Insieme, per contribuire a
risolvere i problemi dell'umanità
Diversi per fede e cultura,
uniti nell'amore
di Enrique Cambón
È molto nota
l'affermazione di A.Toynbee che nel futuro la storia, guardando la nostra
epoca, non metterà tanto in rilievo il confronto tra capitalismo e comunismo o
le rivalità tra le razze, ma il dialogo tra cristiani e buddisti. Sta di fatto
che le religioni, tante volte messe a servizio di interessi e diventate veicoli
di violenza, oggi sono sempre più in un atteggiamento di dialogo reciproco e di
comune servizio verso l'umanità. Come può essere vissuta una tale dimensione in
una scuola di vita per sacerdoti?
Se il ministero è servizio dell' unità e chi è chiamato ad esercitarlo è stato definito l'uomo del
dialogo, una «scuola di vita» per coloro che hanno una tale vocazione dovrà
avere, come una delle sue dimensioni fondamentali, l'esperienza del dialogo a
tutti i livelli.
Sul dialogo ecumenico,
vissuto nei rapporti quotidiani, già fanno intravedere qualcosa le esperienze
riportate in questo stesso numero, di ministri di diverse chiese cristiane che
hanno partecipato a questa Scuola.
Ad esse si potrebbero
aggiungere tanti contatti fraterni, molto interessanti, avuti in questi anni
con laici, ministri e vescovi delle varie tradizioni cristiane, che da tutto il
mondo venivano a conoscere la Scuola singolarmente o a gruppi, per incontri
brevi o di più lunga durata.
Si potrebbe parlare anche
dei rapporti avuti con persone non credenti, per le quali appariva
particolarmente adatto il carisma che ispira la Scuola e lo stile di vita di
coloro che la frequentano.
Dialogo interreligioso
Tuttavia vogliamo accennare
ad un altro dialogo, del quale i cristiani in genere hanno meno esperienza, e
che non è mancato nella Scuola, anche se è avvenuto sporadicamente: il dialogo
con persone di altre fedi religiose.
Un catechista tailandese, per
esempio, ha portato a visitare la Scuola un gruppo di ragazze buddiste che
lavorano come domestiche in famiglie romane. Alla fine della giornata sono
partite contente e, tra l'altro, hanno detto: «Passare queste ore con voi è
stato per noi come stare nel tempio...». Per capire l'importanza di questa
affermazione bisogna dire che nella cultura buddista la vita è tanto legata al
tempio, al quale si fa sempre riferimento; lì si celebrano i riti, le feste, si
prega. Coloro che, per motivi di lavoro o per altro, devono spostarsi in altri
paesi, ne sentono la mancanza a tal punto che alcuni ritornano in patria per
riavere il tempio.
Quelle ragazze sono andate
via così felici, che qualche domenica dopo sono ritornate insieme ad un gruppo
di altri diciotto buddisti. Anche loro si sono trovati bene: «Questa - diceva
uno di loro - è una casa di pace, un luogo di famiglia. Ci avete detto le
stesse cose che ci insegna Budda, tutto il mio cuore è pieno di amore...».
Erano colpiti dalla gioia,
dall'accoglienza, dalle canzoni, ma soprattutto dall'amore. Alcuni non potevano
credere che fossero dei sacerdoti coloro che con semplicità li servivano a
tavola.
È stato l'inizio di una
relazione che si è protratta per anni, mentre la Scuola si trovava a Frascati.
Tornavano ogni tanto, portando altri amici buddisti o catechisti e sacerdoti
cattolici del loro paese che studiavano a Roma. Hanno voluto avere anche loro
la «Parola di vita», che vivevano secondo le loro possibilità, sulla quale poi
ci si scambiavano le esperienze.
Sperimentare la presenza di
Dio tra credenti di fede diversa
Impressionava il fatto di
poter sperimentare, anche tra buddisti e cristiani, la presenza di Dio. Così ha
cercato di spiegarlo a loro uno di noi: «Se per voi la visita nella nostra casa
significa passare alcune ore nel tempio, allora siamo molto contenti, perché se
voi venite da noi con nel cuore la misericordia di Dio e anche noi vogliamo
accogliervi con la stessa misericordia, allora costruiamo insieme un tempio
spirituale, e Dio stesso con la sua misericordia sarà in mezzo a noi e ci darà
gioia, luce, pace...».
Poi non mancavano altre
opportunità di incontri, alcune fortuite, altre provocate. Come l'ordinazione
di uno dei partecipanti alla scuola, Lazzaro You Heung Sik, un coreano. In
questa occasione sono venute tante persone: dal suo vescovo all'ambasciatore
con la sua famiglia, dal rettore dell'università romana dove egli studiava ad
altri sacerdoti coreani di Roma, e poi famiglie, cattolici, protestanti e
buddisti.
Al di là della diversità della
loro fede religiosa, tante di queste persone dicevano di avvertire qualcosa di
speciale. L'accoglienza nella carità, il clima di famiglia che si creava, la
mensa preparata dagli stessi sacerdoti, la cerimonia semplice e profonda, tutto
provocava espressioni di questo tipo: «Non so come voi preparate i programmi:
qui ognuno si sente bene, è un altro mondo...».
Un'esperienza singolare: un
monaco buddista tra i sacerdoti
Tuttavia l'esperienza più
ricca nei riguardi del dialogo interreligioso è stata senz'altro la presenza
alla Scuola di un monaco buddista che, venuto per restare soltanto qualche
mese, si è fermato per due anni. L'aveva indirizzato a noi il Pontificio
Consiglio per il Dialogo Interreligioso, giacché Uttarananda Hattigammana -
questo il suo nome - è un artista, pittore e scultore. Aveva già allestito due
mostre personali nella capitale del suo paese, lo Sri Lanka, e voleva
sviluppare le sue capacità artistiche, conoscendo più da vicino l'arte
cristiana.
Don G. Aruanno, responsabile
della Scuola, così descrive come si è vissuta quell'esperienza: «La notizia che
un monaco buddista sarebbe vissuto con noi, e per un periodo non breve, ha
suscitato una prima reazione di gradita sorpresa. Il suo arrivo era atteso come
un dono che Dio ci faceva. Poi, la presenza del rev. Uttarananda si è rivelata
una sfida e una verifica dell'autenticità della nostra vita, che vuole essere
espressione di quell' “amatevi come io vi ho amati” (Gv 13, 34).
La prima cosa di cui abbiamo
avuto cura è stata quella di tener conto delle sue abitudini, a cominciare dal
cibo, e di venire incontro ai suoi doveri di monaco buddista o alle esigenze
dei suoi studi e della sua attività artistica.
Abbiamo cercato di creare un
rapporto di apertura, di fiducia, di aiuto vicendevole, fino a stabilire tra
noi un vero amore fraterno, semplice e vitale».
L'accoglienza del «diverso»
«Una delle cose che vorrei
sottolineare - continua don G. Aruanno - è il fatto che lui è stato, per
ciascuno di coloro che partecipavamo alla Scuola, il richiamo costante a non
chiuderci nell'alveo della comunione tra di noi, ma ad aprirci all'accoglienza
dell'altro, del diverso, chiunque esso sia, per cogliere in profondità quel
patrimonio di valori, di vita, di storia che ciascuno porta in sé. Questa è stata
un'esperienza molto formativa, in sintonia con ciò che la Chiesa e il mondo
d'oggi richiedono al sacerdote nel contesto di dialogo e di comunione.
Per il resto Uttarananda era
uno di noi. Ha condiviso con noi tutto quello che era possibile, nella misura
in cui lo permetteva il rispetto dei suoi obblighi religiosi. Ci sono stati
quindi degli ambiti e dei momenti di distinzione, ma anche in questo il
rispetto e la carità che accompagnano e quasi “prevengono” le esigenze
dell'altro, rendono possibile una certa comunione. Ad esempio, quando
Uttarananda è arrivato, ha già trovato pronta una stanza allestita per la sua
preghiera e meditazione personale, con al centro un altare su cui era stata
posta una statua del Budda. Questo fatto l'ha molto meravigliato, ed ha già
sgomberato il campo da molte possibili diffidenze. Una volta poi abbiamo voluto
condividere con lui secondo la tradizione della sua religione, la festa della
nascita, illuminazione e morte del Budda. Egli ha avvertito - come ci ha detto
poi - che il nostro stile di vita comunitaria è molto simile a quell'ideale
monastico che tanto ama.
In tal modo è diventato più
naturale anche per lui l'adeguare, per quanto è stato possibile, il suo stile
di vita all'ambiente non buddista. Partecipava spesso alle nostre riunioni, si
mostrava interessato a conoscere la vita e la spiritualità cristiana e, in un
modo tutto particolare, gli insegnamenti e la vita di Gesù. Come noi, anch'egli
voleva comunicare la sua esperienza ai visitatori che venivano a trovarci, anche
se sapevamo che per lui sarebbe stato più naturale non parlare, per il senso di
ritegno che gli viene dall'importanza attribuita nella sua esperienza religiosa
al silenzio. Compatibilmente ai suoi impegni di studio partecipava con tutti
noi ai normali lavori di casa, e seguiva gli stessi nostri orari, con grande
fedeltà.
Si diceva impressionato dal
modo in cui cercavamo di costruire la comunione tra noi e con tutti, nonostante
le differenze di lingua, di cultura, di età, ecc. Proprio in questo senso trovava
infatti un positivo contrasto con l'esperienza spesso dolorosa delle divisioni
sociali, religiose, di casta. “Tra voi, - ci ripeteva spesso - c'è una vera
uguaglianza”».
A servizio dei poveri, per
la pace e il dialogo
Prima di sentire raccontare
da Uttarananda stesso cos'è stato per lui quell'esperienza, è interessante
rilevare il senso che egli dà alla sua arte: per lui è un mezzo per esprimere e
condividere la sofferenza umana. Perciò non usava mai soggetti paesaggistici o
solamente descrittivi, ma elementi realistici e simbolici ad un tempo, che
interpretavano e riproponevano episodi della vita del Budda o di Gesù.
«Preferisco per i miei quadri - diceva - quei soggetti del buddismo e del
cristianesimo dove si percepisce il nuovo messaggio liberatorio di queste
religioni e la loro opzione per i poveri».
In stretto collegamento con
ciò, vi è un altro aspetto importante della sua vita che permetterà di capire
meglio le sue parole. Dopo certi terribili fatti di violenza verificatisi nel
suo paese, che avevano scavato profondi fossati etnico-religiosi, egli aveva
fondato, assieme ad altri monaci buddisti, un Movimento chiamato
«Organizzazione dei Bhikkus per l'umanità», il quale si impegnava per la pace
ed il dialogo tra le religioni.
Sentiamo ora, brevemente,
alcune sue impressioni sull'esperienza nella Scuola: «Prima di venire qui non
avevo nessuna idea della vita di questi sacerdoti, sia perché il nostro stile
di vita è completamente diverso, sia perché sapevo che questa esperienza è
anche da voi un po' fuori del comune. Inoltre, dentro di me restava un certo
timore all'idea di vivere con dei cattolici, perché in passato nel mio paese, i
cristiani hanno perseguitato i buddisti cercando di convertirli al
cristianesimo.
Appena arrivato, invece, il
responsabile mi ha detto: “Tu in questa Scuola sei totalmente libero”, e questo
mi ha tolto il timore. Poi ho visto che volevano davvero aiutarmi, essermi
vicini. Ad esempio, non mi sarei mai aspettato una stanza tutta per me, già
preparata, che mi permetteva di continuare normalmente le mie pratiche
religiose in Europa! Questo fatto mi è piaciuto molto.
Così ho perso alcuni
pregiudizi che avevo riguardo ai sacerdoti cattolici. Ho visto che vivono
fedelmente e concretamente gli insegnamenti di Gesù. Vivono e lavorano insieme,
cercando sempre di amarsi scambievolmente. Pian piano ho cominciato a capire
questo stile di vita e a sentirne l'attrattiva. Amarsi gli uni gli altri è la
vera vita. Dobbiamo perdere tutto per amare così, non pensare al colore della
pelle, ai titoli e alle lauree, all'età e così via. Normalmente invece la gente
ti guarda secondo la tua condizione sociale. Io lì mi sono sentito veramente
amato, trattato come un fratello, uguale a tutti gli altri. Anche se eravamo di
diverse religioni, è nata tra noi una vera fratellanza. Purtroppo, non potevo
partecipare a tutte le attività della Scuola, ad esempio allo sport o ai canti,
perché non è abitudine dei monaci del mio paese».
Oltre le barriere religiose
per servire l'umanità
«Questa esperienza mi ha
aiutato a comprendere meglio come amare il prossimo. Anche nel mio paese ho
lavorato molto per gli altri, nelle attività del nostro Movimento dei Bhikkus,
ma a volte è stato difficile raggiungere l'accordo col prossimo che aveva idee
diverse dalle mie, ed io gridavo per impormi, perché pensavo che fosse mio
dovere agire così. Nella Scuola invece ho compreso un altro modo di fare, che
mi porta come prima cosa a cercare di capire l'altro. Ho costatato che qui
tutti sentivano la responsabilità di creare l'accordo con gli altri e fra
tutti. Questo aiuta a vivere una vera comunione. Questa esperienza sarà molto
importante per me quando tornerò nel mio paese».
Mentre era alla Scuola, ci
fu l'incontro di preghiera ad Assisi del Papa con i responsabili di tutte le
religioni, e anche Uttarananda fu invitato a parlare per 30 minuti sul
buddismo. Uno degli studenti di teologia racconta come hanno vissuto con lui la
preparazione di quell'intervento: «Insieme ad un altro lo abbiamo aiutato a
preparare il testo e a tradurlo in italiano. Facendoci uno con lui e prestando
attenzione ad ogni suo pensiero, ci siamo guadagnati la sua fiducia ed egli
accettava volentieri tutti i nostri suggerimenti su alcune idee che non erano
spiegate chiaramente.»
Prima di partire, Uttarananda
ha detto a tutti: «Avendo visto come vivete e come vi amate scambievolmente, mi
sono detto “Questo è il vero cristianesimo”. Certamente vi sono differenze tra
le nostre religioni, ma esse non costituiscono una barriera per poter vivere e
lavorare insieme. Se siamo più uniti, possiamo contribuire a risolvere sempre
meglio i problemi dell'umanità».
Enrique Cambón