Dall'Argentina: la Scuola?
Un'esperienza incancellabile
Non è facile dare la vita
di Elmo Gorza
Da una grande diocesi
dell'America Latina, con le sperequazioni sociali tipiche di quelle terre, il
racconto conciso, vibrante, di un sacerdote impegnato in prima persona nel
costruire un mondo diverso, e l'importanza che nella sua vita ha avuto la
partecipazione alla Scuola Sacerdotale.
Ho 57 anni, la metà dei quali vissuti da prete.
Ho cercato sempre di spendere la mia vita al ritmo del tempo brevissimo e
incalzante della fame, dei bisogni, dell'emarginazione disumana dei più poveri.
Ho scelto Cristo presente nei miseri e l'ho adorato in ogni bambino
abbandonato, in ogni persona senza tetto, in ogni malato a causa delle
ingiustizie sociali. Nei milioni di ultimi e di vittime. Mi sono inginocchiato
lì a pregare: ho trovato in ogni povero un altare, un tabernacolo. Ogni baracca
di una bidonville è come un tempio dove abita Cristo incarnato oggi.
Non sempre si capisce
questo, e bisogna pagare un prezzo. Un giorno - era nel settembre del 1977 -
avevo bisogno di una presenza sacerdotale che mi accogliesse. Da un po' di
tempo mi incontravo e riflettevo con amici del Movimento dei focolari.
Loro mi hanno teso la mano,
e quella mano conteneva il loro cuore. Così mi sono trovato nella Scuola per
sacerdoti a Frascati. Sei mesi. Duri. Di conversione interiore: di
purificazione. Circa 90 sacerdoti di più di 40 nazioni e culture: tedeschi,
portoghesi, filippini, egiziani, zairesi, burundesi, camerunensi, assieme a
svizzeri, vietnamiti, paraguaiani, colombiani, brasiliani, italiani. Ho toccato
un po' l'umanità.
Quell'esperienza ti faceva
crescere uomo universale, dialogante. E con il lavoro, l'ascolto, la
condivisione, limava le angolosità di quello che Paolo chiama «uomo vecchio».
Ho imparato ad amare, con il cuore dilatato sull'umanità, il Cristo dai mille
volti diversi.
Quella Scuola mi trasformò
la vita: serenità, ampiezza, dialogo, soffrire, attendere. Ho imparato ad
amare. Ho trovato Maria. Ho scoperto una Chiesa-famiglia-focolare.
«E ancora ritrovai
fratelli...»
Sono tornato nella mia
Argentina. E poi altre volte in Europa. Sempre ho ritrovato amici, aiuto. Nei
momenti difficili delle più acute crisi sociali nel mio paese e nella mia
città, Rosario, quando la gente, nella disperazione, assaliva i supermercati.
Non è facile dare la vita
Ero nella Caritas
arcidiocesana, per 1.700.000 abitanti e più di 220.000 persone che vivevano
nelle bidonvilles: ho dovuto affrontare la situazione e mettere tutte le
risorse - che non c'erano - a favore dei più poveri. E sono uscito a chiedere
aiuto ai miei fratelli europei: un'avventura, degna di Don Chisciotte. E ancora
ritrovai fratelli, amici, che mi capirono.
Allo stesso tempo facevo
anche del lavoro missionario: per 24 anni andando a vivere per un periodo, ogni
anno, con i giovani, in mezzo agli indios, nelle frontiere, a 1.800 km dalla
mia città. Perché c'è un'Argentina europea e una degli aborigeni, povera,
emarginata, in condizioni disumane.
Proprio mentre andavamo da
loro, nel gennaio '91, abbiamo avuto un grave incidente. Siamo rimasti feriti:
Silvia con lesioni cerebrali, Sonia con ferite più lievi, io con diciassette
rotture alle costole, due vertebre schiacciate, una rotta, due litri di sangue
nei polmoni, il piede destro spappolato. Solo dopo quattro giorni siamo
riusciti a trovare un aereo-ambulanza. Il medico mi obbligava a partire, perché
diceva che non sarei arrivato vivo al giorno seguente. Io volevo lasciare il
posto a Silvia che era anche grave. Ho dovuto firmare che davo il posto con
piena volontà, cosciente che poteva costarmi la vita. E non sono morto, anche
se hanno dovuto tagliarmi la gamba destra a causa della cancrena.
Lì ho costatato che dare la
vita, alle volte, può trasformarsi in realtà o lasciarci segnati per sempre, se
ne usciamo ancora in piedi...
Stando ora forzatamente un
po' lontano dal Movimento, ho l'impressione che mi manchi qualcosa, come nel
mio corpo. L'esperienza della Scuola è incancellabile. Davvero. È ancora fresca
dentro di me.
Elmo Gorza