Dalla Sicilia: «Tre pilastri
piantati nel cuore»
«Questa è vera teologia»
di Gaetano Garfì
Lo chiamano don Tanino, è
il parroco di Buccheri, una cittadina appollaiata sui monti siculi con una
comunità parrocchiale viva. Nel 1975 egli venne alla Scuola di Frascati e, dopo
i primi due mesi in cui aveva fatto i lavori più disparati, fu messo, insieme
ad un altro sacerdote, a disposizione di padre Riccardo Lombardi, il famoso
gesuita fondatore del «Movimento per un mondo migliore», per assisterlo nella
sua grave malattia.
Partecipai ad una
scuola«suigeneris»: stando fuori, perché il nostro responsabile, Anton Weber,
mi incaricò di scendere ogni mattina a Roma presso una clinica per assistere il
famoso «microfono di Dio». Proprio da lui ebbi la conferma della prima lezione,
così essenziale, della nostra Scuola, a cui prendevano parte in quell'anno
'75-'76 ben 95 sacerdoti provenienti da 50 nazioni dei cinque continenti. Quel
giorno, infatti, padre Lombardi non finiva di elogiare e ammirare la bontà di
Chiara che aveva mandato, tramite la Scuola Sacerdotale, noi sacerdoti per
assisterlo giorno e notte. Venivano, inoltre, periodicamente due focolarini
medici a visitarlo: Cosimo Calò e Giorgio Marchetti. Una sera, dopo cena, il
padre Lombardi disse: «Chi poteva pensare che i focolarini avrebbero preso
tanto a cuore la mia salute! È Gesù che ha fatto stasera queste cose e, come
dice il dott. Marchetti, non si deve mai dire niente a priori». Io mi sono
permesso di completare: «Benissimo, padre, viviamo l'attimo presente»; ed egli
di rimando: «Questa è vera teologia».
Eccomi!
Quella clinica è stata la
facoltà dove ho studiato senza libri, svolgendo tutti i giorni il mio compito
di infermiere.
Qualche tempo prima ero
andato a celebrare la Messa ad un convegno di fidanzati promosso dal Movimento
Famiglie Nuove. Dopo la Messa alcuni si confessarono, altri chiesero che
tornassi. Ne parlai con Toni Weber e mi sentii rispondere: «Ma tu conosci Gesù
crocifisso e abbandonato?». I fidanzati avrebbero avuto il confessore, ma io
non ero indispensabile... Fu un colpo molto forte per me: essere distaccato da
tutto, anche dalle anime, come Gesù in croce! Pensai: «Qui ci deve essere una
chiave misteriosa da acquisire e da non dimenticare mai più».
Sono quindici anni che ogni
mattina, dopo aver alzato le otto persiane avvolgibili della casa parrocchiale,
passo in chiesa e, inginocchiandomi davanti al tabernacolo, ripeto: «Perché sei
abbandonato Gesù, perché sei desolata, Maria, eccomi!». È il primo «caffè»
della giornata senza il quale non mi sveglierei davvero.
Venne a visitare la Scuola
il cardinale di Quito e c'era aria di festa, ma... bisognava anche
organizzarla. Ci era stato detto: «Coloro che sanno cantare o suonare qualche
strumento sono pregati di riunirsi dopo cena e di preparare un programma
ricreativo».
Un brasiliano con la
chitarra, un nazaretano con il violino e un olandese e un siciliano per
cantare, eravamo tutti lì a guardarci in faccia: molti sorrisi, poca musica e
pochissimo italiano per capirci.
Aspettai un po' e offersi
timidamente il mio contributo. Ci trovammo tutti d'accordo ed io, con una
canzone siciliana, con la chitarra e il solo accordo di «mi maggiore» a
disposizione, forestiero alle crome e
alle semibrevi, divenni in breve tempo e per tutta la durata della Scuola
direttore d'orchestra e regista di spettacoli d'occasione.
Erano cose semplici, ma
divertivano, forse perché il vero maestro che ogni volta utilizzava le nostre
povere risorse e i nostri piccoli talenti era Gesù presente in mezzo a noi per
la carità fraterna.
Durante la Scuola si sono
piantati nella mia vita tre pilastri: Gesù nel suo abbandono sulla croce, Gesù
in mezzo per il miracolo dell'amore fraterno e la volontà di Dio nell'attimo
presente. Essi mi hanno fatto scoprire l'importanza vitale del sacerdozio
regale che solo può dar valore al mio sacerdozio ministeriale, perché fa
precedere la vita evangelica all'esercizio del ministero.
Sono passati tredici anni da
quando ho fatto questa esperienza di vita a Frascati e in questo tempo ho
cercato di incarnare nel quotidiano quanto avevo appreso.
Una visita inaspettata
Ultimamente sono stato
chiamato al telefono dal rettore del nostro seminario che mi comunicava:
«L'arcivescovo vorrebbe trascorrere una giornata con i seminaristi al fresco
della pineta della tua parrocchia». Ho detto di sì.
Nel giorno stabilito sono
arrivati e, dopo un breve rinfresco in canonica, li ho accompagnati ad una
pineta. Si era nell'imminenza del Sinodo dei vescovi sulla formazione dei
sacerdoti e se ne commentava l'Instrumentum laboris. Ero l'unico parroco
presente e spesso il vescovo mi invitava a dire il mio pensiero che esprimevo
con spontaneità.
La domenica successiva
leggevo nel settimanale diocesano che l'arcivescovo aveva portato i seminaristi
a Buccheri non tanto in cerca dell'ombra di una pineta, ma «per metterli a
confronto con una parrocchia».
Più tardi mi resi conto del
perché il vescovo ogni tanto s'interrompeva per chiosare: «Avete visto, venendo
qui, quale stile deve avere oggi il prete?».
Egli stesso infatti aveva
fatto da cicerone: aveva mostrato la chiesa, la casa, le aule di catechismo;
aveva presentato un gruppo di persone della comunità che stava preparando per
loro il pranzo e aveva spiegato in che modo il parroco e il consiglio per gli affari
economici gestivano l'amministrazione parrocchiale.
A servizio della comunione,
come Maria
È proprio vero che questo
carisma dell'unità che Dio ha posto nell'Opera di Maria ti fa chiesa nel senso
più profondo della parola, perché ti mette in condizione di incarnare l'unità
nelle stesse strutture ecclesiali come la parrocchia e la diocesi.
Da un po' di tempo sono
stato incaricato di portare avanti il vicariato della mia zona. Mi sono
riproposto come primo compito di «far casa ai preti» e di fare mio, come
programma di vita, una meditazione di Chiara Lubich su Maria desolata:
«Coltiverò le sue virtù più amate, perché sul nulla di me sfolgori la Sapienza
di lei. E molti, tutti i suoi figli prediletti, i più bisognosi della sua
misericordia, abbiano dovunque la sua materna presenza in un'altra piccola
Maria».
Gaetano Garfì