La testimonianza di un movimento ecclesiale all'origine di un fecondo scambio

di esperienze tra comunità parrocchiali dell'hinterland milanese

 

 

Evangelizzarsi per evangelizzare

 

 

di Enrico Pepe

 

La posizione geografica nell'hinterland milanese, la facilità di comunicazione col capoluogo industriale attraverso la metropolitana e la vicinanza all'autostrada hanno favorito in maniera straordinaria lo sviluppo della cittadina di Pero. Prima degli anni quaranta sul luogo c'erano tre cascine e un centinaio di abitanti; poi con una rapidità impressionante sono giunti emigranti da molte regioni italiane, ma soprattutto dalla Sicilia, dalla Calabria, dal Veneto, dalle Puglie e dalla Sardegna. Oggi il comune di Pero conta 10.500 abitanti, con circa 200 tra piccole e grandi industrie e attività commerciali. In questi anni tutti hanno lavorato sodo e quasi tutti hanno raggiunto un buon livello economico, ma quanto allo spirito comunitario non c'è una tradizione, anche se ne sentono forte il bisogno. Come impostare l'evangelizzazione in questo ambiente?

 

Vai a vedere Pero e,  se  ti  va  bene, ne diventerai parroco». Fu questo l'invito che il vicario zonale fece a don Antonio Mascheroni già parroco in un'altra cittadina del milanese. In curia avevano pensato a lui perché, conoscendo il suo impegno nel vivere la spiritualità del Movimento dei focolari, lo ritenevano adatto a costituire un presbiterio a vita comune. «Se poi non ve la sentite di vivere insieme - aggiunse il vicario - basta dividere la casa con un muro interno e verranno fuori due appartamenti distinti». Don Antonio non esitò un momento e disse subito di sì. Quanto alla costruzione del muro divisorio non ci pensava nemmeno, perché, se una cosa desiderava da tempo, era proprio vivere insieme ad altri sacerdoti, costruendo con loro la comunione come base di ogni attività pastorale.

 

 

 

Tre preti nella stessa casa

 

Ora sono addirittura in tre: due addetti alla parrocchia del centro cittadino e un altro a quella della periferia. «Ho pensato - dice don Antonio - che la grazia più grande per noi preti e per le nostre parrocchie è se potranno dire di noi come dei primi cristiani: “Guarda come si vogliono bene”».

L'esperienza pare che prenda consistenza, se il terzo sacerdote, che in un primo momento era venuto ad abitarvi solo provvisoriamente, perché la sua parrocchia era senza casa, dopo un anno ha deciso di rimanervi ancora.

La vita parrocchiale, già bene avviata precedentemente da chi vi aveva lavorato con la mente e il cuore, esige per questo nuovi sviluppi. Oltre le attività tradizionali così importanti come preparare i ragazzi per la prima comunione o i fidanzati per il matrimonio e tutte le altre numerose opere pastorali, cosa fare perché il vangelo penetri nel quotidiano come norma di vita?

«Mi trovavo presso il capezzale di don Matteo Censi, un sacerdote amico che condivideva con noi la sua esperienza cristiana e che poco dopo è partito per il cielo, quando egli, sapendo del mio trasferimento e indovinando la mia domanda, mi disse: “Non bisogna agitarsi; basta solo amare e riconoscere in ogni essere umano la presenza misteriosa ma reale del Cristo”».

Questo è certamente il primo passo per una pastorale che sappia guardare l'altro non come un numero, ma come persona. Bisogna poi dare a queste persone la possibilità di mettersi in relazione tra di loro in modo che possa nascere una comunità e la parrocchia non sia una semplice stazione di servizio per atti di culto.

 

 

 

Un aiuto a portata di mano

 

Era l'estate del 1991 e si teneva in quella zona una Mariapoli. I sacerdoti hanno pensato: «Perché non approfittare di questa esperienza del Movimento dei focolari per vedere se Dio sveglia in alcuni parrocchiani il desiderio di vivere una vita cristiana più profonda e comunitaria? D'altra parte i movimenti ecclesiali approvati dalla Chiesa non hanno anche la funzione di rivitalizzare la pastorale e la stessa vita parrocchiale?».

Hanno rivolto l'invito ad alcuni parrocchiani e, inaspettatamente, una quarantina di persone sono andate in Mariapoli accompagnate dal vicario parrocchiale. È stata un'esperienza importantissima per i partecipanti. Dicono di aver incontrato «qualcosa di autentico, di nuovo, di giovane, di profondamente evangelico, di aver toccato il divino con le loro mani». Senza saperlo ripetono con parole proprie la frase di san Giovanni: «... ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della Vita...»

Un sindacalista al suo ritorno racconta agli amici: «È stata la scoperta di un modo nuovo e anche semplice di vivere il vangelo. Ho visto uomini, donne, ragazzi, ragazze, papà, mamme uniti in uno spirito d'amore vicendevole veramente ammirabile. Ho capito che, vivendo l'amore verso ogni prossimo come premessa di ogni azione, possono cadere tutte le barriere che oggi ci dividono».

Un giovane ha scritto al parroco questo biglietto: «Tu sai che io sono un cane sciolto o meglio un pellegrino nomade sempre in cammino, alla ricerca... Mai come in questo periodo avevo bisogno di incontrare un'oasi nel deserto. L'ho trovata nella Mariapoli, che poi non capisco completamente..., ma mi sono rimaste tante cose, come l'esperienza che tu hai raccontato. Ho potuto conoscere un pezzo della tua vita e il mio anticlericalismo è andato in frantumi. Adesso penso che possiamo lavorare insieme anche se mi sento ancora un esterno...».

Una mamma, rimasta a casa, percepisce che qualcosa sta cambiando nei suoi tre figli e nella nuora che sono in Mariapoli: «Hanno fatto quello che mai avevano fatto prima: ogni sera mi telefonavano per tenermi al corrente delle loro scoperte e tornati a casa mi dicono: “Mamma, questa sera vorremmo uscire a mangiare una pizza con un amico  che parte militare. Vieni anche tu con papè?”». E la madre commenta: «Questo non era mai successo prima!».

Ogni partecipante racconta agli amici la sua scoperta e sembra che l'entusiasmo si diffonda inarrestabile come la luce. Ma si sa che in genere esso non ha molta durata e cede facilmente davanti alle dure difficoltà della vita: l'amore viene spesso soffocato dall'incorrispondenza propria ed altrui. Bisogna alimentare il fuoco e sostenere chi muove i primi passi.

 

 

 

Avere davanti dei modelli

 

«Noi sacerdoti sapevamo - dice il parroco - che bisogna calare lo spirito del vangelo nella vita normale della parrocchia. Ma per far questo è necessario avere davanti esempi concreti. Dopo la pausa estiva, avviando il programma dell'anno pastorale insieme al consiglio parrocchiale, decidiamo di fissare nei tre trimestri che seguono un incontro e uno scambio di esperienze con altrettante parrocchie della nostra regione, dove la vita della comunità cristiana è maggiormente sviluppata».

Le parrocchie di Vimodrone (Dio Trinità d'Amore), di Quinto di Stampi e di Nerviano, mandano ciascuna una loro rappresentanza a Pero. In tre pomeriggi diversi queste comunità, che hanno già fatto un certo cammino di evangelizzazione alla luce di ciò che si era sperimentato nella Mariapoli, raccontano la loro esperienza: sono partite dalla riscoperta del vangelo come Parola di Dio che, messa in pratica, cambia la vita e crea rapporti nuovi tra le persone unendole con un amore che va al di là di ogni sentimento umano. La parrocchia si rinnova dal di dentro e si presenta come un corpo vivo dove ogni membro mette a servizio degli altri la propria creatività e la propria responsabilità.

Tutti sono stupiti dalla vitalità di queste tre parrocchie. In esse, situate in contesti sociali differenti, la Parola vissuta assume tinte e sottolineature diverse. Vimodrone, di recente costituzione, è già riuscita a creare un clima di comunione tra i suoi membri con una vita evangelica che informa gli aspetti concreti, dall'economia alla liturgia, dall'apostolato alla catechesi. A Quinto di Stampi si può ammirare una comunità aperta a tutti, specialmente agli ultimi. A Nerviano si vede una parrocchia viva e armonica. Qui i rapporti tra le persone sono improntati alla semplicità evangelica: sono sorti ben 17 centri di ascolto della Parola e l'impegno nel vivere il vangelo si è concretizzato tra l'altro in una casa di accoglienza per 20 extracomunitari. Tutte e tre queste comunità hanno poi un denominatore comune: l'impegno a vivere il comandamento nuovo, anche nei momenti difficili, per cercare di costruire tra tutti l'unità.

 

Già nel primo incontro, dopo aver ascoltato esperienze degli amici di Vimodrone, alcuni parrocchiani di Pero offrono spontaneamente le loro, mostrando gli effetti della Parola di Dio vissuta negli ambienti della famiglia e del lavoro. È una sorpresa, perché in genere quando ci si incontra si parla di politica o di sport. Qui, forse per la prima volta, alcuni abitanti di Pero si raccontano con semplicità e con convinzione profonda l'azione di Dio nella loro vita, mentre altri fanno spontaneamente un esame di coscienza.

«Mentre ascoltavo - racconta una ragazza - ero portata a fare alcune considerazioni sulla mia vita di cristiana. Mi sono accorta che il mio comportamento a casa e nel mondo non era proprio secondo il vangelo. Ho analizzato la mia vita e sono arrivata a questa conclusione: se credo in Dio non posso camminare su una strada che non sia la sua, anche se questo mi impone di fare delle scelte precise».

Un'altra persona fa un'osservazione interessante: «Ho visto bambini, ragazze, genitori, nonni, famiglie come le nostre, raccontare esperienze di fede. Oggi si ha spesso paura o vergogna di parlare di queste cose perché si pensa che a nessuno possano interessare. Non è assolutamente vero e lo abbiamo constatato tra di noi. Mai come oggi le persone hanno bisogno di sentir parlare di Dio, ma così come l'abbiamo fatto oggi, contemplando la sua presenza anche nelle piccole cose di ogni giorno».

 

 

 

Al di là del proprio campanile

 

L'esempio è stato subito seguito e Pero ha iniziato una vita nuova. «Da allora - confida un parrocchiano - molte cose sono migliorate: per esempio i rapporti con i miei colleghi, col mio capo ufficio che ha esclamato: “Con te finalmente si può parlare, perché sei cambiato”. Per me questo è stato davvero un grande successo. La mia serenità interiore è indescrivibile. Mi sto accorgendo che pian piano sto salendo i gradini di quel grande cammino che ha come fine l'unità voluta da Gesù tra noi uomini».

L'incontro con Vimodrone aveva dunque segnato un passo in avanti per la comunità di Pero. Poi sono seguiti gli altri incontri interparrocchiali e la comunione di vita ha rafforzato i buoni propositi, ha dato nuovo animo a chi si era scoraggiato davanti alle difficoltà e soprattutto ha allargato gli orizzonti al di là del proprio piccolo mondo.

Quando in giugno nei diversi gruppi della parrocchia si sono fatte le verifiche sull'anno pastorale trascorso, alla domanda: «Quale l'attività pastorale più efficace in questo anno?», la risposta da parte di molti è stata: «I tre pomeriggi interparrocchiali».

Forse per questo nelle vacanze di quest'anno sono andati in sessanta alla Mariapoli. Sono andati per amare, ma, per quell'alchimia divina del chi dà riceve, sono ritornati con nuove forze e nuova luce nel continuare il cammino intrapreso.

Abbiamo chiesto ad un parrocchiano se Pero è cambiata dopo aver iniziato questa esperienza. Ci ha risposto: «Non so se la comunità di Pero sia cambiata. Posso dire che qualcosa è cambiato in me. In ventidue anni non mi ero mai interessato degli altri, non legavo con nessuno ed ora mi trovo immerso in una grande famiglia; inoltre ho riscoperto la Chiesa e persino il Papa, che per me prima era un estraneo, mentre ora lo sento della nostra famiglia. Certo, prima, non facendo caso al vangelo, tutto sembrava più facile, facevo quel che volevo, ma poi ero sempre pieno di problemi; oggi ho la gioia nel cuore e mi sforzo per aiutare a risolvere i problemi degli altri».

I sacerdoti, riflettendo tra loro e con i laici, sono concordi nel ritenere che bisogna continuare su questo cammino: preti e laici, impegnati nella stessa avventura di evangelizzare evangelizzandosi.

«In questo momento nella nostra regione - ci confida il parroco - di fronte alla decadenza morale si avverte fortemente la necessità di una trasformazione sociale profonda e soltanto persone “nuove”, rese cioè tali dalla novità del vangelo, potranno essere seme di speranza per un mondo dalle strutture sociali rinnovate».

 

Enrico Pepe