Dal Brasile: «Non vi temo perché vi amo»

 

 

Il carisma dell'unità e i seminari

 

 

di mons. Alberto Taveira

 

«Si esprime il voto che altri sacerdoti si preparino ad esercitare lo stesso lavoro nella stessa linea e con uguale carisma». Questo l'invito della Santa Sede dopo la visita al seminario di Belo Horizonte, Brasile, dove era rettore Alberto Taveira, attualmente vescovo ausiliare di Brasilia. Egli era entrato in seminario attratto - come egli stesso racconta - da una forza interiore ed aveva perseverato fino alla teologia, quando si fece molto acuta la crisi nella Chiesa. Anche i giovani prossimi al sacerdozio ponevano serie domande alla Chiesa circa la sua attuazione nel campo sociale, la cui problematica sconvolgeva non solo il Brasile ma tutta l'America latina e tanti altri paesi del Terzo Mondo.

 

In  questo  clima  i seminari  si  svuotavano e molti preti, non vedendo più con chiarezza lo scopo del loro ministero, l'abbandonavano. Per una grazia speciale io accettai l'ordinazione presbiterale perché, nonostante tutta la confusione regnante nel mondo ecclesiastico, avevo nel cuore la certezza che Dio mi amava e che il sacerdozio doveva pur essere una cosa straordinaria se Gesù mi chiamava in condizioni così eccezionali. Dissi il mio sì con convinzione e gioia.

Appena ordinato, mi fu affidata una grande parrocchia nella mia città natale. Fu subito un fiorire di iniziative pastorali da parte mia e una corrispondenza entusiasta da parte dei parrocchiani.

Il ricordo più bello, però, di quegli anni fu l'incontro con un giovane sacerdote, parroco nella stessa città, che mi fece un proposta inusitata: «Perché - mi disse - non ci impegniamo a vivere insieme il vangelo per poi trasmetterlo in modo che la Parola che annunciamo ai parrocchiani sia testimoniata dalla nostra vita?».

Vi aderii immediatamente e confesso che sul mio orizzonte di giovane sacerdote apparve qualcosa di essenziale che viene prima dei programmi pastorali: l'amore fraterno come quello dei primi cristiani.

 

 

 

Nel focolare dei sacerdoti

 

Dopo qualche anno il mio amico morì in un incidente, ma ormai egli mi aveva già introdotto in un gruppo di sacerdoti che seguivano la spiritualità del Movimento dei focolari. Ci trovavamo insieme ogni quindici giorni per pregare, per meditare la Parola di Dio, per riposare e soprattutto per mettere in comune la nostra vita.

Il responsabile del gruppo, don Guerino Pontello, era un sacerdote anziano che mi impressionava per la capacità che aveva di creare la comunione tra tanti sacerdoti di diverse diocesi, mentre contemporaneamente portava avanti la sua parrocchia senza mai perdere la serenità e l'entusiasmo. Ancora oggi egli, consumato dall'età e dall'infermità, continua ad essere un faro di luce in mezzo a noi.

Nel desiderio di approfondire la nuova vita, affrontavo ogni mese un viaggio di 600 Km, insieme ad altri sacerdoti, per andare alla fonte del carisma dell'unità. Si spendevano tempo, energie e denaro, ma valeva la pena. Persino i parrocchiani mi facevano notare che quando ritornavo da questi incontri ero un'altra persona e anche le mie prediche erano più semplici e più profonde.

Nel '76 chiesi un anno sabbatico per andare alla Scuola Sacerdotale di Frascati. Il mio arcivescovo accolse la proposta come un bene per la diocesi, perché sapeva che questa Scuola era un mezzo particolarmente valido per la formazione permanente dei sacerdoti.

 

 

 

«Funzionerà?»

 

La scuola, a contatto diretto col Centro dell'Opera di Maria, allargò i miei orizzonti e segnò la mia vita in maniera decisiva.

Lo stile di vita che vivevo con altri sacerdoti di circa trenta paesi tanto diversi non era affatto accademico. La Parola di Dio, vissuta nei lavori anche più umili e messa in comune in piccoli gruppi, ci introduceva nella vita comunitaria.

Alla fine di questo periodo rimasi sorpreso con me stesso, perché notai che tutta la teologia studiata prima aveva un altro sapore: poteva essere tradotta in vita.

Scoprii anche la perenne giovinezza della Chiesa, che si rinnova in ogni epoca ad opera dei carismi che Dio non le fa mancare. I testi della Scrittura e dei Padri della Chiesa, il contatto con la realtà di Roma, con la ricchezza della sua tradizione cristiana, tutto per me era nuovo, perché visto alla luce di una spiritualità consistente e moderna.

Confesso che, quando ero arrivato alla Scuola Sacerdotale, avevo nel mio intimo una domanda: «Funzionerà davvero quello che Gesù ha promesso dicendo: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”?» (Mt 18, 20).

La risposta mi venne dall'amore dei fratelli. Mi accorsi che questa verità è molto semplice. Infatti Gesù non pone altre condizioni che l'amore reciproco. Nella misura in cui io superavo le mie resistenze cercando di amare l'altro, sperimentavo questa presenza che non richiede fenomeni straordinari. Questa presenza di Gesù nella comunità faceva cadere tante barriere. Culture differenti, lingue a volte incomprensibili, temperamenti forti, che in altri ambienti sarebbero stati ostacoli insormontabili, in quella scuola erano materia prima per vivere l'amore fraterno.

Il sette dicembre di quell'anno, davanti a Gesù Eucaristia potei dire: «È vero! Tu sei realmente presente dove due o più sono riuniti nel tuo nome».

Ma la scoperta più importante la feci nella seconda parte della Scuola, quando capii che la chiave dell'unità con Dio e coi fratelli è Gesù crocifisso e abbandonato abbracciato per amore nei piccoli e grandi dolori della vita. Questa scoperta mi diede un coraggio nuovo per affrontare poi le situazioni difficili che mi attendevano.

 

 

 

«Non vi temo perché vi amo»

 

Ritornato nella mia patria, dopo una breve permanenza in parrocchia, fui invitato ad assumere la direzione del seminario maggiore che stava attraversando varie difficoltà. Per caso in quei giorni si trovava in Brasile Toni Weber, che tanto mi aveva aiutato nella Scuola a Frascati, e chiesi a lui se era il caso di accettare un incarico che mi faceva tanta paura. Mi tranquillizzò, invitandomi a fidarmi di Dio e ad affrontare i problemi con spirito di fede, ripetendo a me stesso davanti alle difficoltà: «Non vi temo, perché vi amo». Così andai in seminario.

Lasciavo la parrocchia, ma, con mia sorpresa, da essa venivano frutti inattesi: diversi giovani sentirono la chiamata al sacerdozio e alcuni di loro oggi sono già preti; una ragazza si consacrava a Dio nel focolare; e molti parrocchiani si mettevano a disposizione del nuovo parroco per portare avanti la vita cristiana fiorita in quegli anni.

In seminario iniziai il mio lavoro con l'appoggio di tanti sacerdoti della diocesi ed anche di preti di altre diocesi che condividevano la spiritualità dell'unità. Questo permise di costruire un rapporto sempre più profondo tra il presbiterio diocesano e il seminario: i sacerdoti sentivano il seminario come casa propria e i seminaristi scoprivano la bellezza di appartenere alla grande comunità diocesana.

Contemporaneamente in varie parti del Brasile molti sacerdoti del Movimento furono destinati dai loro vescovi alla formazione dei futuri presbXteri. Fu naturale ritrovarci tutti insieme una volta al mese nella Mariapoli Araceli, la cittadella del Movimento dei focolari, per mettere in comune le nostre esperienze e per impostare il nostro lavoro alla luce del carisma dell'unità.

 

 

 

Un nuovo metodo formativo

 

Mi sforzavo di applicare nel seminario i principi evangelici vissuti nella scuola di Frascati, cercando di creare una comunione di vita con i seminaristi, costruendo un rapporto personale con ognuno in modo che ogni giovane si sentisse capito nella sua condizione personale.

Fu un tempo di grazie straordinarie e di grandi frutti per il seminario e per la diocesi, anche se non mancarono grandi croci e momenti di oscurità. In un periodo di crisi generale la nostra arcidiocesi ebbe, nel giro di poco più di un decennio dalla riapertura del seminario, ben ottanta ordinazioni presbiterali.

Nel 1981 la Santa Sede confermava il cammino da noi intrapreso. Il visitatore apostolico infatti così scrisse all'arcivescovo: «L'andamento generale del seminario sembra trarre non pochi vantaggi dalle buone e strette relazioni con il clero diocesano. Le frequenti visite di sacerdoti, favorite dalla fraterna affabilità dei superiori, mentre costituiscono un segno tangibile dell'interessamento dell'arcidiocesi per l'opera formativa, aiutano in pari tempo a realizzare quel graduale inserimento degli alunni nella più ampia comunità del presbiterio diocesano, che viene auspicato vivamente dalla Ratio Fundamentalis...

Nella vita comunitaria si nota la compostezza e l'ordine, che facilita un'opera formativa serena e veramente costruttiva. Essa si basa sulla volenterosa collaborazione degli alunni, esercitata nel clima di libertà e di dialogo, favorito dalla grande disponibilità dei superiori».

La Santa Sede riconosceva, nel suo giudizio, il valore dell'impostazione che avevamo dato alla formazione: «Abbiamo infatti appreso - così la lettera della Congregazione romana - che i futuri sacerdoti sono assistiti nel loro cammino verso l'altare con vera competenza pedagogica e con amore, alla luce dei genuini ideali sacerdotali, come vengono ripetutamente ribaditi dai documenti della Santa Sede e dal magistero del Santo Padre...

Si esprime il voto che altri sacerdoti si preparino ad esercitare lo stesso lavoro nella stessa linea e con uguale carisma» (Sacra Congregazione per l'Educazione Cattolica, Prot. 615/81/8).

Capivo molto bene che questo riconoscimento non era dovuto alle qualità mie personali, ma al carisma dell'unità che informava la vita del seminario.

 

 

 

L'influsso negli altri seminari

 

In seguito fui eletto segretario esecutivo dell'organizzazione di tutti i seminari maggiori brasiliani e molti superiori mostrarono particolare interesse per la nostra esperienza. Ebbi modo anche di esporre il nostro cammino in una riunione dell'organizzazione di tutti i seminari latinoamericani. La cosa piacque molto e mi aggregarono nel gruppo direttivo di questa organizzazione con l'incarico di diffondere questo metodo in America Latina.

Fu così che la spiritualità del Movimento dei focolari divenne punto di riferimento per molti che trovavano in essa la forza per assumere alcune sfide che la Chiesa di questo continente doveva affrontare. Infatti i seminari dell'America Latina sono alla ricerca di forme consistenti e autentiche di vita comunitaria superando i formalismi e l'autoritarismo; essi sono un campo aperto per una proposta di comunione dei beni perché i nostri giovani, anche se marcati dal consumismo dominante, conservano ancora una grande sensibilità per la povertà evangelica se vissuta nella comunione; gli stessi formatori, infine, hanno una forte esigenza di comunione fra loro.

Dopo l'85, pur rimanendo legato al seminario, fui incaricato di coordinare alcune attività pastorali dell'arcidiocesi e soprattutto di introdurre nella vita pastorale i giovani sacerdoti perché potessero continuare in parrocchia quella vita di comunione appresa in seminario.

Nel 1989 mi fu affidata una parrocchia rurale lontana dal centro diocesi e anche qui avevo la possibilità di continuare a portare avanti la vita di comunione tra i sacerdoti.

Devo dire che dalla mia ordinazione fino ad oggi non sono stato mai solo, ma, per la spiritualità dell'unità, ho avuto sempre sacerdoti con cui ho potuto concretizzare una vera comunione fraterna.

 

 

 

Per la vita del mondo

 

Nel '77 chiesi a Chiara Lubich una parola della Scrittura che orientasse tutta la mia vita. Mi fu data questa frase: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Gv 6, 51).

Avevo cercato di prendere sul serio questo invito, sforzandomi di essere a servizio di tutti, ma non mi aspettavo che nel '91 Dio mi chiamasse al ministero episcopale come vescovo ausiliare della capitale del Brasile.

Avevo appena quarant'anni e non avevo niente da offrire, ma la famiglia sacerdotale, che mi aveva sostenuto fino allora, mi diede il coraggio di accettare.

Dopo circa un anno riconosco che anche nella nuova diocesi, dove mi è stato affidato un vicariato con un milione di abitanti, ventitré parrocchie e trenta sacerdoti, ho potuto continuare lo stesso stile di vita. La mia poca età è una scusa, di cui Dio si serve per stabilire un rapporto semplice e diretto con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e con il popolo. Ho trovato un'accoglienza paterna nel cardinale di Brasilia e una vera fraternità da parte dei sacerdoti.

Non so ancora cosa Dio mi riserva per il futuro. Di una cosa sono certo: il carisma dell'unità che porto nel cuore mi spinge a costruire ponti con tutti. Alimento in modo particolare un solo desiderio: poter vivere anche con i confratelli vescovi la fraternità sperimentata finora con i sacerdoti, una fraternità effettiva ed affettiva che renda credibile il nostro ministero all'uomo d'oggi.

 

Alberto Taveira