Un'evangelizzazione che ha
la forza di accomunare i popoli
Emigranti:
fonti di tensione o fermenti di unità?
di Enrico Pepe
Due sacerdoti italiani di
Vicenza da alcuni anni accompagnano pastoralmente emigranti italiani in
Germania nella Missione di Sindelfingen a sudovest di Stoccarda. Un compito
difficile e spesso non gratificante. Don Nereo Furlan confessa candidamente
che, dopo cinque anni di tentativi in un'altra Missione, sognava di tornarsene
in Italia a prendersi cura di una «normale parrocchia» nella sua terra. Proprio
in quel momento il suo Vescovo gli mandava in aiuto un altro prete, don Antonio
Scanagatta. La comunione tra loro e con i sacerdoti tedeschi diventa la chiave
per un'insolita e felice esperienza di integrazione.
Quando don Nereo dodici anni
fa giunse per la prima volta in Germania portava con sé un grande entusiasmo e,
al suo arrivo, ricevette direttive molto chiare: «I miei nuovi superiori -
racconta - mi avevano detto che la mia presenza aveva un duplice scopo:
salvaguardare la fede dei nostri connazionali dando loro la possibilità di
esprimerla nella propria lingua e secondo le proprie tradizioni e, nello stesso
tempo, favorirne l'integrazione nelle comunità cattoliche locali».
Da un lato si doveva andare
incontro alle necessità della prima generazione, che, non conoscendo la lingua
e sognando di tornare al più presto in patria, non era disposta a fare grandi
sforzi per una inculturazione; dall'altro lato bisognava assumere i problemi di
coloro che pian piano decidevano di restare per sempre in Germania, e
soprattutto bisognava soddisfare le attese della seconda generazione, i figli
degli emigranti, che nella scuola e nel lavoro, come nel tempo libero, si
sentono in pratica parte integrante della società in cui vivono. In ogni caso
un lavoro di mediazione, aiutando a interpretare il senso cristiano
dell'avventura migratoria.
«Nonostante queste linee
chiare, rispettose del dato sociologico e attente al valore identità - continua
don Nereo -, la pratica non fu facile. Iniziative, le più differenziate, da
parte di parroci tedeschi e dei loro collaboratori oltre alle nostre personali,
o anche progettate assieme, non trovavano corrispondenza negli italiani o
davano esiti di giornata, che sembravano sparire nel nulla. Sognare in questo
ambiente un collaboratore è stato sempre... un sogno!».
Si sa che la religiosità di
molti italiani ha un ambito interiore ed è legata anche a comportamenti morali
da non sottovalutare, ma ha scarse espressioni sociali, frenata com'è
dall'individualismo e da un lungo vissuto di emarginazione, non solo dalla
società civile ma anche da una pastorale che non sempre ha saputo coinvolgerli
in un'esperienza cristiana comunitaria.
Molto sentite sono le feste
popolari e le occasionali celebrazioni rituali. Così il battesimo, la prima e
spesso anche ultima comunione, il matrimonio e il funerale sono momenti
importanti che non si realizzano senza la presenza del sacerdote, mentre il
resto del tempo è occupato dal lavoro, un lavoro spesso anche straordinario,
che assorbe entrambi i coniugi preoccupati di farsi al più presto una
conveniente posizione economica in patria o sul posto.
Non è che gli italiani
facciano mancare ai nostri missionari rapporti umani sinceri e calorosi e l'accoglienza
festosa nelle famiglie; manca il sentirsi comunità tra loro in nome della fede.
Immaginarsi poi se hanno voglia, sempre facendo le dovute eccezioni, di fare
sforzi per inserirsi nelle parrocchie tedesche!
Un esempio al riguardo è
quanto avvenuto ad Aidlingen, una parrocchia del loro territorio. Un giorno i
due missionari italiani ricevettero la visita di un parroco tedesco che, avendo
ultimato la costruzione del complesso parrocchiale, fece loro questa proposta:
«Ho 300 italiani nella mia comunità. Che ne dite di invitarli a trascorrere un
pomeriggio con noi, perché sperimentino che il nuovo centro parrocchiale è
stato fatto anche per loro?».
«Per riunire gli italiani e
non solo quelli di Aidlingen - racconta don Antonio - avevamo già tentato di
tutto: visite domiciliari, lettere, proposte di incontri, ma senza successo.
Era illusione impegnarsi di nuovo? Soppesammo ogni cosa assieme e infine
fissammo una data per il classico caffè e dolce dandoci poi da fare per
diffondere l'invito. Il giorno stabilito e all'ora fissata giunsero con
precisione germanica solo tre italiani. Per noi fu una doccia fredda. Ma dopo
lentamente, all'italiana, ne vennero altri, fino a trenta persone, compresi i
bambini. Tutti erano gradevolmente sorpresi della presenza degli altri e di
vedersi accolti con tanta cordialità, oltre che dai loro missionari, anche dal
parroco e da due brave signore tedesche».
Il pomeriggio trascorse in
un clima di famiglia così bello che nel giro di poche settimane gli italiani organizzarono
tre serate danzanti per tutta la loro comunità. Erano contenti per questo primo
passo, quando sorsero inaspettate difficoltà. Qualcuno da parte tedesca, a dire
il vero con delicatezza, fece qualche osservazione. Per la suscettibilità
italiana ciò suonò come un'offesa e la distanza tra i due gruppi, che si
cercava di accorciare, era invece aumentata. Ma tra i sacerdoti c'era piena
sintonia e non si dava per scontata l'unità fra italiani e tedeschi. Poco a
poco si ripresero i contatti.
«In questo caso e in tante
altre occasioni - sottolineano i due missionari - abbiamo colto l'importanza
determinante dell'unità tra noi preti se si vuol camminare pastoralmente verso
una integrazione rispettosa che valorizzi l'identità e i contributi di ciascun
popolo».
Convinti che l'esperimento
deve effettuarsi prima di tutto tra i pastori, un gruppo di preti italiani e
tedeschi hanno portato avanti una rete di rapporti tra di loro basata sulla
vita del vangelo. «Ci incontriamo settimanalmente - ci confida don Nereo - con due sacerdoti tedeschi del nostro
territorio e non ci accorgiamo più di essere di diversa nazionalità: con loro
condividiamo successi e insuccessi pastorali, arriviamo a mettere in comune la
nostra vita personale, dalla salute all'economia, dai bisogni materiali a
quelli spirituali. Tutto questo costruisce a monte quello che vorremmo
trasmettere e ci fa vivere per primi le difficoltà e le gioie
dell'integrazione».
«E' uno stile di vita - dice
don Antonio - che ti fa sentire a casa dovunque e con tutti e ti dona la gioia
e il gusto di essere prete in questo luogo e in questo tempo. Stiamo cercando
di comunicare questa esperienza ad altri sacerdoti del nostro grande decanato e
le circostanze ci hanno portato, con nostro stupore, a incontrarci anche con un
pastore evangelico ed un pastore metodista. Con tutti loro ci troviamo
mensilmente. E' sorprendente come sia cresciuto tra noi il grado di sincerità e
di fraternità e, tempo permettendo, di partecipazione alle iniziative dell'altro
fino alla collaborazione in alcune piccole cose».
Questa esperienza di
comunione tra sacerdoti ad un certo momento ha coinvolto in forma spontanea
anche alcuni laici della Missione italiana, ma il loro numero era sempre molto
piccolo. «Forse il nostro vivere da fratelli - osserva don Nereo - era ancora
visto come adatto a noi preti, ma non fatto per loro. Che fare per preparare
come S. Giovanni Battista le condizioni per una nuova venuta di Dio nel nostro
contesto storico?».
Dietro consiglio di un loro
confratello tedesco, i due missionari proposero ad alcuni adulti e a qualche
giovane di fare una gita in Italia per rendersi conto di una singolare
esperienza cristiana fatta dal Movimento dei focolari. Fu così che visitarono
dapprima Loppiano in Italia, poi parteciparono a qualche Mariapoli, ad un
Convegno a Roma per animatori parrocchiali, a scambi di esperienze con una
parrocchia di Vicenza e infine visitarono anche la cittadella di Montet in
Svizzera. In questi luoghi hanno avuto la possibilità di vedere coi propri
occhi - mediata fra l'altro in lingua italiana - la convivenza fraterna tra
persone di provenienza molto diversa, come africani, asiatici, americani ed
europei.
Il gruppo degli italiani
trapiantati in Germania, dopo un lungo periodo di una vita religiosa vissuta
all'insegna della dispersione e dell'individualismo, si è trovato di fronte ad
una realtà cristiana vissuta comunitariamente. In un primo momento quasi non
riuscivano a credere che laici come loro, col problema della diversa
nazionalità, riuscissero a convivere in piena e gioiosa armonia. «La reazione -
dice don Nereo - fu un capovolgimento di mentalità. Si domandavano tra loro
perché non vivere così anche nel loro ambiente. Tornarono a casa più adulti. La
Chiesa per loro non era più estranea e non la criticavano. Ma anche gli altri,
nelle loro varie espressioni di razza, non erano più degli estranei. Si notava
questo nei loro rapporti in parrocchia, con i vicini di casa, con gli altri
stranieri sul lavoro. Non c'è stato più bisogno di invitarli con insistenza o
di motivarli con chi sa quali argomenti; bastava solo offrire il Vangelo come
nutrimento, perché erano già nati, già Chiesa».
«Con loro diversi - commenta
don Antonio -, ci siamo ritrovati diversi anche noi: avevamo ormai dei partner
nella progettazione e realizzazione pastorale con la loro grazia tipica di
laici da ascoltare e valorizzare, oltre che con una particolare sensibilità
all'unità, a Dio. Prima noi ci sentivamo costretti o in dovere di decidere e
spesso di dover fare tutto, costituendo un impedimento di fatto all'eventuale
crescita della base. Il contatto con la vita cristiana di un'opera della Chiesa
eminentemente laica, come sono i Focolari, ha come rotto un circolo vizioso e
liberato dal guscio il pulcino».
Dopo anni di attesa una
vitalità cristiana più genuina sta germogliando nella Missione. Rapporti nuovi
tra italiani e tedeschi avvengono sia nelle occasioni offerte dalla parrocchia
tedesca o dalla Missione, sia anche nella vita quotidiana, come nel lavoro, in
famiglia, nello sport.
Ad Aidlingen, ad esempio,
dopo un anno dalla inaugurazione del centro parrocchiale, gli italiani si sono
fatti promotori ed organizzatori di una festa religiosa e ricreativa per
ricordare l'avvenimento ed esprimere la riconoscenza per l'accoglienza
ricevuta. In un altro paese la comunità italiana si è fatta in quattro per far
riuscire bene una iniziativa caritativa della parrocchia tedesca per portare
aiuti in Romania.
In tre consigli pastorali
tedeschi sono presenti alcuni italiani con questo spirito nuovo di unità e
spesso la loro parola o il loro silenzio hanno provocato svolte positive nelle
decisioni.
Ma anche nell'ambiente di
lavoro succedono fatti nuovi molto belli ed emblematici. Salvatore T., ad
esempio, dopo l'esperienza di Loppiano, ha iniziato a dedicare il suo tempo
libero alla crescita dell'unità nella Missione, senza sciuparlo più al bar e
agli svaghi insignificanti. Da allora anche la presenza nel lavoro è cambiata.
Responsabile di un gruppo alla I.à.M., si è fatto promotore della stessa unità
non con le parole, ma con l'amore concreto ai suoi colleghi tedeschi, turchi e
croati. E la vita del reparto è cambiata con meraviglia degli stessi dirigenti:
niente rilievi negativi sugli operai, ma più armonia, più produzione e
soprattutto più desiderio di lavorare assieme.
Giovanna lavora in uno
stabilimento di orologi a finalità industriali. Lavora a cottimo. Un giorno per
necessità interne è stata trasferita in un altro reparto ed unita in un nuovo
lavoro ad una operaia che non conosceva. Il caporeparto ha detto loro
semplicemente di lavorare assieme e alla sera contare i pezzi fatti e dividere
a metà. L'operaia esperta era dispiaciuta ed ha fatto resistenza. Giovanna, che
già viveva in famiglia questo nuovo spirito comunitario e dava anche alla
Missione la sua disponibilità al servizio, in quella circostanza ha cercato di
comprendere il disagio della collega e si è sforzata di imparare bene il nuovo
lavoro. A sera si è trovata ad aver fatto un numero maggiore di pezzi. Per lei
era normale dividere con la collega e questa, meravigliata, non solo è stata
contenta, ma ha iniziato un rapporto di vera amicizia. Da notare che la collega
è di religione musulmana e di nazionalità croata.
Alfonsina, il cui marito
fino a qualche anno fa non era praticante, racconta che i suoi ragazzi sono
contenti quando il papà va alla Missione e ciò ora capita spesso. Un giorno il
maggiore, Raffaele, ha detto alla mamma: «Hai notato che quando papà va alla
Missione, ritorna sempre più buono?».
Rosetta è una mamma di
famiglia con tre figli; la più piccola ha problemi di salute e lei stessa è
malata di cuore. Nel clima di comunione con gli altri è come rifiorita: non solo accudisce esemplarmente alla
famiglia e occupa alcune ore nel lavoro per arrotondare lo stipendio del
marito, ma è attiva nella Missione. Quello che ha sperimentato lo trasmette
senza molte parole, ma con un amore ed una semplicità che incantano. Animatrice
di un gruppo donne, catechista dei cresimandi adulti ed impegnata nel lavoro
per il Terzo Mondo, racconta le sue esperienze della Parola di Dio vissuta e
spesso anche quelle dei figli e delle persone dei gruppi che lei segue.
Anche tra gli italiani
emigranti le sette fanno proselitismo ed avviene che qualcuno in determinate
situazioni di bisogno spirituale vi aderisce. Se però queste persone vengono a
contatto con una comunità cristiana anche piccola, ma autentica, spontaneamente
riscoprono il valore della Chiesa cattolica e capiscono che è necessario
impegnarsi nel vivere coscientemente quella fede che prima accettavano solo per
tradizione, e farsi attivi per i fratelli. Così alcuni non solo sono ritornati,
ma ora danno del loro tempo per la catechesi, come Angelo; per il canto e le
riunioni del paese, come Stefania e Anna; per i ragazzi, come Rosaria; per il
consiglio pastorale, come Salvatore.
L'aspetto più promettente è
lo sviluppo della vita cristiana tra i giovani, uno sviluppo prima insperato ed
imprevisto. Già dall'inizio l'attenzione dei sacerdoti era rivolta a loro,
quasi totalmente assenti. Solo un piccolo gruppo si riuniva e si dava da fare
per aiutare i missionari, ma anche loro erano spesso scoraggiati perché i
frutti erano scarsi. La massa dei giovani era sempre lontana, non rispondeva
agli inviti.
Un nuovo orientamento della
situazione è avvenuto quando qualcuno di loro è andato a conoscere la vita dei
Gen a Speyer, a Loppiano e a Montet. Allora anch'essi hanno iniziato ad amare
per primi i loro compagni, a farsi uno, ad accogliere, ad ascoltare, ad avere a
cuore tutti. Ed i loro amici hanno cominciato a venire agli incontri nella
Missione e gli incontri si sono moltiplicati: non solo il venerdì, ma vengono
anche il mercoledì e talvolta anche il sabato e la domenica. Agli incontri
giovanili ed alle iniziative della Missione cattolica e della diocesi hanno
potuto essere presenti in numero sempre maggiore e collaborare attivamente
nelle proposte e nelle realizzazioni a favore della gioventù. E poi è nata
l'attenzione ai più giovani, agli adolescenti, organizzando per loro
festicciole, incontri formativi, gite, attività culturali.
Sappiamo che tutti questi
giovani hanno molti amici, tedeschi, turchi, jugoslavi, e di religione
protestante, musulmana, metodista... Questo spirito avrà buone chances anche in
tali ambienti.
«Il primo dicembre '91
abbiamo fatto - racconta don Nereo - una grande festa d'inizio d'Avvento. Per
noi è la festa di Natale che uniamo alla Nikolausfest. Erano presenti circa un
migliaio di persone in una grande sala della città. E' stata organizzata dai
vari gruppi della Missione, ma il messaggio di fede è stato dato dai giovani,
dai giovanissimi e dai ragazzi con i canti, le scenette, con le animazioni e
con un mimo nel quale hanno annunciato, applauditissima, la trasformazione del
mondo diviso in un mondo unito.
La Missione sta assumendo
ora un aspetto giovanile con grande gioia e stupore dei genitori e degli adulti
in generale».
«L'esperienza di missionari
degli emigranti - conclude don Antonio
- ci è costata lunghi anni di perplessità circa il suo significato e la sua
utilità, anche se ci ha sempre accompagnato la fiducia nella volontà di Dio
espressa dalle circostanze della vita e dai nostri vescovi. Oggi riconosciamo
che la varietà delle problematiche, le tensioni, l'indifferenza attorno a noi,
mille pregiudizi e ostacoli propri di ogni persona impegnata nella pastorale,
tutto questo non l'avremmo potuto sopportare e interpretare alla luce del
vangelo senza una reale e vera unità con i confratelli di qui».
«E' tutto tanto piccolino -
continua don Nereo -, ma ci sono già le premesse di una società diversa. A
volte si nota quello scambio e quell'integrazione di valori e di qualità che
prima erano pretesto per restare divisi: la precisione, l'armonia, la
concretezza, il senso collettivo e democratico dei tedeschi; la spontaneità, lo
spirito di adattamento, la fantasia, il calore, l'immediatezza dialogica degli
italiani. Ciò si riscontra nel vivere quotidiano e anche recentemente
nell'iniziativa di aiuti alla Romania realizzata tra italiani e tedeschi».
Forse i nostri amici emigranti, senza accorgersene, sono i fortunati
protagonisti di un disegno più grande di loro, perché stanno sperimentando
l'efficacia di un'evangelizzazione che accomuna i popoli e li fa Chiesa viva.
Enrico Pepe