Da Puebla a Santo Domingo

per un centenario non solo commemorativo -

 

 

Molti motivi ci hanno indotto a dedicare questo numero all'America Latina. Innanzitutto per ricordare i 500 anni dall'inizio della sua evangelizzazione; poi per accompagnare la preparazione dell'avvenimento di Santo Domingo nel suo cammino metodologico e tematico,  pregnante di indicazioni e suggerimenti; e infine per condividere la vitalità e il travaglio di questa Chiesa, che fra poco comprenderà metà della popolazione cattolica nel mondo.

Come si vedrà dagli articoli, tanta della problematica del continente latinoamericano coincide con quella che si trova altrove, dal momento che viviamo in un mondo sempre più unificato o almeno interrelazionato. Tuttavia ci sono degli accenti propri che offrono un contributo specifico. Soprattutto quelli riguardanti il macroscopico fenomeno della povertà di massa e la maniera di affrontarlo.

Riguardo al  materiale che qui presentiamo, vorremmo premettere due indicazioni. La prima è che, nonostante la mole d'informazioni e di immagini che quotidianamente forniscono i mezzi di comunicazione sociale, sembra che buona parte del mondo ricco non abbia preso coscienza dell'assurdo e della sfida costituiti dal fatto che i 4/5 dell'umanità vivono nella povertà e nella miseria più atroce. Un dato reso noto in questi giorni dice che oggi muoiono nel mondo 40.000 bambini al giorno per denutrizione o per malattie banali o facilmente guaribili. L'America Latina è uno dei posti al mondo dove questo genere di realtà è all'ordine del giorno. Cosa significano questi fatti e cosa fare di fronte ad essi? La Chiesa latinoamericana, da molti anni, è in prima linea nella ricerca di una soluzione.

 

Seconda indicazione: il nostro è un tentativo di riflettere,  almeno in qualche misura, sui contributi che una spiritualità evangelica  di questi tempi - nel nostro caso quella del Movimento dei focolari - può dare in questo campo. Si tratta soltanto di suggerimenti, indicazioni, piste, verificate però nella vita.

 

Vorremmo comunque soffermarci su un aspetto, senza il quale si rischia di fraintendere buona parte del materiale che qui si offre e che è forse uno dei contributi più originali della riflessione teologica e pastorale dell'America Latina.

 

Quando si ascoltano cristiani che sottolineano valori spirituali, spesso si sente dire che, per trasformare il mondo, sono necessari una vita personale profondamente evangelica e rapporti interpersonali basati sull'amore. Ciò è innegabile. E' la radice di tutto. Già Medellín - pietra miliare della Chiesa latinoamericana - diceva chiaramente che «senza uomini nuovi non sarà possibile costruire un continente nuovo».

 

Non bisogna però dimenticare una verità da molto tempo acquisita in America Latina e così espressa dai vescovi latinoamericani a Puebla: per evangelizzare una cultura è necessario agire su tre piani, la conversione personale, la scala di valori con cui si muove un popolo e le strutture sociali.

 

Chiariamo brevemente questo concetto. Non bastano uomini nuovi, anche se essi sono la base di tutto. E' importante che ogni azione si faccia in maniera coordinata e che i popoli si muovano con motivazioni giuste, rispettose degli altri e ispirate alla solidarietà, specialmente verso i più deboli, cioè con criteri che seguano una scala di valori evangelici.

 

Però non basta ancora. Anche se ci fossero delle persone che incarnano il vangelo nella propria vita, dei gruppi con micro-esperienze meravigliose impregnate di autentica carità, e si fossero pure create opere di assistenza e promozione - sempre necessarie -, non sarebbe sufficiente. Bisogna che il vangelo s'incarni anche nelle strutture, cioè nelle istituzioni, nel sistema sociale.

 

Se l'economia è organizzata in maniera tale da diventare una macchina che moltiplica i poveri, se in questa economia non ci si preoccupa  della persona ma soprattutto del guadagno, vuol dire che questa struttura non funziona in senso evangelico; se tantissime persone non hanno libero accesso all'educazione, per cui di fatto rimangono svantaggiate nelle loro possibilità di inserimento nella società, o non ricevono l'assistenza sanitaria, per cui sono esposte all'invecchiamento e alla morte precoce e ingiusta; se il sistema giudiziario non difende i più deboli ed è in qualche modo asservito ai potenti; se le strutture carcerarie finiscono col diseducare e col corrompere le persone; se i rapporti tra i popoli sono basati soprattutto sullo sfruttamento e sulla legge del più forte - l'elenco purtroppo potrebbe continuare a lungo con esempi a tutti noti - vuol dire che, nella misura in cui si verificano tali fenomeni, il Regno di Dio non è ancora arrivato in queste strutture sociali.

 

Quando i cristiani non si rendono conto di tutto questo con chiarezza, rischiano di muoversi con una carità che non ha acquisito ancora una lucida coscienza della sua indispensabile dimensione strutturale.

 

E' a questo punto che frequentemente, tra cristiani impegnati nel sociale e tra coloro che affermano i valori spirituali, sembra svolgersi un «dialogo tra sordi», con la reciproca sensazione di non essere capiti.

 Si deve arrivare, come hanno detto a Puebla i vescovi latinoamericani, alle cause dei problemi sociali, altrimenti si mettono solo dei rattoppi e si avanza così lentamente nella soluzione dei problemi, che la trasformazione sociale sembra un'illusione, lasciando le porte aperte alle tentazioni della violenza o dello scoraggiamento o del disinteresse.

E' vero che alla radice delle «strutture di peccato» si trova il peccato personale, poiché dietro a quelle strutture ci sono persone concrete. Da qui l'importanza degli uomini nuovi. Ma allo stesso tempo bisogna essere coscienti di quanto le strutture sociali condizionino gli essere umani nel bene e nel male, potendo quelle schiacciarli e deformarli, come pure, al contrario garantire una vita più degna, da figli di Dio.

Per questo i vescovi latinoamericani parlavano con coraggio della «incoerenza tra la cultura dei nostri popoli, i cui valori sono impregnati di fede cristiana, e la condizione di povertà nella quale spesso rimangono ingiustamente imprigionati. Senza dubbio, situazioni di ingiustizia e di povertà acuta sono un'accusa contro la fede, per non aver posseduto la forza necessaria di penetrare i criteri e le decisioni dei settori responsabili della leadership ideologica e della organizzazione della convivenza sociale ed economica dei nostri popoli» (Puebla, 437; cfr 452, 1300).

E ancora - per rimanere sempre dentro il magistero sociale dei vescovi latinoamericani, ma si potrebbero citare anche tanti altri testi del magistero universale -: «Abbiamo coscienza che la trasformazione delle strutture è un'espressione esterna della conversione interiore» (Puebla, 1221; cf 395, 388, 488, ecc.).

Ormai questi principi fanno parte della dottrina sociale della Chiesa e sono stati ribaditi chiaramente nella Centesimus Annus. Non tenere conto di questa dimensione sociale-strutturale significherebbe non essere cristiani all'altezza dei tempi, per ignoranza o per ingenuità. E, ciò che è più grave, sarebbe infedeltà alla Chiesa e al progetto di Dio sull'umanità.

 

La Redazione