Incontro tra cristiani
dell'Italia e della Cecoslovacchia
di Tonino Gandolfo
Il cristianesimo vissuto
nei diversi contesti europei - secolarizzazione e pluralismo ad Ovest,
persecuzione e silenzio ad Est - ha fatto maturare in questi anni
d'incomunicabilità valori differenti che possono essere di grande arricchimento
reciproco. Riportiamo a questo proposito, attraverso una rilettura di
testimonianze dei partecipanti, un'esperienza di convivenza, indicativa di un
cammino da percorrere.
Folchi: una borgata di montagna, isolata in una conca laterale di
una di quelle valli alpine, che a raggiera discendono dallo spartiacque tra
Italia e Francia verso Cuneo. Ormai, solo per qualche domenica all'anno le
campane della linda chiesetta, che reca ancor evidenti i segni di una
«ripulitura» non lontana nel tempo, lasciano riecheggiare per il vallone le loro
note, a richiamare le poche persone che quassù risalgono per i mesi estivi.
Ma la casa parrocchiale,
vuota nei mesi invernali, si rianima ogni estate accogliendo gruppi di giovani,
ragazzi, adulti, famiglie, che dalla parrocchia di San Paolo, in Cuneo, vengono
qui a cogliere l'occasione di settimane di incontro e di campi-scuola, in cui
insieme alla distensione fisica, si ricrei lo spirito, nell'accoglienza
reciproca, nella capacità di incontro e di servizio, nell'ascolto di un Dio mai
lontano, ma che tuttavia qui sembra farsi più «vicino».
L'estate scorsa un gruppo
della Cecoslovacchia - una quindicina di persone, tra giovani, adulti e il
giovane sacerdote accompagnatore - è voluto venire in questo posto per «vedere»
la fede vissuta dai cristiani nell'Occidente.
Un'esperienza singolare, che
alle famiglie coinvolte ha aperto gli occhi e il cuore su una realtà rimasta
sepolta nel silenzio per anni: «Queste persone - scrivono Rosanna e Tarcisio -
ci hanno comunicato una fede autentica, da veri discepoli, perché nata dalla
sofferenza e dalla persecuzione». E Marco commenta sul Notiziario parrocchiale:
«Ci siamo resi conto come anche nelle condizioni più difficili è pur sempre
possibile la ricerca della verità e di Dio e testimoniare il vangelo».
Per gli amici della
Cecoslovacchia il soggiorno ha significato invece la scoperta sorprendente di
qualcosa che sembrava ormai smarrito nei meandri di un'esperienza
disumanizzante: «Io non avevo mai ricevuto un'accoglienza così calorosa e
fraterna», scrive Alena, una ragazza di 19 anni, battezzata a Pasqua del '90.
E Marcela: «Prima non sarei
stata capace di credere che così tante persone, che per lo più non si
conoscono, potessero vivere insieme come un'unica famiglia. A Folchi c'era
sempre qualcuno pronto ad aiutarmi e ad ascoltarmi».
Gli ospiti dell'Est
provenivano da varie parti della Cecoslovacchia e alcuni non si erano mai visti
prima di venire a Cuneo. A loro si è unito, per tutta la settimana, un
catechista proveniente dallo Zaire. «Nonostante questo - commenta don Romano,
parroco di San Paolo - e nonostante il problema della lingua (ceco, slovacco,
inglese, italiano) questi giorni sono stati un crescendo di comprensione e di
unità: insieme abbiamo sperimentato la bellezza e l'universalità del Regno dei
cieli, dove non conta né la razza né la lingua, ma solo l'amore».
Un amore che prende la sua
luce e la sua fonte dalla Parola: punto focale delle giornate vissute insieme è
stato infatti il «mettersi in ascolto» del vangelo. Ogni giorno una beatitudine
evangelica, commentata alternatamente da don Marek, il sacerdote della
Cecoslovacchia, e da don Romano, scandiva il ritmo della convivenza.
«Beati i miti...», «Beati i
perseguitati...»: un'occasione per don Marek di comunicare delle cose stupende
sulla loro esperienza di Chiesa perseguitata.
«C'è una frase detta da don
Romano durante una catechesi che ricordo spesso - fa riecheggiare Marcela dalla
Cecoslovacchia -: “Cerchiamo spesso di essere la persona che non siamo e non la
persona che siamo”. Mi sono resa conto di come devo essere capace di accettarmi
così come sono, senza fingere per fare effetto».
O ancora: «Spesso ricordo le
parole di don Gianni (il viceparroco di San Paolo) durante la Messa: “Dio ci
vuole felici” e “Possiamo essere felici solo quando rendiamo felice chi ci sta
intorno, solo quando ci dimentichiamo di noi stessi e cerchiamo di vivere per
gli altri”».
E' nata così una gara per
mettere in pratica vicendevolmente ciò che le parole di Gesù suggerivano e di
conseguenza il vangelo si è fatto esperienza: «Ci sono stati momenti - dicono
Rosanna e Tarcisio - in cui le Beatitudini le abbiamo veramente sperimentate».
E ancora Marcela: «Con una mia amica ci eravamo domandate un giorno come
comportarci con quelli che non ci amano. Abbiamo capito che dobbiamo aprirci a
loro amandoli per primi senza aspettarci nulla, convinte che nei nostri cuori
non rimangono mai spazi vuoti come conseguenza del nostro dare amore, poiché
vengono subito riempiti di nuovo dall'amore di Dio. A Folchi è successo proprio
questo: abbiamo provato ad offrire per primi il nostro amore agli altri e non è
rimasto alcuno spazio vuoto nei nostri cuori».
Un linguaggio essenziale
espressione della vita
«Vivere insieme a persone
che non parlavano la nostra lingua - sono Guido ed Elena, una coppia di San
Paolo - ci ha costretti, per così dire, a semplificare il linguaggio e ridurlo a parole semplici ed essenziali. E'
stata una gara ad essere nella realtà di quello che si diceva».
Nessuno batteva i bambini in
questa arte: «Fabrizia, Alberto e Simona (3 - 5 anni), senza lasciarsi limitare
dalla lingua, cercavano il dialogo con loro non soltanto nel gioco, ma anche
nei momenti di preghiera e di riflessione».
Facevano parte di questa
«gara» frequenti momenti di comunione: «Abbiamo dato molto spazio allo scambio,
perché loro avevano molta sete di conoscere la nostra esperienza di fede. Ma
soprattutto noi siamo rimasti sorpresi nel conoscere dal di dentro persone che
avevano fatto una scelta per Cristo molto consapevole e coraggiosa: molti di
essi avevano ricevuto il battesimo e la cresima da poco tempo e alcuni anche
con una forte incomprensione da parte dei loro genitori (...) eppure avevano
una maturità spirituale, un senso profondo della preghiera, una gioia limpida
che ci ha veramente colpiti».
Nel clima creato dalla
Parola vissuta i momenti di preghiera hanno acquistato un sapore nuovo:
«Nonostante le lingue diverse si respiravano una sintonia ed un'unità tali da
rendere quasi inutile la traduzione»; «La preghiera, vissuta con atteggiamenti
intensi di partecipazione, ha avuto il suo culmine nell'adorazione notturna
della croce: lì mi è sembrato di capire che proprio la sofferenza di Gesù in
croce era il segreto della gioia e della pace che c'era fra noi, sconosciuti
fino a qualche giorno prima, ma già talmente concordi da sembrare amici da
sempre».
«Il campo ci ha consentito
di avere un'apertura ed un dialogo con culture differenti dalla nostra -
scriverà Marco sul Notiziario parrocchiale - ma soprattutto ci ha consentito di
testimoniare come sia possibile costruire l'unità e la vera comunione al di là
di ogni differenza».
La visita del vescovo di
Cuneo, mons. Carlo Aliprandi, ha portato poi come il suggello a questa
esperienza di «Chiesa» realizzata insieme: «Il vescovo ha risposto ad alcune
domande fatte dagli amici della Cecoslovacchia ed ha celebrato l'eucaristia in
un clima molto forte di unità e di gioia».
«Non dimenticate
l'ospitalità»
Al termine del campo, quasi
tutti i visitatori dell'Est si sono fermati ancora una settimana a Cuneo,
ospiti di varie famiglie della parrocchia: «Tutta la comunità è stata coinvolta
in questa esperienza di accoglienza, sia direttamente, sia partecipando alle
spese, perché abbiamo voluto offrire tutto gratuitamente. Ad estate finita,
possiamo dire di aver toccato con mano la verità e la bellezza di quella parola
della Scrittura che ci eravamo messi in cuore all'inizio: “Non dimenticate
l'ospitalità: alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo”».
Il rischio che l'esperienza
rimanga un momento bello a sé stante è superato dalla certezza che quanto
sperimentato insieme può e deve continuare.
«Appena ritornata a casa -
ha scritto Alena - ho sofferto un po' per il cambiamento. So che ci resta un
lungo cammino da fare. Ma ciò che abbiamo vissuto con voi ci spinge a
comunicare questo dono ai nostri fratelli e sorelle, incominciando per primi a
rinnovare noi stessi».
Marcela ha espresso così
questa volontà di un sempre nuovo inizio: «A Folchi ho capito che la vita è una
sorta di crescita, una escursione alla vetta di un monte molto alto. Talvolta
ci sembra di essere arrivati, ma quella che abbiamo raggiunto non è ancora la
cima; è soltanto un posto per riposarsi: poi dobbiamo proseguire».
Tonino Gandolfo