente recepite nel pensiero cattolico ufficiale, come certe importanti realtà ormai acquisite della dottrina sociale della Chiesa (non per niente Laborem exercens, Sollicitudo rei socialis e Centesimus annus, da sole, sono state citate tanto quanto tutti gli altri documenti insieme di Giovanni Paolo II nei suoi 14 anni di pontificato).

 

 

 

Tutto «da inculturare»

 

Per il fatto che «si indirizza alla chiesa universale, - spiegava il card. Ratzinger in una conferenza su Catechismo e inculturazione - esso non può cogliere ed esprimere adeguatamente le caratteristiche peculiari, le esigenze proprie, le problematiche specifiche delle pluriformi chiese locali» .

Questa importante precisazione supera uno dei timori che aveva suscitato il Catechismo prima della sua pubblicazione. Infatti, dopo la conquista che cresce in tutta la Chiesa della coscienza e del rispetto delle legittime ricchezze culturali dei popoli, un testo «universale» (nel senso di unico e uniformatore) con cui svolgere la catechesi sarebbe stato un tragico passo indietro. E infatti il CCC non solo non esclude, ma rafforza, è destinato a «incoraggiare ed aiutare la redazione di nuovi catechismi locali, che tengano conto delle diverse situazioni e culture», come sottolinea ancora il Papa nello stesso documento di presentazione.

Quindi ci troviamo di fronte, non al dilemma «Catechismo universale o inculturazione», ma ad un Catechismo universale per l'inculturazione. Quello è il suo obiettivo e soltanto lì trova il suo senso e la sua fecondità.

 

 

 

E l' ecumenismo?

 

È importante la consistente presenza della ricca tradizione liturgica e teologica delle Chiese orientali. Non poteva essere altrimenti se si vuole che la Chiesa torni - secondo la nota espressione di Giovanni Paolo II - «a respirare con i suoi due polmoni».

Per ciò che riguarda invece i cristiani provenienti dalla Riforma, i primi commenti di teologi protestanti sono stati: «ecumenicamente povero», «torna indietro», «interpretazioni restrittive del Vaticano II». Sebbene ribadisca chiaramente, seguendo il Vaticano II, che «la missione della Chiesa richiede lo sforzo verso l'unità dei cristiani» (n. 855), e riconosce gli «elementi di santificazione e verità» che esistono nelle chiese cristiane non cattoliche (n. 819) i cui membri «sono giustamente riconosciuti come fratelli nel Signore» (n. 818), tuttavia è pur sempre un compendio della fede cattolica. Se un servizio ecumenico potrà prestare sarà semmai la chiarezza e l'onestà con cui è stata espressa quella fede, almeno così come oggi la si concepisce a livello ufficiale.

 

 

 

Esige un'apertura matura al futuro

 

Un testo di tale portata richiede infatti dalla nostra parte una doppia umiltà.

Di fronte alla Chiesa prima di tutto, ricevendolo come un «prezioso strumento» (Giovanni Paolo II), come un «dono di Dio» (card. Ruini). Uno dei compiti di coloro che nella Chiesa esercitano il Magistero è quello di custodire la verità e autenticità della Parola di Dio. «Lo Spirito Santo li assiste perché al popolo di Dio sia offerto cibo sufficiente, opportuno, sicuro e sano» (L. Sartori). Riconoscere il loro carisma implica, prima di ogni analisi, credere che questo strumento era necessario alla Chiesa di oggi. Vedendolo come «un atto di maternità della Chiesa prima che di controllo fiscale» (C. Bissoli), scopriremo sicuramente degli aspetti positivi che altrimenti ci sfuggirebbero.

Umiltà, inoltre, di fronte al mistero, cioè a una realtà che ci supera. «Se Dio è Amore, come Egli stesso si è rivelato e si è mostrato, il Mistero non è il sottrarsi di Dio all'uomo, bensì il dono che Dio fa di Sé all'uomo nel modo di Dio!».

Quali conseguenze implica ciò per un catechismo? Difficilmente lo si potrà esprimere meglio che con queste parole del card. Ratzinger: «Certamente, nessuna espressione, formulazione, mediazione culturale, e quindi neppure il migliore catechismo, è riuscito, riesce, né riuscirà a esprimere adeguatamente, esaurientemente, esaustivamente la ricchezza, la profondità, l'immensità del mistero cristiano, attesi anche i condizionamenti storico-socio-culturali della comprensione ed espressione umana di qualunque epoca e luogo. Per questo siamo tutti ben consapevoli dei limiti di questo Catechismo, strutturali e contingenti... Esso non è e non può essere certamente ritenuto l'unico modo possibile o il modo migliore di riesprimere catechisticamente il messaggio cristiano».

Ciò vuol dire che dobbiamo utilizzare, il CCC, come ogni opera umana, restando aper-ti agli approfondimenti, ai miglioramenti della presentazione della fede cristiana che si riuscirà a trovare in futuro e per i quali tutti quanti siamo chiamati a contribuire. In effetti, come già ha sottolineato il Vaticano II, la comprensione della dottrina della Chiesa cresce non solo grazie alla predicazione dei vescovi che hanno ricevuto «un carisma sicuro di verità» e attraverso la riflessione e lo studio, ma anche per la profonda comprensione che i credenti traggono dall'esperienza delle cose spirituali (cf DV 8).

 

 

 

Un libro «per la vita»

 

Dopo una prima lettura qualcuno si è domandato: la sua destinazione dottrinale, non ha lasciato troppo nell'ombra il fatto che ogni catechesi deve portare «alla pienezza della vita cristiana», come dice la definizione di catechesi riportata nella stessa prefazione del CCC?

Effettivamente oggi è riconosciuto da tutti che un catechismo non può ridursi alla «trasmissione di concetti». La vita, l'esperienza, la prassi, sono diventate categorie centrali della catechesi.

È vero che, oltre le parti dedicate alla preghiera e ai sacramenti, tutta la parte morale del Catechismo costituisce un'applicazione alla vita concreta. Il Catechismo affronta molti dei vecchi e nuovi problemi dell'esistenza del singolo e della società. Si tratta dei temi che hanno trovato vasta eco nei mezzi di comunicazione: dalla frode fiscale alla corruzione, dalla partecipazione politica al razzismo, dalla sessualità alla bioetica, senza dimenticare l'affermazione di principi fondamentali come, pur nel rispetto della proprietà privata, la destinazione dei beni della terra per tutti gli essere umani...

Però non basta. Sappiamo che la morale è stata tante volte identificata con un elenco di comandi e di proibizioni, ed è stata ridotta in buona misura a un «ricettario» senz'anima, più adatto a colpevolizzare le persone che a trasformare la storia.

 lasciato alla creatività dei catechismi locali scoprire i mezzi più adatti, i sussidi e gli accorgimenti didattici, per evitare il rischio di fermarsi ai «cosa si può fare?», «cosa non si deve fare?», promuovendo invece ed accompagnando l'incarnazione, sempre più matura e sapiente, di tutto il vangelo nella vita personale e sociale.

Il titolo di uno dei commenti, pubblicato subito dopo l'uscita del CCC, diceva: «Il Catechismo è nelle nostre mani», quasi a voler significare che esso sarà ciò che di esso noi sapremo farne.          

                                                                                                                                            

                                                                                                                                            

        

Finalizzato alla carità
e alla testimonianza

 

È da notare che la presentazione che apre il CCC termina con la citazione di un testo del Catechismo di Trento, nel quale si dice che «tutta la sostanza della dottrina e dell'insegnamento deve essere orientata alla carità». L'esperienza insegna, a questo riguardo, che niente può sostituire la funzione del catechista: il miglior testo diventa inutile se non si riesce a tradurlo in vita. Da qualunque catechismo, invece, sa trarre conseguenze che trasformano l'esistenza, chi ha capito che cristianesimo significa sequela di Cristo, incarnazione della Parola in tutti gli aspetti della vita.

«Come possono la predicazione della fede e la catechesi parlare della verità (delle verità) della fede in modo tale che emerga la loro dimostrabilità, in modo tale che la fede possa essere proposta in maniera convincente e provata quale verità-salvezza?... È certo che tutto questo non si ottiene limitandosi a ripetere e spiegare ciò che appartiene alla fede cristiana, quello che la contraddistingue in maniera irrinunciabile... Un catechismo dovrebbe essere concepito come iniziazione all'esperienza dei credenti... poiché soltanto a partire dell'esperienza vissuta della fede può nascere la testimonianza convincente... La verità della fede si dimostra nella sua significazione e nella sua portata appunto soltanto nella pratica di vita e nell'esperienza di fede, oltre che nella riflessione dei molti credenti; ed essa trova espressione veramente coerente nella testimonianza, nella quale i singoli credenti si dicono a vicenda come la fede diventi feconda e significativa nella loro vita, che cosa essa significhi per loro, che cosa essa li induca a pensare, a sperare e a fare».

Esiste d'altronde un'altra possibilità di credere, per l'uomo di oggi, se non verificando nella propria vita la verità del vangelo?

 

 

 

Altre prospettive

 

Conservare la «sana dottrina» è uno dei compiti della Chiesa. Va incontro agli sforzi non sempre riusciti dei teologi e all'eventuale smarrimento e incertezza della fede dei credenti. Però resta il fatto che bisogna sempre chiedersi se la dottrina che si presenta è sufficientemente comprensibile per l'uomo d'oggi. D'altronde il problema, non è solo dottrinale quanto del soggetto: l'uomo secolarizzato «non riesce» a credere. Bisogna domandarsi perché.

Non basta esporre una dottrina sicura o riaffermare le dottrine tradizionali se poi esse non interessano. Sicurezza dottrinale del contenuto non è sinonimo di comunicazione significativa e attraente, ortodossia non è necessariamente intercambiabile con attualità, identità non è direttamente proporzionale ad incisività e rilevanza pratica. Da lì il grande compito di mediazione dei catechismi locali, che non potranno trascrivere pedissequamente il CCC o trasformarlo semplicemente in «domande e risposte». La sua normatività mostra una direzione, indica verso dove ci si può dirigere o meno, ma è fatta per continuare ad avanzare...

Mediazione questa che non è solo culturale e pedagogica ma anche teologica. Perché, ovviamente, resta aperto il problema di sempre: «il modo di enunciare le dottrine non deve essere assolutamente confuso con lo stesso deposito della fede», diceva il Vaticano II (UR 6). Però la linea di demarcazione, si sa, non è sempre evidente. A cosa devo dire «sì, credo», e quale margine rimane al «però cosa significa»? Quali spiegazioni e interpretazioni diverse possono ritradurre il vangelo in modo più adatto per il presente? È lo spazio, crocifiggente e appassionante, delicato ma imprescindibile, sempre aperto alla teologia, alla catechesi e alla vita di tutta la Chiesa.

 

Enrique Cambón