Perché anche le opere sociali siano efficaci:

l'esperienza di una parrocchia latinoamericana

 

 

La forza evangelizzatrice

della comunione

 

 

a cura di Enrique Cambón

 

Lagarto è una tipica cittadina del Nordest brasiliano nello stato di Sergipe. Ha 20.000 abitanti, di cui 8.000 sono ragazzi in età scolare. La parrocchia però si estende anche nella campagna per mille chilometri quadrati e raggiunge una popolazione di 50.000 persone, con 29 comunità e 19 chiese. Solo i battesimi sono circa 1.500 ogni anno (in una sola sera sono stati battezzati 42 adulti), le cresime l'anno scorso sono state 225 e quest'anno 350. Vi lavorano due preti: il parroco, Mario Sivieri, e Paulo Celso, un giovane sacerdote ordinato da poco. La parrocchia si trova in un contesto sociale di enormi ingiustizie, con la conseguente miseria generalizzata e tutti i problemi legati a una tale situazione: alcool, delinquenza, famiglie instabili o distrutte, droga... Abbiamo rivolto alcune domande a Mario Sivieri e trascriviamo le sue risposte nello stile spontaneo dell'intervista.

 

GEN'S: Ti   trovi  in  una  tipica situazione pastorale dell'America Latina. Qual è il tuo atteggiamento spirituale e che progetto pastorale hai?

 

Sono parroco qui da quasi venticinque anni. Devo dire, però, che la mia vita si divide in due tappe. Lo spartiacque è costituito dall'esperienza fatta alla «Scuola Sacerdotale»1 cinque anni fa dopo 20 anni di prete.

Prima, essere parroco in una tale situazione era un peso, nel senso che ti veniva l'angoscia di fronte a tanti problemi e all'impossibilità di risolverli. Ero giunto al punto di ridurmi a compiere quasi esclusivamente gli atti di culto e a dirigere una scuola parrocchiale di 1.500 alunni.

 

 

 

Una svolta decisiva

 

Dopo l'esperienza della Scuola Sacerdotale a Loppiano, il primo effetto è che mi sono sentito libero. Ho perso quella voglia di comandare, di sentirmi - con tutta la buona intenzione -  quasi il «padrone» della parrocchia. Quando ho cominciato a svestirmi di questo clericalismo, cercando innanzitutto di essere cristiano, di vivere la Parola con tutto l'impegno e in tutte le situazioni, e di viverla con gli altri, il livello di vita evangelica nella comunità è cresciuto notevolmente e sono nate tante iniziative...

Per dire solo un particolare: quando si capisce che quello che conta è l'amore che c'è sotto ogni azione, anche se le cose non sono perfette, allora si punta soprattutto a tenere vivo questo amore e le persone sono più contente e la vita si diffonde in maniera inarrestabile. Ovviamente cerchiamo di fare le cose il meglio possibile, ma di fronte ad ogni attività, ci si domanda prima di tutto: «Ci vogliamo bene? i nostri rapporti sono improntati secondo uno stile evangelico? ci ascoltiamo? siamo pronti a dare la vita gli uni per gli altri?». Assicurato questo amore che è il bene primordiale, allora andiamo avanti. I frutti vengono di conseguenza.

Questo spirito, diffuso nei vari gruppi ed associazioni che esistono nella parrocchia (in questo momento sono undici), fa sì che ci si muova nel rispetto reciproco, dialogando e avendo pazienza quando ci si trova con vedute diverse, valorizzando i carismi degli altri ed offrendo ciascuno il proprio contributo, articolandoci come una famiglia, dove tutti ci sentiamo e ci riconosciamo figli di uno stesso Padre.

 

 

 

Un orizzonte più ampio

 

Mentre prima mi sentivo tutto preso dal lavoro in parrocchia e non avevo tempo per guardare oltre, adesso ho un orizzonte più ampio: la diocesi, le altre parrocchie, eventualmente le altre diocesi, quindi il contatto con altri sacerdoti e con i seminaristi. La spiritualità dell'unità mi ha come dilatato il cuore su tutta la Chiesa. Ed è stato un bene per me e per i parrocchiani, perché oggi ci sentiamo più integrati nella diocesi e nella comunione scopriamo nuove strade per quei problemi che prima da soli non avremmo mai potuto risolvere.

Un'altra cosa importante è che l'amore è molto realistico e arriva a trasformare tutti gli aspetti concreti della vita: non solo il modo di annunziare il vangelo, ma anche l'economia, la formazione, la salute, il riposo, la casa, l'attenzione ai mezzi di comunicazione, la socialità.

Prima mi pareva di avere una certa luce, ma questa luce non si rifletteva sul concreto. E quindi alle volte trovavo difficoltà a portare avanti delle iniziative che durassero a lungo. Oggi invece l'amore ci fa scoprire i momenti in cui Dio ci parla attraverso gli avvenimenti e subito cerchiamo di rispondere. Cadono, per esempio, delle case a causa delle piogge? allora ci diamo da fare, ci mettiamo insieme a ricostruire le case; ci sono dei drogati? ci buttiamo a far qualche cosa per loro. E questo sempre partendo dall'unità e puntando all'unità.

 

 

 

Comunione dei beni

 

GEN'S: Parlando di aspetti concreti, come vivete la comunione dei beni?

 

In vari modi. Per esempio attraverso la «pastorale delle decime», come si dice da noi. Cioè, ogni famiglia che sente di farlo si tassa spontaneamente e dà un tanto ogni mese, secondo le sue possibilità. Attualmente sono 700 le famiglie che danno il loro contributo economico alla comunità e di queste alcune danno persino il 10% del loro guadagno. Prima non avevamo nemmeno la Caritas, adesso da quattro mesi riusciamo ad avere alimenti per aiutare famiglie poverissime.

Da noi c'è vera fame (il Brasile ha uno dei tassi più alti di mortalità infantile dell'America Latina, e ci sono nella sua popolazione più di dieci milioni di ritardati mentali a causa della fame cronica sofferta dalla nascita). Quello che noi riusciamo a fare è poco, perché bisogna puntare - come si ripete instancabilmente in America Latina - a risanare le cause della povertà. Ma è necessario intanto fare anche questo, perché la fame e la miseria della gente non possono attendere che cambi il mondo per essere sollevate.

Naturalmente la comunione dei beni non si fa solo attraverso i soldi, ma ognuno mette a disposizione i propri talenti, le proprie conoscenze, il tempo.

 

 

 

Fede, politica e strutture sociali

 

GEN'S: E gli aspetti politici, sociali, strutturali? Come tu accennavi, non bastano delle piccole azioni, dei «rammendi», ma è la società che è malata e produce povertà, discriminazioni, ingiustizie...

 

Infatti, tante volte si ha una sensazione fortissima d'impotenza. Si ha la tentazione di lasciar correre perché non si sa da dove incominciare. La società appare come una macchina che stritola, una vera fabbrica di poveri, che va avanti senza possibilità che la si possa fermare.

Però anche lì a un certo punto ho capito che dovevo smettere di parlare male dei politici in chiesa e cominciare ad amarli come persone. Questo ha fatto sì che si creasse un migliore clima di comprensione. In questi ultimi tempi alcuni politici si sono avvicinati per parlarmi, mentre prima mi ponevano tanti ostacoli.

Allora mi son detto: che cosa ho fatto per loro, che cosa abbiamo offerto loro come Chiesa per renderli più coscienti del loro cristianesimo? Cosa abbiamo fatto per aiutarli ad approfondire gli aspetti sociali del vangelo e incarnarli nella propria vita e nella società?

È nata così un'iniziativa che non avrei mai immaginato prima. Abbiamo cominciato a fare degli incontri per politici. In un primo momento abbiamo avuto dei dubbi, perché siamo incalzati da tante cose da fare e non ci sentivamo ancora preparati. Eppure abbiamo pensato che era il momento di lanciarci. Abbiamo chiesto l'aiuto di persone competenti di «Umanità Nuova», e abbiamo incominciato.

Nel primo incontro, in due giornate, sul tema «fede e politica», c'erano 37 persone. Senza che l'avessimo programmato, erano politici di sette partiti differenti con quattro candidati a sindaco di altrettanti partiti. Alla fine dicevano: «Era questo che noi volevamo». Uno di loro osservava: «Vedo che non posso più far politica come la facevo prima, devo cambiare stile». Tutto l'incontro ci è sembrato un piccolo seme di un modo nuovo di far politica, e siamo rimasti d'accordo di continuare a ritrovarci ancora.

È accaduto anche che, mentre prima le persone della nostra comunità si ritraevano dalla politica (è molto forte nel popolo la convinzione che «la politica è una cosa sporca» e pertanto non ci si deve immischiare), adesso c'è una maggiore coscienza e impegno da parte di tanti, e alcuni addirittura sono diventati candidati a posti di responsabilità.

D'altra parte chi fa le strutture? Siamo noi uomini che stiamo dietro alle strutture economiche, giudiziarie, lavorative, educative... Per cui solo degli uomini con una coscienza e una mentalità nuova potranno cambiarle.

Vedo anche che in questo campo non devo cadere in un certo clericalismo, ma rispettare sia l'autonomia delle realtà umane, sia le scelte dei laici. Io posso proporre i principi evangelici, ma sono i laici che devono diventare competenti, militare nei partiti, cercare le mediazioni adeguate. Sono venuti da me un deputato federale, alcuni sindaci e altri politici a invitarmi perché mi presentassi come candidato a sindaco. Ho detto loro che non è questa la mia funzione: «Ci sono dei laici che hanno delle capacità in questo campo: trovateli, suscitateli, date posto ai giovani, incentivateli perché comincino a impegnarsi e a prepararsi».

 

 

 

Dalla parte della vita

 

GEN'S: Parlavi prima delle grosse ingiustizie con cui sei a contatto. Quando si cerca di incarnare il vangelo, presto o tardi ci imbattiamo in esse e bisogna affrontarle. Ci racconti qualcuna delle difficoltà che hai trovato, e come hai cercato di vivere i conflitti che ne derivano?

 

Mi è capitato un episodio gravissimo, soprattutto per ciò che esso rivela. Come hanno ampiamente divulgato i mezzi di comunicazione, si era diffusa in una parte della polizia l'idea che eliminando un ragazzo di strada oggi, si avrà un criminale in meno domani.

Ebbene, due ragazzi di Lagarto, di 14 e 15 anni, passano in bicicletta davanti a un bar. Uno di loro urta con la ruota la gamba di un poliziotto in borghese che era seduto a bere. Ambedue i ragazzi vengono afferrati e, in pieno giorno, buttati in un camioncino, per essere poi seviziati, assassinati brutalmente e scaraventati da un ponte. Un'ora prima di dover andare a celebrare il funerale vengo a sapere com'erano andate le cose, perché il fatto era cominciato davanti a molti testimoni, e la mamma di uno dei ragazzi aveva visto quando li portavano via. Non ci ho pensato due volte. Mi sono detto: questo è un volto concreto di Gesù crocefisso ed abbandonato. Qui Dio mi chiama a difendere la vita così disprezzata nella nostra società.

Noi normalmente non accompagniamo i defunti fino al cimitero, perché sacerdoti siamo pochi e con tantissimo lavoro. In questo caso però non potevo non farlo. Mi sono messo alla testa del corteo funebre, in mezzo ai cartelli di protesta, improvvisati dai giovani del quartiere povero da dove provenivano i ragazzi morti. Ho convocato le tre radio locali che hanno trasmesso la Messa alla quale hanno partecipato migliaia di persone ed è venuta anche una TV da Aracajù, la capitale dello stato. Per telefono sono riuscito a comunicare anche con la moglie del governatore, incaricata degli affari sociali.

Si è provocato uno shock nell'opinione pubblica. Nel giro di 24 ore tutti i poliziotti (una trentina) assieme ai loro superiori sono stati rimossi e sostituiti. La giustizia ha cominciato a muoversi; la gente, anche se minacciata, va a deporre; gli assassini, che si sono dati alla latitanza, vengono ricercati e intanto due poliziotti sono stati imprigionati. I giornali ne hanno parlato. Ma soprattutto vedo che qualcosa è cambiata. Il governatore ha mandato un alto funzionario per vedere come andavano le cose. In altri episodi accaduti in seguito, dove la polizia ha dovuto intervenire, lo ha fatto con un'altra mentalità.

Naturalmente cerchiamo di amare anche i poliziotti, perché non è distruggendoli che si fa bene alla società, e poi la loro situazione non è facile, perché effettivamente in certi posti c'è tanta violenza e molta delinquenza. Ma è importante che loro amino e rispettino la vita. Per questo ci siamo proposti di fare anche qualcosa per loro, perché anch'essi si sentano amati e non solo criticati.

 

 

 

La «fattoria della speranza»

 

GEN'S: Sappiamo che ultimamente nella parrocchia è nata un'opera, di cui c'era estremo bisogno, per il ricupero di giovani tossicodipendenti. Com'è nata? Come la portate avanti e con quali frutti?

 

Quando ne abbiamo parlato con Hans Stapel, un francescano di San Paolo col quale condividiamo la spiritualità del Movimento dei focolari e che da anni porta avanti un'esperienza per il ricupero dei tossicodipendenti, mi sono chiesto: «Come posso io aiutare questi giovani? Non ho competenza e poi non ho soldi, né per acquistare una casa né per pagare psicologi, psichiatri, medici, persone che amministrino la casa». Vedendo la cosa insieme con Hans, ho sperimentato ancora una volta che la presenza di Cristo fra noi illumina, dà coraggio, magari fa sorgere delle iniziative impensate.

Lui mi ha tanto incoraggiato a comperare la fattoria con la casa. Pensavo che lo facesse perché, essendo tedesco, prevedeva degli aiuti consistenti dalla Germania. Dopo aver visitato diversi posti, ci hanno indicato una fattoria di 189 ettari, che sembrava adatta allo scopo. Costava 120.000 dollari. Abbiamo preso gli accordi, ma poi vengo a sapere che non c'erano soldi in arrivo dalla Germania. Hans mi rincuorava dicendomi: «Stai tranquillo, se la nostra iniziativa è da Dio, i soldi arriveranno». Infatti una persona si è impegnata prima a comperare la fattoria e a prestarcela per 20 anni, poi vedendo la serietà e lo spirito con cui ci muovevamo, e il servizio che costituiva una tale opera, ce l'ha regalata. Senonché quando già avevamo tutto sistemato, veniamo a sapere che c'era un'ipoteca sulla proprietà, più grande di tutto il suo valore. Lì ho cominciato ad agitarmi, vedendo crollare tutto e credendo che ci eravamo messi in un «pasticcio» che nessuno avrebbe potuto risolvere. Di nuovo Hans: «Non ti preoccupare: se Dio ci ha mandato questa terra e questa casa, ci penserà lui a trovare la soluzione». E, per una serie di «coincidenze», si sono facilitate le cose in modo tale che i proprietari precedenti hanno potuto pagare l'ipoteca. È stato una specie di miracolo della Provvidenza.

Questa fattoria è nata veramente dall'unità, perché senza Hans io non avrei mai pensato a una simile iniziativa. È nata dall'unità anche col vescovo e con gli altri sacerdoti della diocesi. Anzi il vescovo ha richiesto il parere del presbiterio, anche se la nostra parrocchia se ne assumeva tutta la responsabilità. Abbiamo così potuto spiegare il progetto e tutti l'hanno approvato.

 

 

 

L'unità come metodologia

 

Ma la cosa interessante è che non solo il progetto è nato dall'unità, ma la comunità funziona e va avanti avendo come metodologia l'unità. Questo, penso, è qualcosa di nuovo.

Nell'aiutare questi giovani tocchiamo con mano che è Gesù in mezzo a loro che li guarisce. Essi infatti fanno diverse attività: lavorano, pregano, ma è l'amore reciproco - quell'amore che fa sentire la presenza di Gesù nella comunità - che produce la guarigione. Noi non abbiamo psicologi, che vadano là tutti i giorni. Abbiamo un focolarino sposato, Evilazio, che ha lasciato il suo lavoro. Ora guadagna molto meno, ma sta con loro, li segue, fa dei colloqui. Egli era un tecnico, che non aveva mai immaginato di poter svolgere un giorno un'attività educativa con dei drogati. Il suo compito è soprattutto quello di creare e cercare di mantenere fra tutti quei rapporti di carità reciproca che poi trasformano le persone.

E i giovani vengono ricuperati e poi aiutano altri a riabilitarsi proprio a partire dall'unità nella carità, unità che si costruisce prima di tutto fra i responsabili. Ci sono tra i coordinatori due giovani che desiderano diventare sacerdoti. Il vescovo è stato contento, dietro nostra proposta, che i giovani restassero lì a fare questo lavoro per un certo tempo, prima di andare in seminario. Ebbene, in questi giorni uno dei giovani ex tossicodipendenti mi ha detto: «Io ho cominciato a cambiare, ad uscire da me stesso, ad amare e a pensare agli altri, quando ho visto l'unità fra i due seminaristi, come loro si vogliono bene». L'altro giorno è successo un piccolo episodio significativo al riguardo. Io vado regolarmente alla fattoria per stare con loro e anche per ascoltare le confessioni. Uno di loro aveva detto di aspettare la mia andata per risolvere un certo problema della comunità. Allora un giovane di 18-19 anni, che viene da una situazione molto difficile, ma ormai superata nella comunità di cui è diventato uno dei coordinatori, gli ha detto: «Guarda, non è padre Mario che deve risolvere i problemi, chi li risolve è Gesù in mezzo a noi!».

All'inizio mi chiedevo con preoccupazione come avrei fatto ad aiutare questi giovani. Poi ho visto che la cosa fondamentale è amarli davvero, non giudicarli, farsi uno con loro, ascoltarli e aver pazienza. Essi allora cominciano a sciogliersi, ad aprirsi, a fare i primi passi, superando non solo il problema della droga, ma cominciando una vita nuova.

 

 

 

Centro di recupero o di spiritualità?

 

Tante volte, quando sono un po' «giù di corda», vado nella fattoria di sera, quando tutti si ritrovano insieme e raccontano le loro esperienze su come hanno vissuto il vangelo in quella giornata. La loro genuinità e freschezza mi fanno fare un esame di coscienza e trovo nuova forza per ricominciare anch'io a vivere con nuova profondità e concretezza la Parola di Dio.

Un sacerdote di una parrocchia vicina, che prima aveva una certa avversione ai Movimenti, dopo aver ascoltato i ragazzi, è rimasto tanto impressionato da dire: «Una spiritualità che cambia così le persone merita di essere approfondita». Il vescovo stesso, venendo a trovarci, è rimasto colpito da questo cambiamento di vita dei giovani. Sono venuti pure dei seminaristi e son tornati così cambiati in seminario che volevano mandarli per due mesi ad aiutarci per poter condividere più a lungo la nostra esperienza. Ultimamente sono stati da noi sei seminaristi e, quando il rettore e il vescovo ausiliare della loro diocesi sono venuti a riprenderli, conoscendo il passato di quei giovani e come vivono adesso, il rettore ha detto: «Ma se qui è possibile vivere così, perché non possiamo farlo in seminario?». Mentre uscivamo il vescovo ha commentato: «Questa non sembra una casa di ricupero di giovani che erano caduti nella droga, ma un noviziato...».

Per noi quest'opera non è solo qualcosa di sociale, ma, cercando di vivere con Gesù in mezzo, è diventata anche un centro di spiritualità e di testimonianza evangelica molto forte. Recentemente abbiamo fatto qui un incontro per sposati, un centinaio di coppie. Si è anche organizzata una gita di giovani della diocesi: sono venuti in 500. Ogni tanto vengono i gen3 per uno scambio reciproco di fraternità e di esperienze. C'è stato anche il responsabile del Movimento dei focolari della regione e ha notato che ci muoviamo nello stile dell'unità. I coordinatori infatti non fanno niente senza cercar di assicurare quell'amore reciproco che dà la possibilità al Risorto di far sentire la sua presenza nella comunità con tutti i suoi frutti caratteristici.

 

 

 

I primi passi nell'ecumenismo

 

GEN'S: In America Latina stanno crescendo in modo notevole le Chiese evangeliche. E lo fanno soprattutto in quei posti dove l'evangelizzazione della Chiesa cattolica è inesistente o inadeguata. Ma con questo tipo di pastorale, penso che gli evangelici non sentano il bisogno impellente di dover convertire «i pagani cattolici dell'America Latina». Immagino, al contrario, che una tale linea evangelizzatrice avrà delle risonanze ecumeniche...

 

Ricordo quanto mi dava fastidio prima vedere la crescita delle altre Chiese. Anche trovarmi con dei loro pastori, mi faceva sentire un po' male. Poi ho capito che dovevo amarli e ho preso l'iniziativa di celebrare insieme con alcuni di loro la «Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani». Ho visto la cosa col vescovo. Egli all'inizio era un po' titubante, temendo che le altre Chiese ne approfittassero per fare proselitismo, creando confusione nei cattolici. Poi, conoscendo il nostro stile di vita, si è detto d'accordo.

Siamo già al secondo anno. È una novità, perché credo che in tutta la regione non ci sia nessun'altra parrocchia che riesca a fare questa «Settimana» insieme alle altre Chiese. Abbiamo cominciato facendo una notte di preghiera e di lettura della Bibbia, invitando i pastori. Alcuni di loro dicevano di sì e poi non venivano, ma altri sono venuti e sono rimasti entusiasti. Il primo anno c'erano solo due pastori e tre sacerdoti cattolici; quest'anno sono venuti già cinque pastori protestanti e si sono aggiunti altri parroci cattolici. Uno dei pastori diceva «questo è quello che sempre ho sognato: vivere come fratelli». Mentre l'anno scorso il pastore del posto, contrario all'ecumenismo, era andato di casa in casa dai cristiani della sua comunità per dire loro di non partecipare a questa iniziativa, quest'anno non l'ha più proibito. Pensiamo che il prossimo anno ci sarà una partecipazione ancora più grande. Oggi con questi pastori c'è cordialità, perché è nata tra noi la  fraternità e la stima reciproca.

Quanto agli effetti che produce nei fratelli evangelici il tipo di evangelizzazione che portiamo avanti, vedo come prima conseguenza concreta che diminuisce sempre più la concorrenza spietata che ha caratterizzato il nostro passato e al suo posto sta entrando la gioia di amarci e di aiutarci.

D'accordo col mio vescovo, ho invitato un pastore a parlare nella nostra comunità su come vivono la comunione dei beni nella loro Chiesa. Mi ha detto che verrà molto volentieri. È importante questo, perché un dialogo a livello dottrinale con tutto il popolo non lo possiamo fare, ma a livello della vita del vangelo tutti lo capiscono e tutti sono interessati. Ricordo una frase formulata in un incontro del Consiglio Ecumenico delle Chiese: «Più ci avviciniamo a Cristo, più ci avviciniamo fra di noi». È naturale che sia così.

Ovviamente facciamo tutto un lavoro fra i cristiani della nostra comunità, perché ognuno ami la propria Chiesa e quella altrui senza fare confusione. Il dialogo della carità, dell'amore non significa banalizzare né essere superficiali. E questo, facendo le cose bene, anche le persone più semplici lo capiscono.

Un altro effetto è che questo tipo di rapporti cambia il clima, per cui quegli evangelici che ancora usano dei metodi un po' violenti, non hanno molto seguito. Una certa Chiesa, che in Brasile ha avuto tanto successo, ma che non vuol saperne di ecumenismo, ha affittato il cinema di Lagarto di 600 posti, pensando di far furore. Dopo sei mesi ha dovuto sfittarlo perché alla fine vi andavano cinque, quindici persone. E un altro pastore dallo stesso stile aggressivo diceva: «Non so cosa succede qui a Lagarto: negli altri posti converto molte persone e faccio tanti battesimi ogni mese, mentre qui non ci riesco».

 

 

 

L'aggiornamento teologico

 

GEN'S: Spesso si sente dire dei sacerdoti nell'America Latina: «Molta pratica, poca riflessione». Tu riesci a studiare o a leggere? Come te la cavi su questo aspetto in mezzo a tante attivitè?

 

Io mi spaventavo dei molti documenti dei vescovi e del Papa. Vi trovavo degli aspetti importantissimi, sia a livello di pensiero che per la pratica, ma non riuscivo a seguirli per la loro quantità ed estensione e per le attività che mi assorbivano. Invece sai che cosa ho scoperto? Anzitutto, ordinando la vita in base a questo stile che ti sto descrivendo, riesco a leggere di più. E poi sotto la varietà dei documenti sono riuscito a scoprire quel filone ideale che li unisce. La spiritualità dell'unità mi ha dato quella chiave di lettura che cercavo da sempre.

Un professore molto in gamba del tempo del seminario ci diceva: «Voi dovete cercare un'idea-forza, attorno alla quale fare unità e organizzare le vostre conoscenze». Io l'ho sempre cercata senza mai trovarla. Nella Scuola sacerdotale ho finalmente trovato questa idea-luce, una chiave d'interpretazione non parziale ma universale, che fa cogliere subito nei documenti e nei libri che leggi l'essenziale. Così sono riuscito a leggere meglio e con più frutto. Questo perché hai un approccio vitale e le letture non rimangono nell'astratto, non ti danno solo dei concetti, ma ti offrono uno stimolo per incarnare il vangelo. Non leggo più  solo per conoscere, ma cerco di cogliere nei documenti della Chiesa cosa essi significano per la vita concreta.

In sintesi devo dire che tutta questa maniera di vivere ha rinnovato il mio ministero e mi fa tanto felice. Non mi fa sentire una specie di Atlante che deve sorreggere il mondo con la sensazione angosciosa di rimanerne schiacciato, ma un cristiano fra gli altri, dentro una comunità, con un carisma ministeriale che mi pone a servizio di tutti. La spiritualità dell'unità mi aiuta inoltre ad andare all'essenziale. Prima, ad esempio, perdevo tanto tempo con l'economia della parrocchia; ora, da quando l'ho affidata ai laici, pur seguendola, si son fatte più cose e in modo migliore, e i soldi non sono mai mancati. E si sono moltiplicati i collaboratori, per cui posso dedicarmi ad altre attività dentro e fuori la parrocchia, come coordinatore della pastorale della diocesi o per incontrarmi con sacerdoti e seminaristi che desiderano approfondire la spiritualità dell'unità.

 

Enrique Cambón