In una parrocchia di Manila, partendo dagli ultimi...

 

 

Una pastorale

nel segno della condivisione

 

 

a cura di Enrique Cambón

 

Dalle Filippine un'esperienza di evangelizzazione che, basata sulla carità che porta all'unità, s'incarna tra i poveri, promuovendoli e facendo loro spazio per diventare protagonisti. Intervista a don Pierino Rogliardi, sacerdote italiano, da anni parroco a Manila.

 

GEN'S: Potresti, in poche pennellate, farci un quadro della situazione socio-religiosa delle Filippine nel contesto asiatico?

 

In una risposta così breve ed estemporanea non posso certo offrire delle informazioni precise o esaurienti, però cito almeno un dato che ho raccolto recentemente sulla popolazione urbana nell'Asia, la quale si è triplicata in trent'anni (1950-1980) e si aspetta che almeno si raddoppi nei prossimi vent'anni.

È sintomatico, soprattutto se si inquadra nella realtà del continente asiatico dove nel 2000 si concentrerà i 2/3 della popolazione della terra. Qui il cristianesimo diventerà un pusillus grex in un maremagnum.

Le Filippine sono l'unica nazione cristiana, oltre che cattolica, dell'Asia, con l'82% di battezzati dei suoi 60 milioni di abitanti, mentre le altre nazioni asiatiche hanno soltanto dallo 0,2 al 5% di cristiani (tutti i cristiani insieme, ortodossi, protestanti e cattolici, costituiscono circa il 4% della popolazione asiatica).

Per cui le Filippine si trovano di fronte ad una grande responsabilità. Per questo il cardinale di Manila, Jaime Sin, di origine cinese, da tempo ha accolto tante congregazioni religiose straniere di ambo i sessi, per preparare cristiani autentici (e c'è pure un seminario ad hoc) nell'eventualità che la Cina apra le porte a Cristo.

Il ruolo della Chiesa, come si sa, è stato essenziale nella svolta democratica filippina. Ora che Cory Aquino ha fatto la strada a Fidel Ramos, nuovo presidente, si aspettano altri sviluppi positivi. La Chiesa, che è separata dallo Stato alla maniera statunitense, gode ancora di grande ascendente. Ben organizzata, nei momenti di tensione (corruzione politico-militare) o di emergenza (calamità naturali - vedi vulcano Pinatubo) è sempre in prima linea. È una Chiesa giovane, con solo 400 anni di cristianesimo, ma molto vivace e avviata verso la maturità.

 

 

 

Testimonianza che rivela l'amore di Dio

 

GEN'S: Qual è stato l'impatto che hai ricevuto nel dover inserirti in una realtà così nuova e complessa?

 

Entrando nelle Filippine giusto otto anni fa, ho cercato di mettermi nella posizione di servizio alla Chiesa locale in una parrocchia di 30 mila persone nella periferia di Manila, città con più di otto milioni di abitanti.

Inculturarsi non è facile, perché vuol dire morire a tutti i propri schemi, non pretendere di cambiare gli altri, ma adeguare se stessi alla situazione per poter un giorno offrire qualcosa all'altro.

L'efficientismo occidentale, il voler colmare in fretta i divari umani e risolvere qualcosa dei problemi sociali spaventosi, ha influito negativamente nell'approccio alla nuova realtà. Mi accorgo che avrei dovuto attendere di più, privilegiare maggiormente i rapporti personali, farmi di più uno con tutti.

L'aspetto positivo è stato che ho cercato di percorrere la via della testimonianza attraverso le opere di misericordia (o meglio di giustizia) che rivelassero l'amore di Dio, annunciando il Suo Regno e nello stesso tempo sfamando e curando.

Le opere che sono nate di conseguenza sono tante: clinica-maternità, falegnameria, impresa di costruzione, scuole per i poveri, un programma per bambini denutriti, la Cooperativa di credito e di consumo... La situazione in cui mi trovavo non solo mi invitava a fare queste cose, ma quasi mi costringeva. Attorno alla parrocchia, sulle rive d'un fiumiciattolo maleodorante, più di 2000 famiglie di baraccati formavano una «corona di spine» lancinante: come in altre parti del mondo, anche in Asia è impressionante la miseria della gente che vive nelle periferie delle grandi città.

 

GEN'S: In questo contesto, come hai portato avanti l'evangelizzazione?

 

Le Filippine non sono un paese rovinato dal consumismo o ateizzato (anche se questi fenomeni, ovviamente, prendono corpo pure lì) e nemmeno una terra dove bisogna impiantare il cristianesimo ex novo. Ha un sostrato religioso incoraggiante e in più vanta un laicato organizzato, e così desideroso di agire, da sorprendere a volte gli stessi pastori. È una forza dirompente: organismi pastorali, vari tipi di associazioni e movimenti, scuole e gruppi liturgici e catechetici, ministeri laici, ecc. Nella misura che ogni cosa continuerà a maturare nella comunione, con quelle caratteristiche del «popolo di Dio» descritte nel cap. II della Lumen Gentium, tutto ciò costituirà una vera ricchezza.

Nella nostra parrocchia ho puntato soprattutto a creare, come in un laboratorio, un nucleo centrale di persone che testimoniano già la realtà cui si mira. Infatti abbiamo un gruppo sempre più consistente, che trascende le particolarità dei vari settori ed associazioni, si coagulano sempre di più tra di loro e diventano capaci di superare le difficoltà che sorgono in una comunità così vasta. Gente disposta a costruire l'unità fra tutti, senza brama di potere ma solo col desiderio di amare e servire. Come parroco non mi sento al di sopra di queste persone: lavoriamo insieme, io con il mio carisma ministeriale, ma tutti corresponsabili, tutti Chiesa, ognuno al suo posto. E a volte sono anche sorretto quando ne ho bisogno.

 

 

 

Incarnare l'opzione per i poveri

 

GEN'S: Come state vivendo concretamente l'opzione dei poveri nella vostra realtà sociale?

 

Nel 1990, nell'incontro della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche, si è ancora ribadito che, assieme all'inculturazione e al dialogo interreligioso, il problema della povertà è uno dei principali compiti della Chiesa asiatica.

La scelta dei poveri non è vera se non s'incarna. A contatto della realtà di un paese dove il 60% vive al di sotto del livello di povertà, evangelizzazione e promozione umana sono inseparabili.

Non per nulla, nella Redemptor hominis (n.15) e in altri documenti sociali della Chiesa, si chiede se oggi davvero cresce parallelamente all'aspetto tecnologico l'amore sociale e il rispetto dei diritti altrui...

Mi sono sempre sentito a disagio di fronte ai poveri. Non potevo accettare le ragioni che ascoltavo dai cosiddetti «buoni cristiani» per giustificare il disinteresse verso questi «minimi» tra i fratelli.

D'altronde, tanti modi di approccio nell'evangelizzazione dei poveri tramite lo studio della Bibbia o gruppi di preghiera, pur veicolando certi valori, apparivano inadeguati e insufficenti. Ci vuole qualcosa di più vitale e concreto. È stato bello quando un gruppo di giovani della nostra comunità ha manifestato il desiderio di andare a vivere tra i tuguri dei baraccati per condividere la loro vita. Ne fui contento perché mi davano la misura della profondità a cui era arrivato lo spirito attinto dall'Ideale evangelico. L'evangelizzazione diventava presenza, parola fatta carne.

Nei momenti tragici, quando le squadre di demolizione al soldo dei potenti schiantavano le povere baracche, la parrocchia era là, i giovani ad erigere tende, le donne a preparare cibo, mentre si correva dalle autorità nel tentativo di salvare il salvabile.

Alla violenza si resisteva uniti in un solidale servizio che rimarginava i sentimenti d'odio e di vendetta. Di fronte alla triade del male: «Goons, guns, golds» (guardiespalle, armi, soldi), l'amore si dimostrava più forte.

L'anno scorso la nostra parrocchia ha avuto un riconoscimento, un «premio» della Caritas, su 211 parrocchie della diocesi  di Manila, e la motivazione diceva che in 6 anni la comunità aveva attuato un programma a tutto raggio per aiutare le persone bisognose nei vari settori, mentre «uno spirito comunitario è stato portato avanti, dove il ricco e il povero si donano mutuamente crescendo insieme e dando testimonianza dell'amore di Dio».

 

 

 

Un cuneo che penetra lentamente

 

GEN'S: Naturalmente la società non cambierà mai se non cambiano, oltre le persone, anche le strutture sociali ingiuste. Cosa riuscite a fare in questo senso?

 

Diverse iniziative si sono sviluppate, dentro delle nostre possibilità, che come abbiamo già avuto modo di costatare influiscono poi a più largo raggio anche in campo politico e sociale, dando un apporto per costruire quella «cultura del dare» (opposta alla cultura dell'avere) di cui ha parlato Chiara Lubich.

Non so quest'anno cosa succederà quando si saprà che il sognato progetto di 200 appartamenti per i più poveri è in via di realizzazione. Centinaia di famiglie hanno risposto all'appello per inserirsi nel ciclo che prevede una preparazione umano-spirituale e professionale.

Umano-spirituale perché il villaggetto che sta per sorgere si vuol ispirare - pur con le debite proporzioni - allo stile di vita che si cerca di avere nelle Mariapoli permanenti. Un posto dove il bene possa trovare condizioni di esprimersi e dove il male, pur inevitabile, non possa mettere radici. Si sta preparando una «carta» che verrà firmata da ogni famiglia beneficiaria.

Professionale, nel contempo, perché le famiglie che avranno la casa (e sono per lo più gente senza lavoro) dovranno poter diventare capaci di pagare quel minimo mensile fino ad esaurimento del mutuo bancario garantito dalla parrocchia.

 È un progetto pilota che, a Dio piacendo, potrà servire di esempio, per andare al di là dei soliti palliativi, giacché la casa è uno dei diritti fondamentali dell'essere umano. Sappiamo tutti che l'elemosina, pur santa e benedetta, non potrà mai risolvere i reali problemi dei poveri, ma bisogna cercare strade di compartecipazione, che concretizzino gli interventi del magistero della Chiesa sempre più aggiornati e coraggiosi. Nelle Filippine la svolta democratica con l'uscita di Marcos dalla scena politica nel 1987 deve ancora fare un lungo cammino per dare i suoi frutti. Ci vogliono persone che sappiano e vogliano partire dagli ultimi per rinnovare la società, in modo che i poveri non costituiscano solo oggetto o recipiente della carità e della solidarietà, ma diventino protagonisti, cioè parte viva e cosciente della vita ecclesiale e sociale.

È bello costatare come la Chiesa ha riconosciuto a partire dal Vaticano II il ruolo proprio del laicato, che vuol dire professionalismo ed efficienza nei vari campi, vuol dire disponibilità e azione concreta.

In questa linea è nata da noi anche un'altra iniziativa. Da più di un anno abbiamo fatto sorgere una Fondazione, cioè un gruppo di professionisti che volontariamente si radunano per portare avanti tutti i progetti che sorgono, assicurando la serietà e la continuità delle varie iniziative: un comitato tecnico, un comitato legale e un altro finanziario.

E vediamo che le varie azioni ecclesiali, sebbene ovviamente non bastano, costituiscono un vero contributo per cambiare o almeno intaccare quelle strutture ingiuste che continuano a seminare povertà ed emarginazione. Sono come un cuneo nella società che diffonde modelli e una mentalità nuova. E non si sa fin dove ciò può arrivare a influire. Racconto a riguardo solo un fatto recente.

Oltre ad altre piaghe, come la corruzione endemica da parte di politici e di membri dell'esercito e della polizia, molto difficile da debellare, nelle Filippine ci sono dei gruppi economici-finanziari, quasi degli imperi nello sviluppo edilizio, che sono potentissimi. Sono come dei «trusts» famigliari che agiscono alla maniera della mafia. Entrano in politica non in atteggiamento di servizio, ma dando l'assalto alle cariche pubbliche che diano loro il potere economico. Non racconto niente di nuovo, poiché sono delle realtà rese pubbliche, ben note attraverso i mezzi di comunicazione e che voi stessi potete leggere nei giornali.

Nelle ultime elezioni, a livello di deputati e di sindaci stava succedendo la stessa cosa di sempre, compra-vendita di voti, minacce e morte a chi si opponeva. La Chiesa ha lanciato una campagna «per una votazione responsabile e pulita», organizzando i laici a livello diocesano e parrocchiale.

Nella nostra zona, feudo riconosciuto da sempre di una di queste famiglie potenti e serbatoio di voti, la gente ha reagito meravigliosamente, in senso contrario all'ipoteca di sempre. Senza che io intervenissi di persona, si è visto, per la vita che circola, una coscienza nuova, una maturità, specie da parte dei giovani ma anche dei poveri che prima venivano comprati per pochi pesos.

Veramente tutto si può fare se lo spirito del vangelo che è di libertà e di condivisione, viene vissuto.

 

Enrique Cambón