Via per evangelizzare la
società postmoderna
La logica del dare
di Aldo Giordano
Il dono totale, il
reciproco darsi, è la chiave di volta di tutto il reale. L'autore prende in
considerazione il linguaggio, il corpo, le problematiche sociali, l'ecologia,
analizzati sia nella logica della divisione che in quella dell'unità. Quali
conseguenze ha per l'evangelizzazione, ad ognuno di questi livelli, la dinamica
del dare e della condivisione?
1. La realtà in cui
viviamo
Siamo consapevoli della
crisi che sta coinvolgendo la nostra storia ed il cammino della Chiesa.
Il termine crisi (krisis -
krino) significa separazione, rottura, ma anche giudizio - scelta. La crisi può
essere una separazione che crea un nuovo spazio per un nuovo evento il cui
accadere è legato alla capacità di giudicare ciò che è essenziale ed al
coraggio di una scelta.
a. La rottura tra uomo e Dio
Non ritorniamo su una
descrizione dei vari livelli di crisi della nostra attualità, ma analizziamo
subito il principio della questione: il rapporto uomo-Dio.
Questo è stato il primo e
più radicale luogo della rottura che i nostri tempi hanno consumato.
Possiamo riferirci ad uno
dei pensatori che più lucidamente hanno colto la tragica crisi che l'epoca
moderno-contemporanea ha vissuto tra l'umano e il divino: F. Nietzsche. Egli
scrive: «Il maggiore degli avvenimenti più recenti - che “Dio è morto”, che la
fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile - comincia già a gettare le sue
prime ombre» (Gaia Scienza, 343).
Con la morte di Dio si
partecipa di un cambiamento, si è proiettati in una situazione in cui vengono a
cadere i valori supremi, scompare ogni orizzonte finalistico, viene in luce la
mancanza di senso e di scopo dell'esistenza, appare il vuoto e terribile nulla:
il nichilismo.
«Ciò che racconto è la
storia dei prossimi due secoli. Descrivo ciò che verrà, ciò che non potrà più
venire diversamente: l'avvento del nichilismo... Tutta la nostra cultura
europea si muove già da gran tempo con una tensione torturante che cresce di
decennio in decennio, come se si avviasse verso una catastrofe: inquieta,
violenta, precipitosa; come un fiume che vuole sfociare, che non si rammenta
più, che ha paura di rammentare» (Frammenti postumi, 87-88 11, 411).
Il nichilismo è il «luogo»
dove si vede come la morte di Dio, invece di essere la realizzazione
dell'essere umano, apre alla sua corrosione. C'è il rischio, secondo Nietzsche,
di una stabilizzazione degenerante dell'essere umano attuale.
È l'uomo del piccolo
edonismo, senza alcuna capacità creatrice, che si «accontenta di una vogliuzza
al giorno e una vogliuzza alla notte», senza alcun ideale, totalmente
anestetizzato, impegnato nell'«ammazzare il tempo».
La mediocrità, l'assenza di
conflitti, interiori e no, il cinismo, il relativismo del «buon senso», le
soddisfazioni della vita materiale, il lusso, le mode, ma anche il lavoro come
occupazione di sé, come intrattenimento, la vita di società, l'ipocrisia di
relazioni superficiali e inconsistenti, rese più interessanti da piccole dosi
di compassione, di altruismo, di invidia, di ambizione, specificano il modo di
vivere dell'ultimo uomo.
«La terra sarà allora
diventata piccola, e su essa salterà l'ultimo uomo, che farà tutto piccolo. La
sua razza è inestirpabile, come la pulce di terra; l'ultimo uomo è quello che
ha la vita più lunga» (Genealogia della Morale III, 18).
«Da Copernico in poi, si
direbbe che l'uomo sia finito su un piano inclinato - ormai va rotolando,
sempre più rapidamente, lontano dal punto centrale - dove? Nel nulla? Nel
“trivellante sentimento del proprio nulla”?...» (Frammenti postumi, 85-87).
b. La ricerca di un nuovo volto di Dio e
dell'uomo.
Il deserto, che spesso si
sperimenta, in sé è terribile, ma il deserto può diventare luogo dello spuntare
di un fiore nuovo, di una nuova ricerca, di un nuovo ascolto. Nel deserto sono
stati «spianati i monti e i colli», forse anche attraverso il dramma
dell'ateismo, e nasce una nuova attesa. Quando si fa notte nella storia, si può
rimanere con lo sguardo a terra e vedere solo il buio, ma forse si può tentare
di alzare gli occhi e può accadere di scorgere le stelle che c'erano già quando
era giorno, ma non si potevano vedere: una profondità del reale nuova appare
davanti.
L'essere umano di tutte le
latitudini, si rimette in ricerca e si ritrova davanti ad una cattedra unica ed
inattesa: la morte e la Risurrezione del Cristo.
Nella Pasqua si vive una
«morte di Dio», una crisi, che è andata ben aldilà di quelle indicate da vari
pensatori. Il Dio che grida il Suo abbandono assume anche l'abisso
dell'ateismo. È il Dio per noi fino a questo punto. Non si può più pensare ad
un Dio in antitesi con la nostra realizzazione, come proponeva un certo
ateismo: è l'Amore.
Davanti al volto di Dio che
si rivela nella Pasqua, l'essere umano può ritrovare il suo volto: riscoprirsi
figlio nel Figlio. Nella mediazione del Cristo (il terzo fra noi) l'umanità
scopre che la sua realizzazione piena (addirittura con le dimensioni
dell'eternità) sta nell'obbedienza al Padre.
Possiamo almeno notare che
qui sta la questione decisiva dell'etica cristiana: se l'obbedienza al vangelo
appare in conflitto con la realizzazione della mia libertà, essa non è
«interessante». Mostrare come il vivere il vangelo è la realizzazione della
persona (anche dei suoi desideri più profondi) è quindi una grande sfida per
l'evangelizzazione.
c. Il cammino da percorrere: dai frammenti
all'armonia
Primo passo dell'amore è
uscire dalla fortezza dell'ego, «annientarsi» come Gesù in croce, spostare
tutto il proprio io per lasciare spazio alla persona che si incontra, perché
essa posa esprimersi, dilagare nello spazio che le si lascia libero.
Grazie a questo emerge la
caratteristica profonda dell'altro, la sua domanda fondamentale, il suo perché,
il suo appello.
Ma il dare la vita nella
gratuità genera la risposta di amore: anche l'altro giunge a donare la vita.
Nasce il dia-logos (la parola tra i due), un evento nuovo che accade in quello
spazio che si apre tra me e l'altro quando ciascuno esce da sé, per essere
dono, per farsi incontro all'altro.
In questo spazio accade
l'avvenimento di una terza realtà: l'unità, la presenza del Risorto tra i suoi.
La presenza di Gesù tra chi è riunito nel suo nome permette il vivere già su
questa terra una scintilla della vita stessa di Dio. Il Risorto è il terzo che
permette ai due di essere se stessi pienamente realizzati e insieme di essere
una cosa sola.
L'unità che si realizza
attraverso le distinzioni e mantenendo le distinzioni, impedisce a tutti i
livelli che le separazioni diventino frammenti dispersi.
È la possibilità della
bellezza, dove i vari elementi della ricchezza e complessità non sono colti in
pericolose unilateralità, ma si accordano per una creazione sinfonica: «Il
mondo è simile ad una grande orchestra che sta accordando i suoi strumenti...
non appena la bacchetta del direttore si alzerà, richiamerà su di sé
l'attenzione di tutti gli strumenti, trascinerà tutta l'orchestra con sé e
allora si vedrà qual è il compito di ognuno» (Von Balthasar).
Meritarci la presenza del
Risorto fra noi diventa la grande chance per la nostra storia, la possibilità
della logica trinitaria su questa terra.
La luce trisolare che sgorga
dalla Pasqua e albeggia per l'essere umano nel momento della sua riscoperta del
rapporto con il Dio Trinità che si è completamente svelato nella morte e
Risurrezione del Cristo, si proietta innanzitutto su lui stesso, sulla sua
persona singolare e lo ricostruisce in armonia.
La logica della divisione,
della violenza può infatti insinuarsi nelle dimensioni costitutive della
persona e spezzarla dentro. La nuova logica dell'unità ricompone e illumina i
vari elementi: il linguaggio, il corporeo, la libertà, il desiderio, il
sociale...
2. Logica della divisione
e logica dell'unità
a. Nel linguaggio
Il linguaggio, se vissuto
nella logica della divisione, può causare rottura ed essere violento.
La violenza è attualmente un
messaggio predominante dei mass-media, e certe forme di violenza sono compiute
solo in vista di farne mostra attraverso i media.
Anzi la violenza in se
stessa è una comunicazione «impazzita»: si rivolge sempre a qualcuno per significargli
qualcosa. La guerra, sosteneva Von Klausewitz, non è che il proseguimento della
diplomazia con altri mezzi.
La violenza è una
comunicazione non dialogica dove l'unico scopo è il risultato che si ottiene
sull'altro. Una relazione di comunicazione diviene violenta quando ha un
contenuto irrazionale, alogico, che non s'impone per se stesso, ma deve imporsi
col potere. Questo avviene quando non c'è rispetto per l'altro: non si lascia
essere colui al quale ci si indirizzi o quando il mezzo di comunicazione è
smisurato: un semplice annuncio può divenire violento appena è urlato in un
altoparlante.
Esiste una violenza
totalitaria, retorica, che ha un carattere pubblico, che vuole far mostra. Essa
assume le forme più diverse che vanno dalla retorica pura (si pensi ai discorsi
radiodiffusi di Hitler) agli atti di terrorismo che più sono sanguinari più
sono spettacolari.
C'è anche la violenza più
«anarchica» della parola che diviene menzogna o chiacchiera o pettegolezzo o
motivo di confusione (Babele).
La parola stessa può essere
svuotata di contenuto (due persone parlano e non si ascoltano; radio e
televisione accese come rumore di fondo; riunioni di condominio; retorica
calcistica: sul quasi niente si creano milioni di parole; ambito politico;
relazioni internazionali: fino alla guerra...).
Ora, il vuoto della parola è
legato alla crisi dell'ascolto e la crisi dell'ascolto è legata alla crisi del
silenzio. Nell'epoca elettronica e dell'urbanizzazione l'essere umano appare
spesso come «appendice del rumore» e nell'incapacità o impossibilità di
silenzio, non si ha più niente da dire: si fanno gargarismi palatali; si ripete
il precotto; non si usano parole parlanti, ma parole parlate, non pensate,
fatte di slogans. Anche parole al cuore dell'esperienza umana vengono
inflazionate (pace, amore, gioia...).
Il non-ascolto appare anche
come metodo di difesa in una società dove tutti parlano e si è inondati da
parole senza peso (degradazione del linguaggio; strapotere dei mezzi di
comunicazione; carenze educative: la scuola per esempio insegna a scrivere, a
leggere, ma quanto tempo dedica ad insegnare ad ascoltare? Senza un lungo
tirocinio non si entra nell'attività complessissima dell'ascolto).
Esiste anche un silenzio
negativo, un silenzio di morte: la banale e vuota rinuncia al parlare quando
non c'è niente da dire; la pura assenza di rumore: un nulla angosciante (ci
sono rumori indispensabili al silenzio: canto di un uccello, fruscio delle
foglie...); il mutismo come chiusura, pesantezza, rifiuto, paura, minaccia, vendetta,
potere altezzoso...; l'attivismo sfrenato; il silenzio di chi vede le ferite
dell'umanità e tace, divenendo responsabile della morte del fratello.
Ma la parola può diventare
il luogo del dono più grande, dell'accadere dell'evento dell'unità.
L'unità ricompone le
dimensioni del linguaggio: il silenzio, l'ascolto, la parola e le rende luogo
del donare se stessi.
Siamo chiamati alla
riscoperta del silenzio come attesa, accoglienza, ricordo, amicizia,
meraviglia, vita interiore. Chi si possiede, scopre la profondità del proprio
io e si concede degli spazi per far emergere la propria capacità creativa, ha
qualcosa di profondo da donare: la propria parola diviene densa e creativa.
Significativa la scelta
(parziale) di silenzio da parte di numerosi pensatori: Socrate, Ammonio
(maestro di Plotino), Rimbaud, Hoelderlin, Nietzsche, Wittgenstein...
La parola diviene dono ed
accoglienza: i rapporti più profondi tra persone nascono in questa dinamica di
ascolto e di comunicazione della propria vita.
b. Nel corporeo
Il corpo è ciò che inserisce
l'essere umano nello spazio e nel tempo, lo rende intrinsecamente «storico».
La logica conflittuale può
istaurarsi nell'individuo stesso come frattura tra la dimensione corporea e
quella spirituale: è una guerra che rovina la persona e dove un polo tende ad
eliminare l'altro con il conseguente impoverimento radicale (oscillazione tra
spiritualismi disincarnati e materialismi chiusi).
Chi è diviso in se stesso è
naturalmente aperto alla frattura con l'altro.
Il corpo, visto con la
logica del potere, diviene anche il luogo del fallimento della vita: è il corpo
che si ammala, si consuma, invecchia. Culmine di questa frattura che attraversa
dall'interno l'esistenza stessa dell'uomo è la morte: la corporeità diventa la
incomunicabilità assoluta.
L'«essere-per-la-morte» è,
in questa logica, il fallimento della storicità dell'uomo. La morte appare come
il più grande principio di impurità.
Nella logica della
relazione, invece, una lettura simbolica della corporeità permette il
superamento del dualismo tra corporeo e spirituale, sensibile e razionale. La
verità ci è data in simboli sensibili.
Il sensibile, il corporeo,
ciò che cade sotto la mia possibilità di controllo, rimanda in sé ad una
ulteriore profondità. Il simbolo è la realtà corporea, in quanto portatrice di
un'inesauribile ricchezza di significato umano che trabocca oltre la pura
materialità del simbolo stesso.
Si tratta di imparare a
leggere - nella corporeità sensibile sia delle parole che dei gesti, delle
immagini, del canto, della danza... in genere nel corpo vivente - quella verità
dell'essere umano che in esso si manifesta e si comunica non solo come pensiero
calcolante, ma come
sentimento-tenerezza-bellezza-appello-richiesta di aiuto ed anche minaccia.
Avere occhi per cogliere nel volto dell'altro l'infinito che traluce ed è
appello al riconoscimento, allo stupore, al rispetto, oltre ogni tentativo
totalizzante (Lévinas).
La corporeità, inserendo
l'uomo nello spazio e nel tempo, è la dimensione attraverso cui ognuno incontra
gli altri e vive in mezzo agli altri. Il corpo diviene il luogo
dell'incontro-comunicazione.
Il corpo che si consuma può
ancora essere visto nella dimensione del dono e dell'amore: «Se il chicco di
frumento non muore, non porta frutto».
c. Nel sociale
L'evento dell'unità che si
origina dalla riscoperta del rapporto con Dio, coinvolge l'essere umano nella
sua singolarità, ma in seguito si dispiega verso tutti gli ambiti dell'esistere
concreto, quasi come onde che si propagano verso sempre ulteriori orizzonti: il
rapporto uomo-donna; la socialità nei suoi versanti economici, politici,
istituzionali; il creato stesso che va orientato verso i cieli nuovi e le terre
nuove.
La logica dell'unità circa
il rapporto uomo-donna permette il superamento di forme unilaterali di
maschilismo o di femminismo, illumina il rapporto fra le vocazioni della
verginità e del matrimonio, impedisce la tragica scissione tra amore e
sessualità, è anima dei rapporti all'interno delle famiglie...
L'economia e la politica
sono i campi dove più visibilmente si può vedere l'esplodere di rotture
violente e dove la domanda della riconciliazione appare nella sua drammatica
urgenza.
Vediamo ad esempio la
libertà attraverso il liberalismo, anima culturale del capitalismo: vengono
affermati i diritti dell'individuo, la libera impresa, la proprietà privata...
Ma il capitalismo «rampante» non riesce a dire la giustizia tra le classi e tra
i popoli, anzi si nutre di forme di sfruttamento. Esso farà nascere, per
reazione, l'affermarsi del collettivismo comunista che cerca di dire il
collettivo, l'uguaglianza, la giustizia, la fine della proprietà privata, ma
non riuscirà più a salvare le libertà.
Anche questo sistema entra
radicalmente in crisi nel momento in cui le libertà hanno possibilità di
riemergere: siamo ai grandi trapassi dei nostri giorni. Ma il rischio è che
alla base ci sia ancora la logica del contraccolpo e del conflitto: una logica
ideologica.
Anche in questi ambiti
l'evento dell'unità permette di mettere insieme gli elementi senza
l'eliminazione reciproca.
Si apre la strada per
un'economia di comunione come quella che in germe ma profeticamente sta
proponendo il Movimento dei focolari1, capace di integrare le giuste esigenze
del liberismo e quelle del collettivismo, evitando le unilateralità
distruttive. Si delinea un'economia che se da una parte favorisce la creatività
imprenditoriale legata alla libertà, garantita anche dalla proprietà privata, è
però anche intrinsecamente sociale, consapevole della destinazione universale
dei beni, quindi non tendente al capitalizzare, ma al mettere in comunione il
profitto.
Così non è una pura utopia
pensare ad una politica caratterizzata dalla responsabilità, dal disinteresse e
dal servire. Le diversità del mondo politico (tra correnti, partiti,
istituzioni...) in una logica dell'unità non diventano fonte di scontro, ma
contributo per una creazione comune.
d. Nell'ecologico
La problematica riguardante
l'ambiente è un altro orizzonte che si apre. Il dibattito appare spesso confuso
e segnato dalle unilateralità: se da una parte è più attento alla questione
dell'inquinamento, dall'altra sembra meno avvertito per la questione
dell'esaurimento delle risorse.
È necessario rivedere cosa
s'intende per difesa dell'ambiente: non è la difesa di una sorta di sacralità
naturale, né la divinizzazione dell'intervento tecnico, ma il riconoscimento di
una proporzione tra ambiente e essere umano. La vera natura è la casa
dell'umanità, il luogo dove può vivere. L'ambiente (prima di tutto come città e
non tanto come natura) è divenuto assai poco ambiente. La città non è luogo di
appartenenza. Non si abita la città. Dobbiamo registrare un'estraneità tra
cittadino e ambiente urbano: di qui l'apprensione.
Se questa tesi è vera,
occorre una posizione diversa da quella degli ambientalisti di tipo
naturalistico. La paura per l'ambiente è la paura della città (città di notte -
ambiente selvaggio, incivile, non propizio). C'è un inquinamento che è
sradicamento.
Se in gioco c'è l'essere
umano allora è chiaro che il problema ecologico non è solo problema puramente
tecnico, né solo mancanza di strumenti o denaro, né una questione fatalista.
Dipende dall'agire della
persona: è una questione culturale etica. E l'agire dipende dalla visione della
natura o meglio del rapporto umanità-natura.
Anche qui è basilare tenere
insieme gli elementi del problema: la creatura non è all'origine della natura:
essa è dono che la precede ed ha una vera alterità; l'essere è un essere bisognoso:
la sua signoria è limitata; la natura è per lui, non è dio e non è
autosufficiente; la natura è un dono per tutti: criterio della solidarietà.
3. Come evangelizzare la
nostra societè?
a. Solo una comunità postpasquale può
evangelizzare
Solo può evangelizzare una
comunità post-pasquale, perché porta in sé il Risorto, l'«uomo nuovo», il
segreto dell'unità.
Se al cuore dell'esperienza
cristiana c'è l'evento che accade nella Pasqua e che si propaga nella storia e
nell'agire dell'essere umano, l'evangelizzazione si caratterizza per essere a
servizio diretto di questo accadere, riscoperto nella sua essenzialità.
L'annuncio del vangelo
stesso sarà allora un evento, un processo vivo, che a ondate entrerà nella
complessità dell'esistenza umana per rinnovarla radicalmente, aprendo nuovi
sentieri e generando nuova unità. Nell'evangelizzazione, messaggio, messaggero
e destinatari vengono a costituire un unico gioco.
È l'evento che fa notizia,
attrae, coinvolge. L'evento del vangelo, della presenza dello Spirito del
Risorto, è una verità, ma che avviene solo se noi siamo disposti a «giocare».
Se la singola libertà non si
decide a giocare, il gioco non accade, ma nemmeno lo si può fare da soli;
occorre che un altro sia disposto a giocare: nello spazio che si apre tra i due
avviene la sorpresa, l'avvenimento di un gioco che va aldilà di loro e li
avvolge: questa è l'avventura della comunità cristiana che esiste «dove due o
più sono riuniti nel Suo nome» e che fa spazio per l'amore reciproco alla
presenza del Risorto. E tutti sono affascinati dal «gioco» che si diffonde!
b. I pastori, uomini di comunione, ministri
dell'unità
Che cosa comporta, in questa
prospettiva, la chiamata dei pastori? Essi hanno la vocazione del servizio
dell'evento pasquale e sono chiamati a «giocare» in prima persona, per essere
nella loro singolarità un'armonia, ma soprattutto nel rapporto con gli altri,
per realizzare una Chiesa «sinfonica» che sia icona della vita trinitaria di
Dio stesso e lasci intravedere i grandi nodi del mistero cristiano.
La collegialità apostolica
attorno a Pietro, l'unità dei presbiteri fra di loro col vescovo sono luoghi
imprescindibili dell'accadere dell'evento della fede.
La vita che il pastore vive
con gli altri pastori - come del resto la vita dell'intera comunità cristiana -
si diffonderà di per sé entrando in tutti gli aspetti considerati, dalla parola
all'ecologia, dallo studio al sociale: il cristiano o meglio i cristiani
insieme sono coinvolti in ogni dimensione e sono chiamati a percorrere tutti i
sentieri che abbiamo indicato, ma tutto nasce dal vivere e annunciare
quell'amore che si è realizzato in Gesù Crocifisso e Risorto, dal lasciarlo
accadere fra loro perché quindi si irradi e penetri in ogni luogo.
In questo modo ogni
cristiano e quindi ogni pastore si può veramente caratterizzare come l'uomo del
dia-logos: nella propria comunità, nella Chiesa, con gli altri cristiani, con
le grandi religioni, con le persone di buona volontà e infine con il creato
stesso: la sua vocazione è servire quel Gesù che sulla terra ha portato la
logica dell'unità, il sogno dell'Ut omnes unum sint.
Aldo Giordano