Meditazione: così potrebbe essere l'unità nella Chiesa

 

 

Come le corde di una cetra

 

 

di Chiara Lubich

 

 

La Scuola Sacerdotale fondata da Chiara Lubich ha lo scopo di contribuire a formare alla vita d'unità i presbiteri e i futuri sacerdoti in modo che essi siano capaci di costituire un presbiterio «armonicamente unito al vescovo come le corde alla cetra». È la visione della «Chiesa una», tanto cara ai Padri e tanto importante per il momento storico che viviamo.

 

Qualche  tempo  fa  ho  letto  delle  righe di Ignazio d'Antiochia e il mio cuore ha sussultato. Lì ho trovato parole che solo lo Spirito Santo può aver dettato. Lì ho trovato come deve essere la Chiesa.

 

 

 

Presbiterio armonicamente unito

 

Scrivendo agli Efesini, egli dice: «Conviene che siate sempre in accordo col pensiero del vescovo, ciò che già fate. Infatti, il vostro collegio presbiterale (e cioè il consiglio attorno al vescovo), giustamente famoso, degno di Dio, è armonicamente unito al vescovo come le corde alla cetra. Così, nella vostra unità di sentimenti e nella concorde carità, voi cantate Gesù Cristo».

È splendido: sembra una poesia e invece è soltanto il modo di essere della Chiesa. Qualcuno lo potrebbe interpretare superficialmente, ma è profondissimo. Ecco: i fedeli e particolarmente il collegio presbiterale sono uniti al vescovo come le corde alla cetra. Che vuol dire? Vuol dire che a quell'epoca era più viva di ora la coscienza di chi è il vescovo: colui che presiede «in luogo di Dio», lo definisce Ignazio, colui che fa le veci di Dio.

Ebbene, i fedeli ricchi di questa fede come si comportano col vescovo? Come si comporterebbero se dovessero trattare con Gesù Cristo stesso. Gli aprirebbero il cuore, la mente, sposterebbero qualsiasi interesse dentro di sé, per sentire e accogliere quanto Gesù dice al vescovo. E allora il vescovo, mosso da Gesù, non trovando alcun ostacolo davanti a sé, ma solo l'amore, si esprimerebbe pienamente, aprirebbe la sua bocca alla sapienza che incanta e sprona e fa compiere opere grandi. Non solo, ma, per l'unità dei fedeli col vescovo «come corde alla cetra», si verificherebbe in maniera nuova anche la presenza di Cristo che è lì dove due o più sono uniti nel suo nome.

 

 

 

Per cantare Cristo

 

Questa presenza darebbe alla parola del vescovo un'ulteriore unzione, luminosità, persuasione, forza così da far tutti ancor più uno in Dio. E tutti, per Cristo presente nel vescovo e tra loro, «canterebbero Gesù Cristo», cioè ci sarebbe la realtà di lui rispecchiata in una Chiesa viva.

Se poi qualcuno, poiché lo Spirito Santo è dato a tutti i fedeli, sentirà di dover dire qualcosa al vescovo, pensando d'aver avuto dal Signore qualche indicazione, qualche ispirazione, come farè? Donerà per amore e con distacco, al vescovo quello che sente. E Gesù nel vescovo potrà parlare liberamente, pronunziando parole in armonia con ciò che il fedele sente nel più profondo. Il risultato sarà che nel cristiano si confermerà ulteriormente la fede che nel vescovo è Cristo che parla e che facendo ciò che dice il vescovo si fa ciò che Dio vuole.

 

 

 

In una irreprensibile unità

 

Ma Ignazio non dice solo questo. Egli continua: «E ciascuno diventi coro, affinché, nell'armonia del vostro accordo, prendendo nell'unità il tono di Dio, cantiate ad una sola voce mediante Gesù Cristo al Padre; ed Egli vi ascolti e, dalle vostre buone opere, riconosca che siete membra del Figlio suo. È importante dunque che voi siate in una irreprensibile unità per essere sempre anche nell'unione con Dio».

Certamente, perché la Chiesa sia quella che deve essere, anche ciascun fedele deve diventare «coro» e questo lo fa vivendo con gli altri nella concordia di mente e di cuore. Lì, supposta l'unità con la Gerarchia, nell'unità fraterna si verifica la presenza di Gesù dove due o tre sono riuniti nel suo nome. E, perché c'è Gesù, lì è la Chiesa. Conosciamo la famosa frase di Tertulliano: «Dove tre (sono riuniti) anche se laici, lì è la Chiesa». Così facendo si può prendere «il tono di Dio nell'unità» - come dice Ignazio - e cantare «ad una sola voce mediante Gesù Cristo (che è lì fra tutti, in tutti) al Padre».

Ora la comunità come la pensava Ignazio - unità col vescovo e prima di tutto col Papa e unità tra i fedeli - è senz'altro realizzabile e tutt'altro che passiva.

E dobbiamo sperare che, sebbene la zizzania non si possa estirpare fra il buon grano, i fedeli della Chiesa sentano, fino agli ultimi confini, l'appello di Gesù all'unità, perché la Sposa di Cristo sia tutta viva di Lui e tutta testimonianza di Dio.

Del resto, la nostra è l'epoca dell'unità. Lo Spirito Santo soffia questa parola e suscita questa realtà a diversi livelli nella Chiesa: nel Concilio ecumenico, nel Papa, che tanto spesso inneggia all'unità, prima nota della Chiesa, e in vari movimenti spirituali.

 

Chiara Lubich

 

 

Da: CHIARA LUBICH, «Scritti Spirituali/4, Dio è vicino», Città Nuova Ed., Roma 1991, pp. 120-123.