Scuola Sacerdotale: da una
santità individuale ad una santità comunitaria
La pedagogia del carisma
dell'unità
di Anton Weber
Anton Weber, sacerdote
diocesano focolarino della diocesi di Basilea, Svizzera, dopo essersi laureato
in teologia all'Università Gregoriana, col permesso del suo vescovo fu per
molti anni il responsabile della Scuola Sacerdotale a Frascati e poi
ultimamente diede vita alla Scuola Sacerdotale a Tagaytay nelle Filippine. È
ritornato alla casa del Padre il 16 aprile 1990 e tanti dei nostri lettori, che
lo hanno conosciuto ed apprezzato, lo ricordano con molto affetto. Trascriviamo
qui un suo discorso, tenuto a Tagaytay davanti ai rettori e direttori
spirituali dei seminari asiatici riuniti a convegno, perché ci sembra che
esprima bene la pedagogia che si segue nelle scuole che l'Opera di Maria offre
per la formazione permanente dei sacerdoti e dei seminaristi.
Certamente ci sono
molte vie che
conducono alla santità, basate sui grandi carismi dati da Dio alla sua
Chiesa durante i secoli. La nostra via, che scaturisce dal carisma dell'unità,
è l'ultimo fiore sull'albero antico e sempre nuovo della Chiesa e ci sembra che
risponda ai bisogni e alle sfide del nostro tempo.
La nostra epoca, malgrado
tutte le tensioni e i conflitti, manifesta una decisa tendenza verso l'unità.
L'unità era la parola d'ordine del discorso di Giovanni XXIII all'apertura del
Concilio Vaticano II; l'unità è la parola che riecheggia continuamente in tutti
i documenti conciliari; l'unità è il segno dei nostri tempi.
I. L'ideale dell'unità
Il sacerdote oggi, per
essere in sintonia con le esigenze della storia e con l'appello della Chiesa,
deve essere un uomo di comunione e di dialogo. Gesù stesso prima della sua
morte ha pregato per l'unità dei suoi apostoli, quindi prima di tutto per noi
sacerdoti, affinché siamo una cosa sola perché il mondo creda che il Figlio di
Dio è stato mandato al mondo.
Già prima del Concilio
fiorivano nuove forme di vita comunitaria, era in atto un fervoroso
rinnovamento liturgico e biblico, nasceva una nuova coscienza della missione
del laicato, si additava alla famiglia la sua vocazione di «chiesa domestica» e
cominciava ad emergere l'importante ruolo della donna nella Chiesa e nella
società. Le prime sessioni del Concilio portarono subito alla riscoperta della
Chiesa, come popolo di Dio, come comunità dove il Signore risorto è presente.
1. Le nostre prime
esperienze
Precedendo il Concilio di
qualche decennio, il Movimento dei focolari tendeva già ad incarnare l'ideale
dell'unità. In esso laici e sacerdoti, vergini e sposati, si sforzavano di
vivere l'unità in tutte le differenti realtà della vita, dal presbiterio alle
comunità ecclesiali, dalla famiglia agli ambienti di lavoro.
Io ricordo ancora che ci
ispiravamo alla lettera di sant'Ignazio di Antiochia, dove l'unità, come una
divina sinfonia, fa risuonare nella Chiesa e nell'universo la Parola di Dio,
manifestazione della sapienza divina nella storia dell'uomo.
Tanti ci domandavano: «Ma
come è possibile vivere l'esperienza cristiana in mezzo ad una società
capitalista o socialista che, sotto la spinta della secolarizzazione, diffonde
dappertutto l'ateismo? È possibile
aprire un dialogo con tutti gli uomini e le donne dei nostri tempi?». E noi
rispondevamo: «Sì è possibile, vivendo l'unità». L'unità, come frutto
dell'amore scambievole, in ogni parrocchia, comunità, presbiterio; unità nelle
scuole, negli uffici, nelle famiglie. Tramite la vita di Gesù in mezzo a noi,
riuscivamo a penetrare nel cuore delle scritture dell'Antico e Nuovo Testamento
e a modellare le nostre esperienze personali e comunitarie secondo la Parola di
Dio.
Queste esperienze a loro
volta ci erano di luce e di sprone per servire i prossimi, specialmente quelli
nel bisogno, per ascoltare Gesù nell'autorità della Chiesa, per incontrarlo in
modo vitale nell'Eucarestia e per approfondire la nostra vita di preghiera.
Capivamo quanto fosse vero che egli era con noi sempre, fino alla fine del
mondo (Mt 28, 20). E su questo sfondo dell'esperienza del Signore risorto,
presente nella sua Chiesa, noi abbiamo affrontato i problemi e contribuito alle
conquiste della Chiesa nel periodo postconciliare.
2. L'esempio che trascina
In questo contesto, io vedo
anche la mia personale esperienza e quella di tanti sacerdoti con i quali ho
condiviso la vita.
Dopo il servizio militare,
sono entrato in seminario con la ferma decisione di prepararmi bene al
ministero sacerdotale. Sentivo fortemente che, avendo messo da parte la
possibilità di formare una famiglia naturale, dovevo trovare una famiglia
soprannaturale, in cui i rapporti personali fossero ispirati dal vangelo. Per
una grazia particolare, poche settimane dopo essere arrivato nel Collegio
Germanico a Roma, ho incontrato un gruppo di laici del Movimento dei focolari.
Ero molto toccato dall'esperienza d'amore scambievole e di unità tra loro,
perché intuivo che questa è l'espressione matura della vita di una comunità
cristiana come descritta nel vangelo di Giovanni. E non era soltanto
l'esperienza di un bel rapporto interpersonale su di un piano umano; in
quell'incontro con un piccolo gruppo di laici, ho sperimentato la presenza di
Gesù, perché dove due o tre sono uniti nel suo nome, vivendo il comandamento
nuovo, lì c'è il Signore risorto. Questo incontro fu la risposta di Dio a tante
mie domande. Fu dunque un punto di arrivo, ma anche un nuovo inizio nella mia
vita.
Allora mi dissi: «Se dei
laici vivono il vangelo in un modo così radicale, perché non dovrei viverlo
anch'io, con la stessa radicalità, nel seminario?»
3. L'unità e i sacerdoti
Cominciò così per me
un'avventura divina e umana, un viaggio spirituale per il mondo che, mettendomi
in contatto con tantissime realtà culturali e religiose differenti, mi ha dato
l'opportunità di un dialogo senza frontiere. Ed ho potuto notare che i
sacerdoti, in ogni parte del mondo, sono alla ricerca della loro vera famiglia,
di un'autentica fraternità nel presbiterio diocesano e con il proprio vescovo.
Ho potuto costatare che,
quando essi hanno la fortuna di fare l'esperienza di appartenere ad una tale
famiglia, tanti loro problemi che prima sembravano insolubili spariscono come
per incanto. Anche situazioni impossibili possono essere affrontate e risolte,
quando vengono illuminate dalla luce del Risorto presente in mezzo a loro.
D'altra parte lo stesso
Gesù, per formare i suoi apostoli, camminando per le vie della Galilea, entrava
nella loro vita, condivideva le loro gioie e i loro dolori, li chiamava ad uno
ad uno per nome e rivelava il piano divino sulla loro vita, invitandoli a
seguirlo e a rimanere con Lui. Gesù dava loro occhi nuovi, apriva nuovi
orizzonti, mostrava come si devono affrontare i problemi della società: la
violenza, i dolori, le tasse, il rapporto con le donne, con i peccatori, con i
malati e con coloro che erano emarginati dalla società e dai capi religiosi.
Gli apostoli non erano soltanto ammaestrati a ripetere la sua dottrina, ma ad
essere, con la loro vita, testimoni della presenza del Signore.
Anche oggi, camminando con
il Risorto, egli ci rivela la nostra identità e il nostro posto nella Chiesa e
in questa esperienza di comunione noi troviamo la nostra vera casa.
II. La pedagogia dell'Opera
di Maria
La spiritualità dell'unità,
nata dal testamento di Gesù «che tutti siano uno», spiritualità tipica del
Movimento dei focolari,1 offre una pedagogia che ci guida in questo cammino di
santità, fino a farci ripetere le parole di san Paolo: «Non sono più io che
vivo, ma è Cristo che vive in me».
1. La scoperta di
Dio-Amore
e della sua volontà
Il punto di partenza di
questa pedagogia è una conversione radicale, una metanoia che normalmente è
provocata da un'esperienza di fallimento. Quando tutto cade e si sperimenta che
tutto è vanità delle vanità, allora la verità che Dio è amore, è compresa in un
modo totalmente nuovo. Dio è amore e ogni persona, ogni cosa, ogni evento è
dono del Padre che ci ama immensamente. Noi non siamo più orfani. La nostra
vita è nelle sue mani. Noi crediamo nel suo amore, e lo mettiamo al centro
della nostra vita, al di sopra di ogni altra persona e cosa. Può darsi che
prima il nostro ideale fosse il sacerdozio: l'intera formazione nel seminario
spesso era centrata su questo; e può darsi che ciò ci abbia fatto dimenticare
che, come ogni cristiano, noi dobbiamo vivere innanzitutto il sacerdozio regale
per seguire Gesù.
Quando accettiamo Dio come
nostro Padre, tutti i pregiudizi, i sentimenti di superiorità culturale e
razziale, le ragioni per operare discriminazioni perdono la loro importanza.
Quello che importa è fare la Sua volontà momento per momento come ha fatto Gesù
fino alla morte di croce. Scegliere di compiere la volontà di Dio non ha più il
senso passivo della rassegnazione, ma diventa l'espressione concreta della
nostra scelta di Dio come ideale della nostra vita. Questo ci libera dai nostri
attaccamenti e da un attivismo esagerato; ci concentra nel «porro unum,» nella
sola cosa veramente necessaria, che è l'unione con Dio nella sua volontà.
Questa è la via popolare alla santità, valevole e praticabile in tutte le
vocazioni.
2. La svolta
antropologica
Dal nostro amore a Dio nasce
l'amore verso i nostri prossimi. Questo significa servire e farsi uno con chi
ci è vicino nel momento presente. Di fronte alla crescente scarsità dei
sacerdoti in tante chiese locali e alla continua richiesta di servizi
liturgici, c'è il rischio che la vita del prete si riduca ad una sequenza di
funzioni sacre senza profondi rapporti personali con i suoi prossimi.
Ora la svolta antropologica
del Concilio, riproposta e sottolineata da Giovanni Paolo II nella sua prima
lettera enciclica, Redemptor Hominis, dice che l'uomo «è la prima strada che la
Chiesa deve percorrere nel compimento della sua missione: egli è la prima e
fondamentale via della Chiesa, via tracciata da Cristo stesso, via che
immutabilmente passa attraverso il mistero dell'incarnazione e della
Redenzione» (n. 14). «È la via sperimentata da secoli, ed è, insieme, la via
del futuro. Cristo Signore ha indicato questa via, soprattutto quando - come
insegna il Concilio - “con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo
modo ad ogni uomo”. (...) Gesù Cristo è la via principale della Chiesa. Egli
stesso è la nostra via “alla casa del Padre”, ed è anche la via a ciascun uomo.
Su questa via che conduce da Cristo all'uomo, su questa via sulla quale Cristo
si unisce ad ogni uomo, la Chiesa non può essere fermata da nessuno» (n. 13).
Per diventare uomini di
comunione e di dialogo, dobbiamo dare piena attenzione a ciascuna persona:
tutti sono figli e figlie di Dio; tutti hanno valore infinito. Secondo la
regola pastorale di san Gregorio Magno, che tanto ha influito sulla vita dei
pastori lungo i secoli, «l'arte delle arti» è la capacità di condurre a Dio le
persone affidate al nostro servizio. Ma come possiamo guidare gli altri senza
lo sforzo costante di stabilire relazioni interpersonali profonde con loro
nell'amore e nella verità di Cristo e senza ascoltare il nostro prossimo,
svuotando noi stessi di fronte a Gesù presente in ogni uomo? Sicuramente, noi
partecipiamo della Sua missione profetica, dobbiamo parlare e predicare, ma non
possiamo realmente insegnare come Gesù insegnava se non siamo, come Gesù, in
sintonia col Padre e con la sua volontà. Solo allora Gesù ci introduce nella
sua intimità con il Padre e noi possiamo ripetere nello Spirito: «Abba», Padre.
3. La legge della vita
Un'altra tappa in questa
pedagogia spirituale è la reciprocità dell'amore, secondo il comandamento nuovo
di Gesù, la perla del vangelo: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati».
Qui abbiamo la vera essenza del cristianesimo che ci apre la strada per vivere
la vita trinitaria sulla terra, nella nostra storia umana. Questa è la legge
fondamentale della Chiesa, dove tutti i membri sono chiamati ad essere perfetti
nell'amore; è la legge di ogni comunità cristiana ed è l'unica legge che può
realmente trasformare la società. Solo se viviamo l'amore scambievole, siamo
riconosciuti discepoli di Gesù (cf Gv 13, 35).
«Nessuno ha un'amore più
grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 12). Con questo
impegno ad essere pronti a morire l'uno per l'altro, i rapporti interpersonali
acquistano una qualità nuova e provocano un reale cambiamento innanzitutto in
noi e poi, per effetto della testimonianza, aprono alle conversioni e suscitano
vocazioni. Non solo, ma questa disposizione a dare la propria vita l'un
l'altro, ci fa sperimentare la presenza di Gesù in mezzo a noi (Mt 18, 20), una
presenza che diventa la norma di tutte le norme da premettere a tutte le
iniziative apostoliche per assicurarne la fecondità.
4. Il mistero pasquale:
Gesù abbandonato e risorto
Come Gesù conduceva i suoi
discepoli all'apprendimento e all'accettazione della sua passione e croce, pure
noi, nel nostro cammino spirituale, siamo chiamati ad approfondire la nostra
scelta di Dio. Ad un certo momento, i nostri occhi si sono fissati
sull'abbandono di Gesù in croce, sul suo grido: «Dio mio, Dio mio, perché mi
hai abbandonato?» (Mt 27, 46). Qui Gesù raggiunse il culmine del suo dolore
spirituale, morale e fisico, e passò per la notte più oscura, sperimentando
l'assenza del Padre, la separazione da lui, facendosi «peccato» per noi, come
dice san Paolo.
La pedagogia della
spiritualità dell'unità ci porta a scegliere, come ideale della nostra vita,
Dio nella massima manifestazione del suo amore per gli uomini in Gesù
crocifisso e abbandonato. Allora si impara a riconoscerlo nei differenti volti
con cui egli si presenta nel prossimo, in noi e fra noi, perché si è
identificato con tutti coloro che soffrono e sono abbandonati e con coloro che
nel mondo sono senza speranza e senza Dio. Gesù crocifisso e abbandonato si
rivela allora come la chiave che ricompone l'unità degli uomini con Dio e tra
di loro, sanando ogni divisione.
La verità di Gesù crocifisso
e abbandonato non solo è di grande rilievo nel contesto culturale moderno, ma è
indispensabile per il dialogo con i fratelli e le sorelle di altre religioni,
specialmente con i buddisti. Il famoso teologo tedesco Romano Guardini
affermava che, secondo lui, c'era solo una persona che si poteva in qualche
modo paragonare a Gesù e questi era Budda, perché «viveva in una libertà
incredibile, quasi sovrumana e con una bontà forte come una forza cosmica. Può
darsi che Budda sarà l'ultimo genio religioso con cui la Cristianità si dovrà
confrontare. Finora nessuno ne ha scoperto il valore cristiano. Forse Cristo
non ha avuto soltanto un precursore, Giovanni, l'ultimo dei profeti, ma tre:
Giovanni il Battista per il Popolo Eletto, Socrate nel cuore dell'antichità, e
Budda, che ha detto l'ultima parola sulla conoscenza religiosa orientale...»
(Romano Guardini, The Lord, Chicago, ET, 1954, p. 305).
5. Altri pilastri
importanti
Il nostro viaggio spirituale
è nutrito da una costante comunione con la Parola di Dio, riscoperta come
Parola di vita. Essa cambia il nostro modo di pensare, di amare, di agire, di
vivere. Essendo sorgente della presenza di Dio, come l'Eucaristia, essa è
essenziale per la nostra esistenza cristiana.
Prima di pregare per l'unità
(Gv 17, 21) Gesù instituì l'Eucarestia, il sacramento che rende possibile
l'unità. La comunione con Gesù eucaristico è vitale, come la comunione con Gesù
nella gerarchia: «Chi ascolta voi, ascolta me».
Maria, la discepola perfetta
di Gesù, ha seguito fedelmente questa pedagogia divina dall'inizio fino alla
fine della sua vita. Lei è il modello per la nostra via di santità. E, «dulcis
in fundo», lo Spirito Santo, Colui che ci guida e ci illumina, passo dopo
passo, in questo santo viaggio.
Tutti questi diversi punti o
pilastri della spiritualità dell'unità, connessi l'uno con l'altro e
interdipendenti, sono un «compendium» completo per un'esperienza spirituale
comunitaria
III. L'incarnazione nel
quotidiano
Mi sono limitato a
sottolineare la vita di unità, come via di santità, ma essa tocca e trasforma
progressivamente tutti gli aspetti della vita nelle sue dimensioni personali e
sociali. Sappiamo benissimo che la vita cristiana è normalmente espressa in
vari settori con obblighi o azioni da compiere durante le nostre giornate: per
esempio, c'è un tempo per lavorare e uno per riposare, un tempo per pregare e
un tempo dedicato all'apostolato e così via.
Se ci rendessimo conto che,
in realtà, c'è una sola cosa da fare: amare Dio, allora si opererebbe in noi e
attorno a noi una rivoluzione, perché noi andremmo al lavoro o alla preghiera,
al pranzo o a fare sport per amore, per amore a Dio e al fratello. La nostra
vita, così unificata, diventerebbe luminosa e affascinante.
Vivendo questa spiritualità
dell'unità, abbiamo notato che l'amore, messo in pratica nella vita quotidiana,
assume aspetti differenti, come una luce che, passando per un prisma, si
rifrange nei sette colori dell'iride, integrando tutti gli aspetti della vita
personale e sociale.
1. La comunione dei beni
Come prima cosa l'amore
porta a mettere tutto in comune. Per questa ragione anche i sacerdoti sono
spinti a vivere la comunione spirituale e materiale dei beni. Vivono la povertà
per condividere con coloro che sono nel bisogno. Vivono la giustizia
distinguendo, per esempio, le loro entrate personali dalle entrate che
appartengono alla comunità. La comunione vera abolisce la confusione dei beni
che ha creato ingiustizie, forme di discriminazione, anche fra i sacerdoti.
L'amore spinge a dare un rendiconto delle spese personali e a rivelare i reali
bisogni.
2. La testimonianza e
l'irradiazione
L'amore ci spinge verso gli
altri, perché di natura sua è diffusivo. La testimonianza, specialmente la
testimonianza dell'amore scambievole tra il parroco e il suo assistente è più
importante delle nostre prediche. La nostra prima predica è la testimonianza della
nostra vita, la nostra coerenza, la nostra autenticità nel vivere l'amore
evangelico. La gente del nostro tempo ascolta i maestri solo se il loro
insegnamento è confermato dalla loro vita.
3. L'unione con Dio
L'amore ci eleva a Dio e ci
porta all'unione con lui. Qui sta il fondamento della guida spirituale e morale
dei sacerdoti. Un sacerdote che ha una profonda vita interiore, vita di
preghiera, e che è fedele alle pratiche di pietà, diventa un sacramento vivente
della chiamata universale alla santità.
4. La cura della salute
L'amore nutre e sana sia
l'anima che il corpo. Il tempo libero e la giornata di riposo settimanale
diventano un momento di rinnovamento nella famiglia dei sacerdoti. Trascorrere
insieme il periodo delle vacanze è una grazia che ristora il corpo e lo
spirito.
5. L'armonia dei nostri
ambienti
In più, l'amore ci porta a
rimanere in contatto l'uno con l'altro, a incontrarci regolarmente, a
incoraggiarci l'un l'altro nel viaggio spirituale, e, conseguentemente, ci
rende esperti nell'arte di trasformare in Chiesa viva la gente dispersa. Questo
aspetto aiuta i sacerdoti a tenere bene la casa, che, pur essendo sempre aperta
alle necessità del mondo esterno, deve conservare l'indispensabile intimità con
l'armonia, l'ordine e la semplicità della casa di Nazaret. L'armonia riguarda
anche il modo di vestirsi: senza vanità e senza trasandatezza, ma avendo
coscienza della dignità di figli di Dio.
6. La sapienza cristiana,
lo studio e l'unità che ci fa Chiesa
L'altro aspetto include gli
studi, la sapienza e la contemplazione. Per farne l'esperienza, bisogna seguire
Gesù, l'unico maestro e attenersi alle condizioni da lui poste. Quali? Le
stesse che egli pose ai dodici: lasciare tutto e diventare poveri, per godere
della sua presenza in mezzo a noi. Occorre distaccarsi dai beni materiali.
Occorre perdere le certezze fondate sulla propria cultura, esperienza e studi.
Occorre anche il coraggio di camminare sulla strada percorsa da Gesù, quella
che porta alla croce. Formando un solo corpo con Gesù, come i dodici, si
ripeterà questa esperienza della sua presenza in mezzo a noi. Senza di lui non
avremo luce e sapienza perché lui solo è la luce, la sapienza. Senza l'amore
per lui non conosciamo il Padre, perché l'unico e vero esegeta di Dio è Gesù in
mezzo ai suoi.
Infine, l'amore genera
l'unità tra i membri del Corpo Mistico. Fa uso di tutte le forme di
comunicazione e mass media che possono aiutare a generare, sviluppare e
mantenere l'unità.
IV. Una spiritualità
comunitaria
Qual'è la caratteristica di
questo stile di vita? La nostra spiritualità è comunitaria. Viviamo il nostro
viaggio come membri di un solo corpo, di una sola famiglia.
Qualcuno potrà dire che già
nei conventi e in ogni forma di vita comune i cristiani vivevano così, uniti
nel nome di Gesù e usufruendo della sua presenza. Certamente ogni spiritualità,
frutto di un carisma riconosciuto dalla Chiesa, non è stata mai vissuta in
forma totalmente individualistica. Non possiamo essere cristiani senza l'amore
che ci unisce. Ma non si può negare che negli ultimi secoli si è posto
l'accento sull'individualità di ogni uomo o donna ed anche nella vita
spirituale si è enfatizzato l'aspetto individuale, rispetto a quello
comunitario.
1. Il «castello
interiore»
La vita spirituale è stata
considerata come un viaggio che ognuno, ritirandosi il più possibile nella sua
cella interiore, doveva compiere da solo per raggiungere la perfezione, che
consisteva nell'unione mistica dell'anima con Dio nel proprio intimo. Qui,
raggiunta l'unione trasformante, l'anima contemplava Dio e riconosceva il
proprio nulla di fronte alla maestà divina.
Naturalmente non si poteva
raggiungere questa perfezione senza l'amore al silenzio, al raccoglimento, alla
solitudine, e senza la fuga dalle creature per ritirarsi nella «cella
interiore». L'Imitazione di Cristo, che finora è stato di grande aiuto a tanti
per trovare una profonda comunione con Dio, dice: «I più grandi santi
evitavano, per quanto possibile, di stare con la gente e preferivano stare
appartati, al servizio di Dio. È stato detto: ogni volta che andai tra gli
uomini ne ritornai meno uomo di prima (Seneca, Epist. VII, 3). (...) È più
facile stare chiuso in casa che sapersi convenientemente controllare fuori
casa. (...) Se, dunque, uno si sottrae a conoscenti e ad amici, gli si farà
vicino Iddio, con gli angeli santi». (I, ìì, 1, 3).
2. Il «castello
esteriore»
Senza trascurare la sapienza
e le esperienze della prassi spirituale della Chiesa nel tempo passato, oggi lo
Spirito Santo ci spinge ad andare più in profondità, ad entrare più
radicalmente nel mistero di Dio presente nella storia umana. Paolo VI, alla
conclusione dell'ultima sessione del Concilio, disse: «Forse mai prima come in
questa occasione, la Chiesa ha sentito il bisogno di conoscere, di avvicinarsi,
di capire, di penetrare, di servire e di evangelizzare la società che la
circonda e di raccogliersi in essa, quasi rincorrendola nel suo rapido e
continuo stato di cambiamento».
Il modo con cui dobbiamo
rapportarci con il «mondo» e il modo con cui dobbiamo andare a Dio sono
cambiati. Dobbiamo andare a Dio attraverso la gente. La gente è divenuta la
porta che ci apre l'entrata verso la dimora di Dio. «Noi sappiamo che siamo
passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1Gv 3, 12). Più
serviamo i nostri fratelli e le nostre sorelle, più ci realizzeremo e troveremo
noi stessi e più sperimenteremo la presenza di Dio fra noi.
Perché ciò accada, dobbiamo
donare tutto per amare l'altro, perché lo stesso Dio che vive nei cieli vive
nell'anima di ogni prossimo, con cui bisogna «farsi uno» in tutto tranne che
nel peccato. Di fronte all'altro è necessario fare il vuoto, il silenzio,
essere niente, perché lo stesso rapporto con Dio «nei cieli» devo viverlo con
Dio presente nel «cielo» del prossimo.
Se questo atteggiamento
diventa reciproco, se ciascuno vede nell'altro Gesù ed è pronto a morire per
lui, allora si realizza sulla terra la vita trinitaria e si avverano le parole
di Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro».
(Mt 18, 20). E il Signore risorto agisce con la sua forza trasformante in mezzo
alla società.
Nella spiritualità di
comunione la presenza del Risorto non è solo il punto di arrivo, ma è anche il
punto di partenza per tutte le attività e le iniziative. Per questa ragione la
nostra unione con Dio è condizionata dal nostro rapporto con il fratello: «Se
dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha
qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima
a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,
23-24).
Santa Teresa parla del
«castello interiore», nella cella dell'anima santa, dove Sua maestà regna e
illumina tutto.
Nella spiritualità di
comunione c'è un «castello esteriore», dove
Dio regna non solo nella cella interiore dell'anima del singolo, ma in
mezzo al suo popolo.
In questo nuovo cammino,
aperto dallo Spirito ai nostri tempi, la Chiesa diventa sempre più se stessa,
quale sposa di Cristo e inizio della Gerusalemme celeste, di cui è scritto:
«Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi
saranno suo popolo ed egli sarà il “Dio-con-loro”» (Ap 21, 3).
Anton Weber