Dall'Australia: un pastore anglicano trova nel carisma del Movimento una via per costruire l'unità

 

 

Un contributo all'unità

 

 

di Roy Poole

 

Roy Poole, sacerdote anglicano, è stato ordinato nel 1955 nella città di Newcastle in Inghilterra. Si è laureato al «College of Divinity» dell'Università di Londra. Dopo l'ordinazione ha svolto vari incarichi nella sua Chiesa. In Inghilterra ha fatto parte del Consiglio Britannico delle Chiese nel settore del «Christian Aid» (un organismo simile alla nostra Caritas), avendo l'opportunità di lavorare in stretta collaborazione anche con la Chiesa Cattolica Romana. Trasferitosi in Australia nel 1974, è stato «Executive Director of Welfare». Dalla città di Perth ha riorganizzato il lavoro di assistenza  ed ha costituto un'agenzia di Consulenza per il Matrimonio e la Famiglia. Nel 1977, nominato Segretario Generale del Consiglio delle Chiese dell'Australia Occidentale di cui fanno parte le principali Chiese, ha dato un notevole contributo per la partecipazione della Chiesa cattolica come membro di detto Consiglio a pieno diritto.

 

Quando  ho sentito  parlare del Movimento dei focolari, mi è sembrato di aver trovato una via spirituale e teologica per andare avanti nella mia vita personale e nel mio lavoro pastorale. Ero particolarmente attirato dalla sua teologia trinitaria, avendo scritto la mia tesi di laurea sulla Trinità. Quando nel 1979 si è aperto il primo focolare a Perth, ho potuto intensificare i contatti ed ho cercato di incarnare la spiritualità dell'unità nella mia vita e, in particolare, nel mio lavoro ecumenico nel Consiglio delle Chiese. Ho trovato che il Movimento non soltanto sottolinea la dottrina dell'unità, ma aiuta a viverla nella vita concreta.

Pur essendo fondamentale per la nostra fede riconoscere che Gesù ci chiama ad amarci e a vivere in unità con lui e tra di noi come egli lo fa con il Padre, purtroppo lungo i secoli i cristiani, in genere, non hanno saputo farlo. Nella vita di Chiara e del Movimento non solo trovavo una profondità teologica su cui si fonda tutta la spiritualità dell'unità, ma trovavo anche un cammino concreto che ogni cristiano, di qualsiasi Chiesa, oggi può percorrere senza far violenza alla propria coscienza.

 

 

 

Un'esperienza indimenticabile

 

Con questo desiderio nel 1983 mi sono recato a Frascati, alla Scuola Sacerdotale.

L'esperienza è stata molto diversa da ciò che mi aspettavo. Invece di ascoltare lezioni formali come in qualsiasi scuola, ho trovato che tutto era impostato nel vivere l'unità nella vita normale di ogni giorno, sia nei lavori di manutenzione della casa, come pulire, rifare i letti, cucinare, sia in altri compiti, come intrattenere i visitatori o presentare loro la spiritualità.

La convivenza non era facile tra noi, per la presenza contemporanea di sacerdoti e  seminaristi, di giovani e anziani, e per la diversità di provenienza.

Al mattino di solito si ascoltavano o si vedevano, attraverso bobine o videocassette, discorsi di Chiara, subito seguiti dalla condivisione delle nostre impressioni ed esperienze. Nei primi mesi era un po' difficile, perché tanti di noi non erano abituati a condividere ad un livello così intimo la propria anima, e abbiamo trovato in questa condivisione quasi una minaccia alla nostra vita privata. Poi, sforzandoci nell'attuare questa comunione d'anima, abbiamo imparato a comunicare ad un livello più profondo, evitando la «teologizzazione», cioè la tentazione di ridurre il lavoro di Dio ad una razionalizzazione sterile, che avrebbe svilito la bellezza delle realtà che egli andava operando in noi.

Ciò che mi ha aiutato a vivere bene questo rapporto tra teologia e vita sono stati gli incontri del pomeriggio, quando venivano a parlarci varie persone che vivevano questa spiritualità da diversi anni. Parlavano con una tale profondità della loro unità con Dio e con gli altri, che rendevano palpabile questo legame tra dottrina e vita. Sono rimasto particolarmente colpito dal teologo Piero Coda, che ci spiegava la teologia che si trova in questa spiritualità, una teologia che contemporaneamente apre un cammino spirituale che ognuno può percorrere.

La vita d'unità, che avevo visto nel focolare di Perth e negli scritti di Chiara, lentamente si stava innestando nella mia anima. Non era facile. A volte mi scontravo con la personalità degli altri e sarei voluto scappare dalla Scuola o almeno evitare le persone che non mi erano gradite. Grazie a Dio, non feci nessuna di queste due sciocchezze, ma ogni volta ero spinto a mettere in pratica quanto ci veniva insegnato. Sono stato molto aiutato in questo cammino dai responsabili della Scuola. All'inizio trovavo molte difficoltà anche con loro per la diversità di cultura, ma rimanevo conquistato dal fatto che con la loro vita incarnavano ciò che ci insegnavano circa l'amore reciproco e l'unità.

Anche se prima di venire alla Scuola avevo studiato un po' di italiano, non riuscivo a capire e ad esprimermi bene. In tante occasioni avrei voluto parlare di teologia, ma c'era la barriera della lingua. Piano piano, però, mi sono reso conto che, anche quando non potevo discutere di teologia, potevo sempre vivere il vangelo nel rapporto con gli altri. In fondo anche gli apostoli prima hanno vissuto il messaggio di Gesù e poi lo hanno annunziato.

Nei momenti di riposo, poi, si richiedeva una grandissima sensibilità alle abitudini e alle esigenze di silenzio degli altri che, spesso, per la diversissima provenienza, avevano altre abitudini. La mescolanza di nazionalità è un'occasione importante per mettere in pratica la spiritualità dell'unità. Alla Scuola eravamo in trentadue persone di diciassette paesi di tutti e cinque i continenti. È già difficile fare unità con le persone della propria lingua e cultura, di cui si conoscono le varie sfumature, ma è doppiamente difficile quando c'è una grande varietà. Al fascino del primo incontro subentrano facilmente piccoli e grandi fraintendimenti. In questa Scuola ho imparato, in modo molto concreto, il contributo che la spiritualità sta dando alla costruzione di un «mondo unito».

 

 

 

Una spiritualità per tutte le Chiese

 

Ho sentito Chiara dire che questa spiritualità - come ogni spiritualità in genere - presenta tutto il vangelo e lo mostra in un modo particolarmente adatto alla nostra epoca, attraverso l'angolatura dell'unità, così come lo Spirito Santo lo ha fatto riscoprire a lei stessa. Vangelo, quindi, che bisogna vivere prima di offrirlo agli altri con l'annunzio della parola. Capivo così che il Movimento è uno strumento per l'unità nella misura in cui porta la vita.

Sono rimasto molto colpito nell'ascoltare persone di diversi ordini religiosi parlare del contributo che la spiritualità dell'unità ha portato nella vita del loro Ordine, ravvivando la comprensione della spiritualità loro propria.

Alla Scuola quell'anno ero l'unico non-cattolico. Sapevo che era importante per i cattolici attenersi alle indicazioni della propria Chiesa: non potevo quindi ricevere il sacramento dell'Eucaristia durante la Messa cattolica. Era una grande sofferenza per tutti noi e offrivamo questo dolore per l'unità di tutte le Chiese. La mia stessa presenza alla Scuola ha mostrato concretamente che l'unità non è richiesta soltanto all'interno di ciascuna Chiesa, ma anche tra le Chiese. Dopo ogni Messa cattolica, ho celebrato l'Eucaristia anglicana e sempre sono stati presenti alcuni sacerdoti cattolici: anche se non potevano ricevere da me la comunione, con la loro presenza volevano esprimere l'unità che già abbiamo per il battesimo, in attesa che si realizzi un giorno l'unità piena voluta da Gesù.

 

 

 

L'originalità di questa scuola

 

Ho potuto contribuire ad una maggiore comprensione della Chiesa Anglicana presso i sacerdoti cattolici: tutti quelli presenti alla Scuola hanno visitato la Chiesa Anglicana di Roma e il Centro Anglicano che rappresenta la nostra Chiesa presso il Vaticano. Anch'io ho imparato tanto circa la ricchezza e l'armonia dell'unità nella diversità dentro la Chiesa cattolica romana. Ero anche felice di celebrare l'Eucaristia per gli anglicani presenti ai vari congressi del Movimento dei focolari .

L'originalità evangelica di questa Scuola consiste nel fatto che ogni esperienza diventa un'opportunità per amare e per vivere in unità, anche quando uno ha un punto di vista differente. L'unità non vuol dire accettare acriticamente ciò che ci sembra sbagliato; l'unità inoltre non è uniformità, ma vuol dire cercare di risolvere le differenze nella pace e nell'amore scambievole con la luce di Gesù in mezzo a noi. La verità poi emerge non come «verità» che un individuo impone, ma come dono di Dio a coloro che insieme la cercano in un clima di amore fraterno.

 

 

 

Portare il «fuoco» nella mia Chiesa

 

Alla Scuola ho sentito che il Signore mi chiamava non solo a vivere questa spiritualità, ma anche a fare parte della famiglia spirituale del Movimento per portare questo «fuoco» nella Chiesa Anglicana. Da quando sono tornato in diocesi ho portato avanti questo lavoro, d'accordo col mio arcivescovo, che ho sempre tenuto al corrente delle mie attività. Attualmente siamo circa dieci i sacerdoti anglicani e cattolici che ci incontriamo un giorno al mese: avere Gesù fra noi è la premessa essenziale per qualunque passo ecumenico.

Al mio ritorno in diocesi, l'arcivescovo mi ha messo in una nuova regione parrocchiale, senza chiesa, con poche persone e con un passato di divisioni e disunità. In unità con lui ho cercato di portare la pace tra i parrocchiani. Piano piano abbiamo potuto rifare una comunità cristiana armoniosa ed abbiamo costruito anche l'edificio della chiesa.

Ora sono andato in pensione dalla mia parrocchia, ma desidero spendere il resto della mia vita dando il mio contributo alla piena comunione fra le Chiese.

 

Roy Poole