Dalla Colombia: una
conversione all'unità e tanti frutti
Evangelizzare le
istituzioni
di Agostino Abate
Durante sette anni,
Agostino Abate è vissuto alla ricerca di qualcosa che riempisse un certo vuoto
interiore dovuto alla sua formazione individualistica e critica. Si era
entusiasmato dell'ideale dei «cristiani per il socialismo», di quello ecumenico
di Taizé e del radicalismo spirituale di Carlo Carretto. Approdava alla Scuola
Sacerdotale del Movimento dei focolari, in Frascati, nel 1976, su invito di
alcuni sacerdoti amici, ma con animo molto critico e sfiduciato sulla capacità
di cambiamento della società.
I primi quattro mesi alla Scuola Sacerdotale furono per me un supplizio. Non ci capivo
niente. Mi sentivo un estraneo e spesso pensai di andar via. Rimasi, perché non
intravedevo la possibilità di un'altra esperienza e anche perché, dopo quattro
anni di sacerdozio, mi sentivo già inutile e con molte domande senza risposta.
Periodo «di laboratorio»
Il nove ottobre del 1976 fu
una data che non dimenticherò mai. Mi resi conto che mi trascinavo appresso il
mio individualismo e la mia attitudine critica e, finché non davo un taglio
netto con il mio passato, non sarei uscito da quel circolo vizioso. Decisi di
restare alla Scuola e di vivere, nel modo più radicale possibile, questa
esperienza di unità e di comunione. Ricordo che dissi a me stesso: «Chiudo gli
occhi e mi butto a vivere, come fanno tutti gli altri».
Da quel giorno la Scuola
divenne per me un laboratorio stupendo, dove comprovavo la validità del vangelo
per il nostro tempo. Per me fu come se rinascessi a vita nuova. Per la prima
volta attuai la comunione dei beni e mi posi davanti agli altri con attitudine
di servizio e non di giudizio. Fu dopo questa conversione che sperimentai cos'è
la vera comunità.
Il nuovo campo di lavoro:
la Colombia
Dopo questo periodo, che
chiamerei di «laboratorio», nel 1978 fui inviato in Colombia e nei primi anni
cercai di conoscere a fondo la cultura colombiana, la sua gente, i suoi valori
ed anche gli inevitabili difetti di ogni popolo.
Sapendo che il mio
principale campo d'azione sarebbe stato quello di contribuire a creare fra i
sacerdoti e i seminaristi quella famiglia «affettiva ed effettiva» che la
Chiesa richiede, sin dall'inizio ho fatto del mio meglio in questo settore e mi
sembra che il Signore abbia benedetto questo lavoro, facendo nascere anche in
Colombia un vasto movimento sacerdotale animato dallo spirito dell'unità.
In parrocchia mi sono
trovato immerso in un clima di violenza e povertà, dove il messaggio cristiano
della prima evangelizzazione non faceva più presa. Ho cercato allora di
conservare la serenità, di non escludere nessuno, ma di creare tra i
parrocchiani rapporti nuovi, basati sul vangelo, anche quando non riuscivo a
dare una risposta al grave problema della loro povertà.
Ho potuto sperimentare che
perfino il dialogo con i non credenti è possibile quando mi sono avvicinato a
loro con attitudine di servizio.
L'inculturazione
Sono passati più di dieci
anni. Ho lavorato nella diocesi di Armenia. Attualmente sono economo diocesano,
professore in seminario, parroco e psico-orientatore di un'università statale.
Un giorno il vescovo mi
chiamò e mi disse: «Ho ascoltato il parere dei sacerdoti, tutti sono d'accordo
perché ti nomini economo diocesano». Al che risposi: «Va bene, però io sono
straniero». «La stessa obiezione l'ho fatta ai sacerdoti - riprese il vescovo
-, ma tutti, compreso me, ci siamo detti che ormai sei colombiano come noi».
Non so quanto questo corrisponda a verità, ma certamente ce la metto tutta per
farmi uno con loro.
Nel seminario dove insegno,
i formatori condividono la stessa spiritualità dell'unità. È un seminario con
soli quattro anni di vita, per cui è stato relativamente facile mettere le basi
perché tra tutti, superiori ed alunni, vi sia una vita di famiglia. Preghiera,
studio, lavoro manuale, sport o apostolato sono impregnati dall'esperienza
dell'unità: il dialogo, il vivere il sacerdozio comune dei fedeli, la Parola
vissuta e Dio come ideale prima ancora del sacerdozio, stanno formando
sacerdoti pronti alla nuova evangelizzazione.
In parrocchia, pur in mezzo
a un cristianesimo «tradizionale», che cerco di rispettare per non correre il
rischio di spegnere il lucignolo fumigante della fede, mi sforzo di formare
coscienze nuove alla luce del vangelo, prendendomi cura particolare dei giovani
che nella comunità sono la maggioranza.
L'università statale
Da due anni lavoro anche in
un'università statale. Un ambiente fortemente politicizzato e dominato
dall'ideologia marxista, sede e fonte di una mentalità laicizzante che pone
gravemente in pericolo i valori culturali e spirituali. In questo ambiente sono
psico-orientatore, ossia devo essere a disposizione per orientare i giovani.
Nell'università, dopo
trent'anni di assenza ecclesiale, ci sono entrato silenziosamente, con l'unico
appoggio dell'unità con il mio vescovo che al nominarmi per questo lavoro mi
aveva detto: «So che hai tanti altri impegni, ma ho visto che tu sei la persona
adatta per questo lavoro, perché sei capace di dialogare con tutti».
Già dal primo giorno è stata
una sfida. La segretaria del mio consultorio è una testimone di Geova e una
collega di lavoro, psicologa, è protestante. Gli impiegati stavano attenti ad
osservare cosa sarebbe successo fra noi tre, abituati come erano ad assistere a
discussioni e contrasti. Non essendoci pazienti da attendere, siamo stati
insieme più di un'ora. Grande fu la meraviglia di tutti, quando ci videro
uscire e dirigerci al bar dell'università per prendere un caffè. È stato uno
choc per molti. Il mio proposito non era di convertire né di aprire una
polemica, ma di presentare un lato ancora non sufficientemente conosciuto del
cattolicesimo: il servizio.
Nel primo mese di università
ho incontrato tredici studenti che vivono il mio stesso ideale dell'unità. Già
dal primo incontro con loro ci siamo promessi una mutua e continua carità, così
da rendere possibile l'unità e attrarre la presenza di Gesù in mezzo a noi.
Con loro abbiamo fondato un
movimento studentesco per la difesa dei valori umani nell'università, affinché
ci fosse all'interno di essa più rispetto, meno concorrenza, dove si costruisse
l'unità fra gli studenti e ci si prendesse cura in modo speciale di quelli più
emarginati. Abbiamo cominciato in pochi. Ora siamo più di duecento. Ci
incontriamo intorno alla Parola di vita, che costituisce l'anima di tutte le
nostre attività.
È sorta poi l'idea di
organizzare una Messa ogni settimana. Un gruppo di studenti ha scritto una
lettera circolare, esprimendo il desiderio di porre in luce nell'ambiente
universitario i valori cristiani. Si sono raccolte firme di facoltà in facoltà
e sono state presentate al rettore. La direzione ha approvato la celebrazione
settimanale.
La reazione di alcuni
professori non si è fatta attendere. Uno di loro mi ha affrontato gridando:
«Non è possibile permettere una cosa simile. Sono un matematico, un fisico, uno
scienziato e posso dimostrare che Dio non esiste. Questa è un'università
libera. Se volete, andate a celebrare Messa nelle vostre chiese e non
nell'università».
Prima che potessi rispondere
qualcosa, la collega protestante gli ha detto: «Io non sono d'accordo con lei,
perché se con una Messa si dà gloria a Dio, nell'università si celebrino pure
tutte le Messe che si vogliono!». E la testimone di Geova: «Professore, lei
dice che è ateo. Raccolga un gruppo di persone atee e si incontri con loro in
un salone dell'università. Può farlo, perché questa è un'università libera e
ognuno può fare le proprie riunioni». Ad un certo punto ho notato che questo
professore aveva difficoltà a chiamarmi «padre», come in Colombia si usa chiamare i sacerdoti. Allora gli ho detto
che poteva chiamarsi semplicemente col mio nome. Al che ha subito risposto:
«Agostino, ti ringrazio moltissimo. Non condividiamo le stesse idee, però ti
voglio bene». E mi ha abbracciato di fronte a tutti. E da quel giorno sono
diventato suo amico e di tutti coloro che anche nella mia università sperimentano
il lento spegnersi dell'ideologia marxista. Farsi uno, mi pare, è anche
condividere la frustrazione di coloro che avevano fatto del comunismo ateo
l'ideale della propria vita.
Dico questo nel senso che
non mi sento di gioire e tanto meno di infierire su chi è obbligato a cercare
altri ideali verso cui orientare la propria esistenza. Sicuramente Dio non è
lontano da chi cerca sinceramente la verità, perché è proprio quando tutto
crolla che si può cominciare a ricostruire la propria vita. Forse succederà anche
a Norman, mio amico, professore di matematica e fisica.
Qualcosa sta cambiando
Ora a poco a poco,
l'ambiente universitario sta cambiando. Altri movimenti ecclesiali come
«Cursillos de cristianidad», Carismatico, Shönstatt si stanno facendo strada
senza antagonismi né gelosie, perché c'è posto per tutti e perché anche in
questa situazione vale la legge evangelica: «Ama il prossimo tuo come te
stesso» e quindi «Ama il movimento altrui come il tuo».
Nel mio lavoro di
orientatore vengo incontro a numerosi casi di persone frustrate perché non
riescono a superare da soli i loro problemi, mentre spesso riusciamo insieme a
trovare una via d'uscita.
Un professore ha
sperimentato la gioia di vincere il problema dell'alcoolismo. Vari studenti,
che avevano tentato il suicidio, hanno riscoperto la bellezza della vita nel
clima di comunione che si è creato in un gruppo di studenti disposti, per
amore, a dar la vita l'uno per l'altro.
Un giorno, per esempio, un
medico mi ha mandato una ragazza che aveva tentato il suicidio. La famiglia,
disperata, stava spendendo molto denaro con visite psichiatriche. Le ho
proposto una terapia di gruppo invitandola alla sede del nostro Movimento. Dopo
qualche ora è tornata felice, dicendomi che aveva trovato nella sala un clima di
famiglia più forte che nella propria casa. Ora ha superato definitivamente il
suo problema depressivo.
Anche la comunione dei beni
fra gli studenti sta dando i suoi frutti. È normale per loro mettere in comune
il superfluo. Spesso, specialmente quando qualcuno di loro già sta per
ritirarsi dall'università per motivi economici, abbiamo sperimentato la
provvidenza divina. Nel momento preciso, c'è sempre qualcuno che risolve il
problema economico.
L'amicizia e il dialogo con
i medici che seguono gli studenti hanno fatto sì che si salvassero molte vite
umane minacciate dall'aborto. Non si tratta solamente di condannare decisioni
già prese, né unicamente di indurre a sospenderle, ma di accompagnare quelle
maternità fino in fondo, vincendo i problemi causati dalla mentalità permissiva
e cercando chi possa sostenere una studente incinta anche dal punto di vista
economico.
Ogni volta che qualcuno
entra nel mio consultorio rinnovo il proposito di non giudicare, di ascoltare,
di comprendere, di fare in modo che l'altro arrivi a scoprire la soluzione dei
suoi problemi.
La partecipazione attiva di
tutti gli studenti alla celebrazione eucaristica settimanale ha portato anche i
suoi frutti. Cinque studenti figli di genitori atei o non cattolici hanno già
chiesto e ricevuto il battesimo.
Parrocchia, tesoreria,
seminario, università sono mondi completamente diversi. Vivendo il momento
presente riesco a cambiare tanti vestiti nella stessa giornata. Tutto è
cominciato nella Scuola Sacerdotale. Lì, pazientemente, durante due anni, ho
imparato che l'essenza della vita è servire non tanto facendo grandi cose,
bensì piccole cose, ma per amore.
Agostino Abate