Come nella

comunità apostolica

 

 

È sempre difficile parlare di «cose nuove» senza dare l'impressione di criticare le «cose vecchie»: è difficile parlare di rinnovamento di strutture, senza dare l'impressione di svalutare quelle passate costellate, al loro tempo, di evidenti successi nonché di innovatori e santi, e dunque «valide». Parliamo, qui, dei seminari, una delle istituzioni più benemerite create dalla Chiesa.

Ma è lecito pensare che un san Carlo Borromeo, se vivesse oggi quando coscienza, stili di vita, mobilità, informatica e mezzi di comunicazione mettono in ombra certi modelli, con la sua intelligenza spirituale non si sentirebbe, forse, legato alla «buona esperienza» data dai suoi seminari, senza peraltro dover fare alcun mea culpa per il passato, anzi. I sostenitori del «ritorno al passato» avrebbero tutte le ragioni, se facessero testo alcune esperienze di rinnovamento postconciliare attuate in certi seminari; esperienze «tentate» per salvare il salvabile in un periodo di crisi dovuto a cause sociologiche e a quello strisciante processo di secolarizzazione che, sebbene non poteva impensierire la struttura ecclesiastica, era tuttavia il sintomo più evidente che qualcosa non funzionava più come prima, perché una coscienza collettiva abbastanza generalizzata si era sganciata dai moduli tradizionali di comportamento che non riflettevano più le esigenze coscienti e subconsce della persona in un mondo cambiato.

Non sono state però, in genere, esperienze capaci di salvare tutto il positivo della tradizione, né ispirate a certi valori evangelici scivolati nel limbo della memoria. Il problema dunque rimaneva, tanto vivo da suscitare un Sinodo.

Ma non è l'istituzione seminario che è in gioco. In realtà il primo seminario l'ha istituito proprio Gesù. Giovanni Paolo II, in un discorso ai seminaristi legati al Movimento dei focolari, ha detto che mettere alla base della loro formazione l'amore scambievole - come essi dicevano - non significava altro che «prendere a modello la primitiva comunità apostolica» con Gesù, il Maestro, al centro. E l'Esortazione Apostolica postsinodale Pastores dabo vobis gli fa eco nelle splendide pagine contrassegnate dai nn. 42 e 60.

Il rinnovamento riguarda dunque soprattutto il tipo di formazione, lo stile di vita cui venire educati, il come raggiungere la maturità umana e cristiana per far fronte alle nuove sfide della società odierna.

In fondo, la prima comunità cristiana non aveva certo minori difficoltà a far penetrare nel mondo di allora la novità evangelica come idee e stili di vita. Ma era cosciente che la forza sovrumana richiesta dall'impatto col mondo pagano non poteva non venire che dall'essere in Cristo «un cuore solo e un'anima sola»: una testimonianza di vita nuova, dunque. Che vuol dire certamente unità nella fede, nel battesimo e nell'eucaristia, ma anche unità nel vangelo vissuto e nell'avere ogni cosa in comune, ossia vita trinitaria in terra.1

Ma si viene educati a vivere questi rapporti? Cosa significa «essere una cosa sola» col vescovo? Cosa significa vivere la comunione presbiterale? Come avere autentica comunione con i laici? Come attuare, insomma, il n. 74 dell'Esortazione?

Il presente fascicolo non ha altro scopo che presentare un'esperienza in questo campo.

 

S. C.