Dare

 

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio...» (Gv 3, 16). E il Figlio «ha dato se stesso per noi, per liberarci da ogni malvagità (egoismo) e formarsi un popolo puro che gli appartenga, impegnato nelle opere di bene» (Tt 2, 14).

Quando si parla di relazionalità si parla di dare e di ricevere, ossia di comunione. Ma poiché noi non possiamo dare nulla a Dio, il modo privilegiato e forse unico di relazionarsi a Lui è di «amarci gli uni gli altri» (1 Gv 4, 11), fino a dare anche noi la vita (cf Gv 15, 13).

 Ora, nel darsi e nel dare c'è misura e misura. In occasione del Natale prossimo abbiamo pensato di riportare passi di qualche Padre forse un po' meno conosciuti, indicativi di una radicalità che può scuotere il nostro allignante spirito borghese sempre pronto a misurare.

Massimo il Confessore dice che Dio, nel suo piano di farsi uomo, aveva già in mente la nostra deificazione. Con l'incarnazione, infatti, ci ha insegnato «non soltanto a legarci reciprocamente e ad amarci  spiritualmente gli uni gli altri come amiamo noi stessi, ma a  prenderci divinamente cura degli altri più di noi stessi»1.

Per Pietro Damasceno «è misericordioso colui che si fa uno col prossimo, aiutandolo con ciò che lui stesso ha ricevuto da Dio: denaro, cibo, muscoli, parole di conforto, preghiera... Servendosi di tutti i propri mezzi, dev'essere aperto a chi lo prega di aiutarlo, considerandosi anzi suo debitore... (perché) attraverso il fratello è Dio stesso che ha bisogno di lui fino a considerarsi suo debitore. (...) Chi ha accettato di vivere i comandamenti, del resto, non dà al prossimo soltanto ciò che possiede, ma anche l'anima».

Simeone il Nuovo Teologo dichiara che «nutrire Cristo, dargli da bere, vestirlo con tutto ciò che segue (...), ebbene, Lui che è nostro Signore e nostro Dio non ha detto che avrebbe dovuto ricevere questi servizi dai suoi fedeli una volta sola, ma sempre e in tutti... poiché, anche se dai l'elemosina a cento persone, se tu possiedi ancora dei beni da offrire in cibo e bevanda ad altri che ti pregano, e li rimandi a pancia vuota, sarai giudicato da Cristo per aver rifiutato di nutrirLo. (Infatti) se Cristo ha accettato di prendere le sembianze di ciascun povero e si è fatto lui stesso povero, è perché nessuno di coloro che credono in lui si ritenga superiore a suo fratello ma al contrario, considerando ogni fratello o prossimo come il suo Dio, sia lui a ritenersi inferiore, e non suo fratello che è come il suo Creatore. (...) Si spogli dunque di tutto ciò che ha per servirlo, così come Cristo, nostro Dio, ha versato tutto il proprio sangue. (...) Insomma, chi tiene in considerazione il prossimo come se stesso, non sopporta di possedere più di lui. Se non condivide, fino al punto di diventare povero lui stesso a livello dei propri prossimi, come può dire di aver osservato il comandamento del Maestro? Ma non lo osserva neppure chi, avendo intenzione di condividere i beni con tutti i bisognosi che chiedono, ne respinge anche solo uno pur avendo ancora una piccola moneta o un tozzo di pane da dargli»3.

È evidente che la cultura del dare, lanciata da Chiara Lubich a tutto il Movimento dei focolari, non è che la via per costruire la civiltà dell'Amore. Quella radicalità del dare è, in effetti, la misura tipica della vita trinitaria.

 

S.C.