Uno sguardo al magistero
sociale dei vescovi latinoamericani
Scelta dei poveri
e comunione trinitaria
Joâo Braz de Aviz
E' molto noto il posto
centrale dato dalla Chiesa
latinoamericana all'opzione per i poveri nell'evangelizzazione; è meno
conosciuto invece il rilievo che il magistero dei vescovi latinoamericani ha
dato alla comunione trinitaria, come
modello per il superamento delle problematiche sociali e come sorgente e fine
dell'evangelizzazione. L'autore di questo articolo è un sacerdote brasiliano
con una consistente esperienza ecclesiale alle spalle. Egli attualmente sta
terminando la sua laurea in teologia su questo argomento. Il suo contributo,
seppur necessariamente breve e soltanto indicativo, ci sembra particolarmente
interessante.
Se è vero che l'America Latina viene spesso chiamata il
continente della speranza, è pure vero che forse mai come in questo momento è
calato sulle nazioni e sui popoli latinoamericani un sentimento diffuso di
mancanza di speranza. E' un fenomeno, segnalato in modo particolare da alcuni
episcopati del continente, riflesso diretto del crollo delle ideologie ma anche
del non decollo di una via di sviluppo e di liberazione.
O il Vangelo manifesterà nel
continente la sua potenza come lievito di un radicale cambiamento anche
sociale, capace di distruggere le potenti «strutture di peccato» presenti in
essa, e favorirà la nascita di strutture di solidarietà e comunione, o lascerà
di essere un punto di riferimento decisivo per molti che hanno sete di
fratellanza e di giustizia non solo a livello personale, ma anche socio-economico-politico.
Perciò nella prossima
assemblea di Santo Domingo la nuova evangelizzazione, oltre che con le culture, viene messa in rapporto - sotto
l'impulso personale del Papa - con la dottrina sociale della Chiesa e la
promozione umana.
Ciò ha dei precedenti
notevoli nel magistero sociale dei vescovi latinoamericani. Non potendo
presentare qui una panoramica più ampia, daremo almeno dei cenni orientativi
soffermandoci soprattutto in due momenti privilegiati: la seconda e la terza
assemblea generale dell'episcopato latinoamericano, organizzate dal CELAM
(Consiglio episcopale latinoamericano), a Medellín (1968) e Puebla (1979). E lo
faremo sottolineando soprattutto un'ottica particolare, che ci sembra uno dei
contributi più originali e più importanti di questo episcopato: il rapporto tra
evangelizzazione, opzione per i poveri e quella comunione che ha la sua
sorgente, la sua piena realizzazione e il suo destino, nella comunione
trinitaria.
1. Medellín:
evangelizzazione e
segni dei tempi
La Chiesa latinoamericana
prende sempre più chiaramente coscienza di quello che ha significato Medellín.
Segno evidente della capacità di accogliere il kairós manifestatosi nel
Vaticano II e nella storia del continente. Infatti il tema di quell'assemblea
era: «La Chiesa nell'attuale trasformazione dell'America Latina alla luce del
Concilio Vaticano II».
Evangelizzazione
e «ingiustizia
istituzionalizzata»
L'approfondimento teologico
presente già in Medellín e, allo stesso tempo favorito da questo grande
avvenimento ecclesiale, ha privilegiato le categorie oppressione e liberazione
per interpretare il fenomeno della povertà e della miseria collettiva. Con ciò
si è riconosciuta una delle cause principali del sottosviluppo del continente:
l'ingiustizia istituzionalizzata. Il fatto cioè che le cause della povertà non
sono «innocenti» ma provocate.
Sono soprattutto tre i
documenti di Medellín che esprimono fortemente la situazione di ingiustizia, e
andrebbero letti per intero: il primo sulla giustizia, il secondo sulla pace ed
il quattordicesimo sulla povertà nella Chiesa. Li citeremo semplicemente con
Giustizia, Pace, Povertà.
«Un sordo clamore si eleva
da milioni di uomini, chiedendo ai loro pastori una liberazione che non arriva
da nessuna parte» (Povertà, 2). Si constata che «per difetto delle strutture
dell'impresa industriale e agricola, dell'economia nazionale e internazionale,
della vita culturale e politica, intere popolazioni, sprovviste del necessario,
vivono in una dipendenza che li taglia fuori da qualsiasi iniziativa e
responsabilità, ed anche da ogni possibilità di formazione culturale e di
accesso alla carriera sociale e politica (Populorum progressio, 30), con la
violazione di diritti fondamentali» (Pace, 16).
Medellín descrive questa
assurda, ma reale situazione, con la lucidità di una coscienza profetica mai
vista prima nelle dichiarazioni di tutto l'episcopato di un continente.
Situazione assurda, provocata da meccanismi che si sono consolidati lungo i
secoli in assoluto contrasto con le esigenze evangeliche.
I vescovi indicano un'altra
causa della povertà in stretto rapporto con la precedente: la «mancanza di
solidarietà, che porta, nel piano individuale e sociale, a commettere veri
peccati, la cui cristallizzazione diventa evidente nelle ingiuste strutture che
caratterizzano la situazione dell'America Latina» (Giustizia, 2).
Partendo dalla celebre
affermazione di Paolo VI nella Populorum Progressio, i vescovi latinoamericani
evidenziano una terribile conseguenza su cui purtroppo la storia ha dato loro
ragione: «Se “lo sviluppo è il nuovo nome della pace” (Pè 87), il sottosviluppo
latinoamericano, con caratteristiche proprie nei diversi paesi, è una ingiusta
situazione promotrice di tensioni che cospirano contro la pace» (Pace, 2).
Questa complessa realtà ha
portato Medellín a sottolineare quanto l'evangelizzazione «dev'essere in
rapporto con i segni dei tempi, che nel nostro Continente si manifestano
soprattutto nel campo sociale, e costituiscono un luogo teologico e
un'interpellanza a Dio» (Pastorale delle élites, 13).
Alla luce
dell'approfondimento delle radici biblico-cristologiche della povertà, a cui è
chiamata tutta la Chiesa, Medellín urge le sue conseguenze ecclesiologiche: «E'
necessario insistere che l'esempio e l'insegnamento di Gesù, la situazione
angosciosa di milioni di poveri in America Latina, le incisive esortazioni di
Paolo VI e del Concilio, pongono la Chiesa latinoamericana davanti ad una sfida
e ad una missione dalla quale non può sfuggire, ma alla quale deve rispondere
con diligenza e audacia adeguate all'urgenza dei tempi. Cristo nostro Salvatore
non solo ha amato i poveri, ma, “essendo ricco si è fatto povero”, ha vissuto
la povertà, ha concentrato la sua missione nell'annuncio della liberazione dei
poveri e ha fondato la sua Chiesa come segno della povertà tra gli uomini»
(Povertà, 7).
Medellín prevedeva che
questa povertà della Chiesa, così assunta, sarebbe diventata «segno del valore
inestimabile del povero agli occhi di Dio, impegno di solidarietà con quelli
che soffrono» (Povertà, 7).
L'atteggiamento pastorale
che ne deriva - e che segnerà così profondamente la vita della Chiesa
latinoamericana - è la «preferenza
effettiva nei riguardi dei settori più poveri, bisognosi ed emarginati per
qualsiasi motivo» (Povertà, 9), e la più acuta coscienza «del dovere di
solidarietà con i poveri. Questa solidarietà significherà fare nostri i loro
problemi e lotte e saper parlare a nome loro» (Povertà, 10).
Sempre sulla linea
dell'agire, si prende pure atto dell'insufficienza di un atteggiamento di
assistenzialismo, e si propone una promozione umana, che rispetti la dignità
personale del povero, «insegnandogli ad aiutarsi da sé» (Povertà, 11).
Una carità capace
di trasformare la società
Ma da dove iniziare la
costruzione della giustizia per poter essere fedeli, nella situazione storica
concreta, alle esigenze del vangelo?
«L'origine di ogni disprezzo
dell'uomo, di ogni ingiustizia, dev'essere ricercata nello squilibrio interiore
della libertà umana che avrà sempre bisogno, nella storia, di un costante
lavoro di rettifica» (Giustizia, 3). Per cui il cammino verso una vera
liberazione passa attraverso una «profonda conversione».
Questa conversione deve
cambiare le strutture e coinvolgere gli esseri umani che sono dietro di esse:
«Non avremo un Continente nuovo senza nuove e rinnovate strutture, ma
soprattutto non ci sarà Continente nuovo senza uomini nuovi che alla luce del
Vangelo sappiano essere veramente liberi e responsabili» (Giustizia, 3).
La storia della salvezza, in
questo contesto, appare come «un'azione di liberazione integrale e di
promozione dell'uomo in tutta la sua dimensione, che ha come unico movente
l'amore» (Giustizia, 4).
L'amore di Dio comunicato
all'uomo, ricco della dimensione di giustizia, diventa dinamismo capace di
produrre il cambiamento: «l'amore, “legge fondamentale della perfezione umana,
e di conseguenza della trasformazione del mondo” (GS 38), non è solo il
comandamento supremo del Signore, ma anche il dinamismo che deve muovere i
cristiani a realizzare la giustizia nel mondo, avendo come fondamento la verità
e come segno la libertà» (Giustizia, 4).
2. Puebla: dall'opzione
per i poveri
alla comunione e
partecipazione
Puebla ha significato una
profonda continuità, ma anche una grande novità, in quanto ha esplicitato le grandi
linee ecclesiali assunte a Medellín e fatte proprie successivamente dai diversi
episcopati, fondandole però più chiaramente in una visione cristologica e
trinitaria, espressa nelle categorie teologiche di comunione e partecipazione,
che pervadono tutto il documento finale.
In questo modo l'opzione
preferenziale per i poveri, assunta dalla Chiesa a Medellín e poi largamente
concretizzata nella dura realtà del continente, viene confermata in Puebla come
cammino evangelico ed ecclesiale che permetterà all'uomo latinoamericano e ai
popoli del continente la loro liberazione, quale frutto di un processo dinamico
di comunione e partecipazione, che ha la sua sorgente ultima nella vita
trinitaria.
Opzione preferenziale per
i poveri:
impegno evangelico
Sono le angosce che
derivano dalla povertà del popolo ciò che Puebla vuole condividere in maniera
speciale. Il crescente distacco fra ricchi e poveri si configura, alla luce
della fede, come uno scandalo e una contraddizione. Perciò qui la Chiesa -
riprendendo il linguaggio di Medellín -
discerne una «situazione di peccato sociale» (Puebla, 28; cf 1269), non
solo nel suo aspetto personale ma anche nelle stesse strutture (cf Puebla,
1258;), per cui parla chiaramente di «strutture di peccato» (Puebla, 281; cf
Giovanni Paolo II, Zapopán, 11).
Si tratta in primo luogo di
una «povertà disumana», che si manifesta come un fenomeno di massa e che si
esprime nei problemi di mortalità infantile, mancanza di una casa decente,
problemi di salute, salari di fame, disoccupazione e sottoccupazione,
denutrizione, insicurezza del lavoro, migrazioni in massa forzate e senza
protezione. E' una «situazione di estrema povertà generalizzata» che acquista
«lineamenti molto concreti», «visi di bambini, colpiti dalla miseria prima
ancora di nascere», «visi di giovani, disorientati per il fatto di non trovare
un posto nella società», «visi di indigeni e frequentemente di afroamericani,
che vivono emarginati e in situazioni disumane», «visi di campesinos che come
gruppo sociale vivono in condizioni di abbandono», «visi di operai spesso mal
retribuiti ed in condizioni di grande difficoltà per organizzarsi e difendere i
propri diritti», «visi di emarginati nei “ghetti” delle zone urbane», «visi di
anziani» spesso anch''essi emarginati (cf Puebla, 27-39).
In questo impegno per i più
diseredati la Chiesa assomiglia a Cristo (cf Lc 4, 18-21; Giovanni Paolo II a
Puebla, Discorso inaugurale, III, 3). «La Chiesa deve perciò guardare a Cristo
quando essa si interroga su quale debba essere la sua azione evangelizzatrice.
Il Figlio di Dio mostrò tutta la grandezza di questo impegno facendosi uomo,
poiché si identificò con gli uomini facendosi uno di loro, solidale con loro e
assumendo le condizioni in cui essi si trovano, nella sua nascita, nella sua
vita e soprattutto nella sua passione e morte, con cui raggiunse la massima
espressione di povertà» (Puebla, 1141).
Questo testo di Puebla
condensa in una sintesi molto felice - dovuta al riferimento alla Scrittura (Fl
2, 5-8), al testo fondamentale della Lumen Gentium (LG, 8), alla Evangelii
nuntiandi (EN, 30) e a Medellín (Giustizia, 1, 3) - il fondamento cristologico
dell'opzione preferenziale per i poveri.
Liberazione:
esigenza dell'amore
trinitario
Ma esiste ancora una
novità in Puebla, come abbiamo accennato, in rapporto a questa opzione, perché
l'intero testo delle conclusioni, intriso come abbiamo detto delle
importantissime categorie della comunione e partecipazione, trova la sua
sorgente nella «vita trinitaria, della quale Gesù Cristo ci fa partecipi».
Infatti da più parti è stato
notato che Puebla ha fatto un passo in avanti nel trattare il tema della
liberazione, parlando non soltanto di liberazione da ma anche di liberazione
per. Parla appunto della liberazione cristiana come composta da «due elementi complementari
e inseparabili: la liberazione da tutte le servitù del peccato personale e
sociale, da tutto ciò che lacera l'uomo e la società, che ha la sua origine
nell'egoismo e nel mistero dell'iniquità; e la liberazione per la crescita
progressiva nell'essere, per la comunione con Dio e con gli uomini, che culmina
nella perfetta comunione del cielo, dove Dio è tutto in tutti, e dove non vi
saranno più lacrime» (Puebla, 482).
Il dinamismo che rende
possibile il passaggio dalla povertà disumana alla comunione, alla vita di
figli e fratelli, ha le sue radici ultime nella vita divina, che è comunione
trinitaria (cf Puebla, 211 e 212).
E' questa la comunione alla
quale aspirano i poveri dell'America Latina, e che non è qualcosa di
«spirituale» o di riservato alle realtà escatologiche, ma un'esigenza
dell'oggi. Puebla lo dice con molta chiarezza al n. 215: «La comunione che si
deve costruire fra gli uomini è una comunione che abbraccia l'essere fin nelle
radici del loro amore e deve manifestarsi in tutta la vita, sino alla sua dimensione economica, sociale e politica.
Prodotta dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo, è la trasmissione della
loro propria comunione trinitaria».
Non sorprenderà quindi che
Puebla descriva che cos'è in sostanza
l'evangelizzazione, in questa formula concisa e audace:
«L'evangelizzazione è una chiamata a partecipare alla comunione trinitaria»
(Puebla, 218).
«Questa è la comunione che
cercano ansiosamente le moltitudini del nostro Continente» (Puebla, 216). Se
dessimo di meno le tradiremmo. Faremmo il contrario di quel che fece il padre
del vangelo, se ai figli che chiedono pane dessimo delle pietre o uno
scorpione. I popoli latinoamericani hanno diritto improrogabile al «pane» - una
vita degna di figli di un Dio che è Amore -, ma allo stesso tempo alla vita di
quel Dio che, appunto perché è Amore, «nel suo mistero più intimo non è
solitudine, ma famiglia» (Giovanni Paolo II, AAS, LXXI, p. 184).
3. Nuova
evangelizzazione,
promozione umana e
cultura cristiana:
verso Santo Domingo
Alle soglie del terzo
millennio, la Chiesa in America Latina, come del resto la Chiesa universale, si
trova davanti ad un nuovo importante salto di qualità per ciò che riguarda la
sua testimonianza evangelica.
La nuova evangelizzazione,
che come afferma Giovanni Paolo II nella Centesimus annus (n. 5) annovera «tra
le sue componenti essenziali» la dottrina sociale della Chiesa, dovrà puntare a
trasformare, oltre la persona e i suoi rapporti, anche le strutture sociali.
Medellín ha risvegliato
nella coscienza cristiana la dimensione liberatrice del vangelo nel suo
dinamismo sociale; Puebla, dieci anni dopo, ha confermato il cammino della
scelta preferenziale dei poveri come la strada necessaria per poter arrivare
all'esperienza di comunione universale a cui sono chiamati tutti gli uomini, e
che ha non solo come origine e fine, ma anche come «metodo», la comunione
trinitaria.
Santo Domingo, ricco di
questa straordinaria crescita della coscienza ecclesiale, nella sua
rivisitazione storico-critica dei cinque secoli di evangelizzazione, con «uno
studio storico rigoroso, un giudizio equanime e un bilancio oggettivo di quella
impresa singolare che deve essere vista nella prospettiva del suo tempo e con
una chiara coscienza ecclesiale» (Giovanni Paolo II, O. R. 10.03.'83), ma anche
attento all'impegno per la promozione umana verificatosi in questi anni, dovrà
guardare verso il futuro per cercare di consolidare l'opera iniziata.
Joâo Braz de Aviz