Persone nuove per una nuova cultura

 

 

La seconda scelta di Dio

 

 

di Pasquale Foresi

 

Nell'essere umano ci sono tendenze negative: egoistiche, possessive, distruttrici, entropiche. Ma allo stesso tempo, essendo stato creato a immagine e somiglianza di Dio, c'è in lui un'immensa capacità di amore, di donazione, di altruismo, di generosità. Promuovere una «cultura del dare» nell'umanità significa scommettere sulle possibilità più alte e più nobili dell'essere umano. I cristiani, per riuscire ad essere veri protagonisti nella crescita di una tale cultura, devono purificarsi sempre di più degli aspetti negativi, rinnovando permanentemente la loro scelta radicale di Dio come unico bene e ideale della loro vita. A questo riguardo ci sembrano preziose le riflessioni che qui presentiamo. Sono stralci di diverse conversazioni inedite su questa tematica fondamentale, e mantengono il loro stile spontaneo e parlato.

 

 

Questa nostra  conversazione  si riferisce al cammino che percorrono i cristiani per crescere nell'unione con Dio. Quelli che hanno qualche conoscenza della storia della spiritualità, troveranno molti punti di contatto con ciò che dicono i mistici ed i grandi maestri in questo campo. Tuttavia nelle riflessioni che voglio proporre molto sommessamente, come in famiglia, si trovano due note caratteristiche.

Innanzitutto non si tratta di concetti teorici, in quanto raccolgo l'esperienza di questi anni di tante persone del Movimento dei focolari. L'altra caratteristica, la più importante, è che si tratta di una spiritualità nettamente comunitaria. Le sue tappe sono state descritte da Chiara Lubich in modo semplice ma molto profondo ed originale nelle sue conversazioni sulla «Via Mariae».

In questa spiritualità l'ascesa verso Dio è in rapporto con la crescita dell'unità con i fratelli. Per cui tutto ciò che vi dirò circa l'unione con Dio ha sempre in qualche modo un riflesso nel rapporto con il fratello, e viceversa.

 

 

 

La nostra risposta a Dio che è Amore

 

Credere che Dio è amore implica una grande scoperta: la scoperta dell'amore personale di Dio per noi, per me. Egli con un amore infinito continua a volerci bene anche se non abbiamo corrisposto ai suoi doni, ed anche se fossimo caduti nelle più grandi malvagità, ci vuole sempre bene, ci ama sempre di più.

Ciò che adesso vorremmo domandarci è: di fronte a questo bene che Dio ci vuole, di fronte all'amore di Dio che si riversa su ciascuno di noi, come dobbiamo rispondere, cos'è che dobbiamo fare, cosa posso fare io per Dio?

Dobbiamo andare per gradi. Intanto Gesù ci ha rivelato nel vangelo come dobbiamo riamare Dio: «con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore e con tutte le tue forze» (cf Mc 12, 28-34 e par.).

Quando noi diciamo che abbiamo fatto la scelta di Dio come il tutto della nostra vita, come il nostro unico ideale, cos'è che abbiamo fatto? Abbiamo appunto preso la decisione di amare Dio con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze. Cosa significa ciò concretamente?

 

 

 

Con tutta la mente

 

Con tutta la mente implica due cose: anzitutto che la mente non sia occupata da pensieri contrari a Dio e, in positivo, che tutta la propria intelligenza, tutto il proprio ingegno siano messi a servizio di Dio, donati a lui.

Infatti nei cristiani che sono arrivati ad una grande maturità, si avverte quanto tutta la propria mente sia votata al servizio di Dio, della Chiesa, dell'umanità. Quando svolgono un incarico studiano tutti i mezzi per cercare di portarlo avanti completamente per Dio, senza riguardi a loro stessi. Vedendo la vita di queste persone non si concepisce che la loro mente possa pensare a qualche altra cosa che non sia finalizzata alla crescita del Regno di Dio nel mondo. Infatti spesso succede che parlando con loro, quando si chiede qualcosa sulla loro vita personale, senza accorgersi non riescono a parlare di sé, si riferiscono spontaneamente a quello che fanno per gli altri, a come crescono le persone e le opere che seguono.

Nei cristiani più piccoli spiritualmente, invece, si trova che Dio non prende tutta la mente, che le attività che svolgono sono fatte per se stesse e non per Dio. Anche quando svolgono dei compiti nella Chiesa, anche se sembra siano fatte per Dio, in realtà spesso si fanno ancora per altri motivi che non riflettono una vera scelta di Dio: agiscono per un attivismo naturale come avrebbero fatto per qualunque altra opzione di vita, per un senso di corpo che li porta a cercare di far crescere la propria istituzione, per gusto personale, per raggiungere posti di riguardo, per essere riconosciuti dagli altri, e così via. Una persona esprimeva bene questo, quando mi confidava di essersi accorto di «quante cose faceva per Dio, eppure quanto poco Dio c'era nelle cose che faceva». Si può magari aver lavorato tutta una vita facendo «apostolato», muovendosi in mezzo alle «cose sacre», senza aver mai fatto questa scelta profonda e vera di Dio, bensì cercando, in fondo, se stessi.

Ma poiché Dio li ama, tali persone saranno poi purificate da lui, anche attraverso la sofferenza; e nella misura che corrisponderanno, andranno avanti spiritualmente e Dio le prenderà sempre di più. L'amore di Dio è un amore «geloso»: ci vuole tutti per sé, perché l'essere umano è pienamente se stesso, si realizza e trova la felicità solo quando è totalmente di Dio.

Questo lo si costata ad esempio vedendo tanti cristiani che, se non avessero conosciuto il vangelo, sarebbero rimasti persone insignificanti, mediocri, magari buone ma che non avrebbero creato nulla, mentre nella misura in cui Dio prende le loro intelligenze, riescono a fare cose meravigliose per sé e per gli altri.

 

 

 

Con tutto il cuore

 

Poi Dio vuole che noi diamo a Lui tutto il nostro cuore.

 

Il cuore, nella Bibbia, ha un senso molto ampio, ma in questo momento io vorrei considerare soltanto ciò che riguarda l'emotività, ossia tutta la gamma dei sentimenti che possono essere definiti con la parola cuore. Sono un aspetto molto importante della nostra persona e, tra l'altro, non sono facili da governare razionalmente, da incanalare in modo tale che siano totalmente donati a Dio. Tendono piuttosto ad attaccarsi a tante cose che non sono Dio.

Anche qui ci sono due cose da fare. Da una parte voler donare totalmente il nostro cuore a Dio con una volontà ferma. Dall'altra evitare che prendano piede dei sentimenti che vadano in senso contrario alle cose come Dio le vuole. Qui è necessaria la virtù della prudenza. Poiché, siccome spesso il cuore è cieco, e ha un'intelligenza tanto ottusa che non riesce ad uscire fuori da certi labirinti, allora occorre staccarsi, allontanarsi da quelle realtà che possono suscitare quei sentimenti. In certe occasioni, per riuscire a vincere, a dirigere i propri sentimenti, bisognerebbe essere già tanto avanti nella santità, aver superato la purificazione dei sensi e magari quella dello spirito; essere riusciti ad avere, insomma, il Cuore di Gesù al posto del nostro cuore.

Non deve comunque scoraggiarsi mai, uno che ha di queste prove, di queste tentazioni. Ma neanche presumere di poterle vincere se non con una grande volontà di amare Dio e usando una grande prudenza. Dobbiamo infatti distaccarci da tutto ciò che non è Dio, che non viene da Dio.

Quando il nostro cuore vuole farci scivolare verso i desideri della carne, la ricerca egoistica della ricchezza, la brama del potere, e via dicendo, cosa dobbiamo fare? Dobbiamo affrontare la situazione con l'audacia o con la mortificazione? In questo caso l'audacia sarebbe solo apparente: il vero coraggio ci vuole per tagliare. Dobbiamo mortificarci perché si sviluppi in noi (per dirla in termini paolini) l'uomo nuovo (Col 3, 10; Ef 4, 22-24; Rom 6, 6), che vive nella luce, che vede le cose da Dio.

A volte qualcuno dice: «Vorrei vincere queste tendenze rimanendo nell'ambiente, non fuggendo ma affrontando queste tentazioni». Ebbene, bisogna convincersi che è pressoché impossibile. O è un sotterfugio incosciente per non tagliare, o è un'ingenuità, una mancanza di esperienza. Qualche volta ci si giustifica addirittura con degli argomenti spirituali. Sono tutti inganni che alla lunga procurano tante sofferenze.

Spesso per superare certi sentimenti basta mettere la difficoltà in comune, magari con una persona esperta nella vita e nelle cose di Dio. A volte solo il fatto di comunicare i problemi li ridimensiona o fa trovare la forza per agire nel senso giusto.

Naturalmente l'essere prudenti, il tagliare, il mortificarsi, è soltanto l'aspetto «negativo», conseguenza di quell'aspetto positivo, che è il voler amare Dio e donare il nostro cuore totalmente a Lui. Noi non viviamo «evitando», ma scegliendo Dio e il suo disegno di amore su di noi e sull'umanità.

Nella misura, poi, in cui ci doniamo pienamente a Dio, i nostri sentimenti diventano divini. Ce ne accorgiamo quando incontriamo certe persone dove si vede che, appunto perché completamente di Dio, sono diventate profondamente umane. E lo si avverte da come ascoltano, da come parlano, dalla loro comprensione, saggezza, fermezza, misericordia... Sono persone che si muovono seguendo le ispirazioni dello Spirito Santo, per cui spesso si sente dire di loro che «arrivano al momento giusto», che hanno incidenza sulle persone, che producono opere che rimangono.

 

 

 

Con tutte le forze

 

L'altro punto è «amare con tutte le forze».

Certe persone amano Dio e gli altri donandosi in tale misura, che vanno al di là delle proprie forze e arrivano persino ad ammalarsi.

Certamente Dio è più contento di uno che si è ammalato per donarsi totalmente a Lui, che di uno che, per un po' di attaccamento a sé, ha cercato di salvare le proprie forze. Però questo non implica da parte nostra che dobbiamo ammazzarci. Ammalarsi, esaurirsi, vuol dire restare inattivi, magari per anni. Per cui dobbiamo ordinare la nostra vita in modo che ci sia tempo anche per il riposo, così che potremo continuare a donarci di più e meglio.

A meno che Dio ci mandi delle malattie senza che le cerchiamo. Allora è diverso, perché le malattie servono per la nostra purificazione. Quando ci si ammala, si realizza quello che dice l'epistola ai Colossesi: «completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (1, 24). Quando Dio ci fa questa grande grazia di darci un po' di prova con la malattia, è perché ha in programma per noi un grande sviluppo spirituale, fecondo anche di grandi frutti: magari non li vediamo subito, ma ci sono.

Spesso Dio si serve della malattia per purificare anche i nostri sensi esterni, perché tutta la nostra persona deve essere presa da Dio. Così come esiste una «notte oscura dello spirito», attraverso la malattia Dio può farci passare una certa «notte oscura del corpo». Come l'anima deve essere purificata, anche il corpo deve passare per una certa purificazione. La purificazione assoluta verrà con la morte, perché con la morte e la risurrezione ci sarà il rinnovamento di tutto; però già su questa terra una certa morte del corpo serve per una certa risurrezione del corpo stesso. È in un certo modo un inizio qui in terra di risurrezione della carne.

 

 

 

La seconda scelta di Dio

 

A questo punto vorrei fare un altro passo. Basta fare quanto abbiamo detto fin qui, anche con tutte le imperfezioni in certo senso inevitabili, per amare Dio? O ad un certo momento Dio richiede qualche altra cosa?

Per quelli che si sono già donati con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze e anche al di sopra delle proprie forze, ad un certo momento Dio richiede un'altra scelta di Lui. In cosa si diversifica, questa, dalla precedente?

La prima volta abbiamo capito che Dio andava amato al di sopra di tutto, che dovevamo metterlo al primo posto della nostra vita e, con buona volontà, abbiamo cercato di amarlo con tutto il cuore, tutta la mente e tutte le forze. Ma se si potesse sezionare questa nostra scelta, troveremmo che in realtà contiene un 30% di amore di Dio, un 30% di nausea della mediocrità e vacuità in cui vivevamo, un 15% di gioia ed entusiasmo per il fatto di donarci ad una causa così bella e così santa, magari un 10% di rimorso dei peccati commessi...

Voglio dire che è praticamente  impossibile che nella prima scelta ci sia stato un amore totale, un amore pieno. Dal momento, però, che la perfezione è solo nella carità, tutti quei motivi secondari che all'inizio ci hanno aiutato perché venivano avvolti dalla nostra buona volontà e dal nostro slancio di amare Dio, pian piano emergono e ci disturbano. Ed è logico che vengano a galla, perché c'erano già prima, come zizzania che è cresciuta insieme con il buon grano, secondo il vangelo di Matteo. Si tratta di piccoli attaccamenti, di difetti, di atteggiamenti che non sono proprio santità autentica. Magari non sono nemmeno dei peccati, ma non sono neanche puro amore.

Che cosa dobbiamo fare a questo punto? Una nuova scelta di Dio. Volere, cioè, che il motivo di tutta la nostra vita sia solamente l'amore di Dio, l'amore puro, e nessunissima altra cosa. La Chiesa dice - parlando in modo particolare dei quietisti - che non è possibile su questa terra vivere per solo amore di Dio. Però si avverte la chiamata a incominciare a vivere solo per lui.

 

 

 

Per amore suo

 

Si prende infatti coscienza di quanto prima tutto venisse mescolato, inquinato, e si capisce che bisogna, sì, amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze, però per amore Suo, non per qualche altra cosa.

È Dio che ci ripresenta la necessità di rifare quest'altra scelta, che è più difficile della prima poiché è così sottile, così divina, che c'è bisogno di una grazia per arrivare a coglierla. E anche quando ciò succede, bisogna vedere se si capisce quali passi si devono fare esattamente nella propria vita.

Nella prima scelta, normalmente, per quanto nella gioia, avevamo dovuto fare un passo nel buio. Nel donarci completamente, infatti, ci si presentava davanti tutta una vita senza sapere che cosa ci attendeva. Per cui c'era anche timore nel fare il salto. Lo stesso succede anche in questa seconda scelta: bisogna pure qui fare un salto nel buio. Anche se si sente che Dio ci chiama, può venire tanta paura a fare questo atto di donazione. Ed effettivamente ci si domanda: «ma io già vivo solo per Dio... devo proprio donare tutto, tutto, tutto, proprio fare tutto esclusivamente solo per Dio?». Ecco la nuova scelta che ci si presenta.

Una differenza con la precedente è questa: che invece di farla con gli altri - come avviene in genere nella nostra spiritualità collettiva la prima volta -, questa nuova scelta la si deve fare da soli, proprio perché il suo motivo formale è l'amore puro di Dio.

E il pericolo più forte è  che magari si faccia questa scelta, e poi si torni indietro. Perché con la prima, una volta fatta, si viene a far parte di una comunità dove tutti i membri l'hanno fatta. La seconda è puramente spirituale. Uno può farla o non farla senza che, apparentemente, esteriormente, cambi niente. Ci si trova da soli con Dio; ma assieme alla generosità totale con cui vogliamo donarci a Lui, c'è la facile possibilità di tornare indietro.

Può anche succedere che uno non faccia mai questo passo. E allora ci troviamo di fronte a persone che di per sé, avendo avuto la prima conversione sincera e bella, sono avanti nella vita evangelica,  ma rimangono a quel punto per tutta la vita, senza arrivare a fare la seconda scelta. Le vediamo quindi buone, ma con dei difetti, con aspetti che urtano, con attaccamenti.

In queste persone Dio interviene perciò con grazie particolari, con prove, con botte forti, se occorre, perché non si adagino in quello stato.

 

 

 

Una scelta da fare e rifare...

 

Penso che qui continui ad essere valido ciò che ha avuto valore nella prima conversione: si deve fare di nuovo un tuffo nell'amore di Dio che, se è oscuro all'inizio, diventerà poi luminosissimo.

Occorre, ora più che mai, vivere l'attimo presente. Perché altrimenti si potrebbe pensare: «non ce la farò a muovermi sempre e solo per amore». Farlo adesso, bisogna, e poi in ogni attimo presente successivo. Non è un passo che si possa fare una volta per tutte. Forse ci vogliono anni.

È un salto qualitativo, insomma, che si deve fare: scelgo di amare Dio per Dio, non per ciò che provo, non per i frutti che ciò produce; ma di amarlo per se stesso, per rispondere col mio amore personale all'Amore personale che Lui ha per me. Devo trovare in questa unione con Dio il motivo del mio esistere, del mio vivere quotidiano.

 

 

 

... per diventare persone libere

 

Quando si arriva a questo rapporto con Dio, si diventa persone veramente libere, non più condizionate. Qualunque cosa succeda, qualunque calunnia o difficoltà o preoccupazione o motivo di amarezza, non alterano la pace, perché si vive innestati in Dio. E si trova in Dio quella unità, quella gioia, quella serenità, che solo l'amore di Dio può dare.

Si vive come in un'altra dimensione. Si capisce bene ciò che dice santa Teresa d'Avila: ci si viene a trovare in un'altra mansione, con un altro modo di ragionare. È tutta un'altra cosa.

Ovviamente non è ancora il punto di arrivo. Dio è abissale nella sua ricchezza e nel suo amore, e continua ad operare meraviglie nella nostra vita. La vita dello spirito va avanti in maniera silenziosa e misteriosa.

C'è un periodo in cui la stessa meditazione, così come la facevamo leggendo i testi, non ci appaga più, perché Dio vuol chiamarci ad una vita ancora più profonda. Dio incomincia a prendere possesso della nostra volontà, del nostro amore, per cui anche la meditazione diventa un atto di amore più che di intelligenza. Ma affiora ancora qualche disturbo da parte dell'intelligenza, della memoria e della fantasia che non sono state ancora toccate da Dio.

Dopo qualche tempo, però, - magari dieci anni, quindici anni, se uno vive però totalmente la sua vita in Dio -, piano piano anche l'intelligenza, anche la memoria e la fantasia vengono prese da Dio. Non è con questo che non ci saranno più distrazioni nella nostra preghiera e nella nostra vita di unità, nel nostro ascoltare e immedesimarci con la situazione degli altri; sicuramente per tutta la vita avremo qualche distrazione, però non sono così com'erano un tempo. E succede per esempio - ed è un segno tipico di questa tappa - che la mezz'ora che normalmente utilizzavamo per fare la meditazione diventa troppo poco; si guarda l'orologio non per vedere se è finita la mezz'ora, ma se purtroppo è finita la mezz'ora. E a volte succede che si comincia a fare meditazione e dopo ci si accorge: «ma guarda, è passata un'ora, è passata un'ora e mezzo e non me ne sono accorto».

 

 

 

... e protagonisti della storia          

 

Così, attraverso passi successivi e successive «scelte di Dio», Lui prende possesso della nostra volontà, intelligenza, fantasia, memoria, che ancora non erano state da Lui (per quanto è possibile in questa vita) folgorate, toccate, trasformate, divinizzate. Lo fa mandandoci purificazioni che molte volte ci arrivano attraverso malattie. Ma occorre in genere molto, molto tempo, perché non siamo tanto noi con la nostra volontà che possiamo crescere, quanto è questa presenza di Dio che deve crescere in noi e vincere sull'intelligenza e sulla fantasia.

Finché si arriva al punto che Dio stesso prende il nostro cuore e «lo cambia» con il suo. Prima questo avveniva episodicamente. Quando avviene definitivamente, si è arrivati a quello che viene chiamato dai mistici «matrimonio spirituale».

Ma la vita non finisce lì. Lì incomincia una vita più piena e più grande. Avviene cioè - come dicono i mistici - che Marta si unisce a Maria: è la vita contemplativa unita alla vita attiva, ad una creatività feconda, dove si realizzano magari delle grandi opere che perdurano attraverso i secoli, appunto perché si agisce sotto il completo influsso dello Spirito Santo.

È dunque un costante crescere in quel «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).

Queste persone, qualunque cosa facciano, incidono. La loro parola acquista un peso, trasforma. A volte basta un saluto per convertire una persona. Quando parlano si sente che è Dio che parla attraverso di loro. Quando prendono delle iniziative, quando realizzano delle opere, si avverte che sono trascinate da Dio. Vivono, per così dire, una vita «naturalmente soprannaturale». Anche se la «scelta di Dio» è sempre da rinnovare, perché la vita in Dio è sempre nuova, inesauribile, e prepara sempre nuove sorprese.

Di fronte a queste realtà così belle e importanti, a ciascuno potrebbe venire la curiosità di sapere dove è arrivato. Ora, anche se tutti siamo chiamati a questo cammino, non è che dobbiamo stare lì ad analizzare a quale punto siamo. Anche perché queste descrizioni sono più tipologiche che cronologiche: io ho schematizzato, mentre nella vita le cose sono molto più complesse e variegate. Dio non si ripete mai. Le singole tappe possono variare nella loro durata secondo le persone, e poi si sovrappongono parzialmente, perché magari per certi aspetti siamo ad un certo punto del cammino e allo stesso tempo già abbiamo cominciato ad assaporare «anticipi» di tappe successive. L'importante è che ognuno segua la sua strada lì dove Dio lo ha messo e viva con semplicità e totale fedeltà, con radicalità e concretezza il vangelo. Poi pensa Dio a portarci avanti spiritualmente.

 

Pasquale Foresi