Il recente Sinodo dei vescovi sull'Europa in un'intervista con l'arcivescovo di Praga, mons. Miloslav Vlk

 

 

Annunciare all'Europa il Cristo vivo

 

 

a cura di Hubertus Blaumeiser

 

Mons. Vlk è stato uno dei due segretari speciali della recente Assemblea del Sinodo dei vescovi per l'Europa. In questa intervista evidenzia alcune dimensioni di fondo dei lavori dell'Assemblea che possono, non per ultimo, servire da utile guida alla lettura della Dichiarazione finale con la quale i delegati degli episcopati d'Europa, dopo due settimane di intensa comunione col Papa e tra loro, hanno voluto imprimere un impulso decisivo alla nuova evangelizzazione del continente.

 

 

 

Un'Assemblea molto attesa

 

GEN'S: C'era tanta attesa per questo Sinodo. Secondo lei, la risposta c'è stata?

 

Direi di sì. Anzi, i risultati hanno superato le mie aspettative. Dico questo soprattutto perché il Sinodo è stato un incontro quanto mai profondo fra l'Est e l'Ovest. Se due anni fa era crollato il muro di Berlino, in quest'Assemblea è crollato quello che chiamerei il «muro della non-conoscenza». Ci siamo conosciuti e ci siamo capiti. Se prima, a volte, non ci capivamo, ora siamo vicini, vicinissimi. Grazie all'ascolto reciproco, grazie all'esercizio di «svuotarsi» ciascuno delle proprie vedute ed esperienze per accogliere quelle altrui, si è realizzata un'intesa profonda e, direi, una vera unità.

Ciò mi porta a sottolineare un altro aspetto. L'Assemblea del Sinodo non ha soltanto trattato di argomenti assai importanti, ma ne ha fatto l'esperienza, ne ha sperimentato la realtà. Così, per esempio, si è parlato senz'altro di libertà, ma la si è anche vissuta. I vescovi, infatti, hanno parlato molto liberamente, e questo a volte è stato molto toccante. Altrettanto vale per la comunione. Se ne è parlato, ma allo stesso tempo la si è vissuta, nel dono e nell'accoglienza delle varie opinioni ed esperienze.

Un'esperienza un po' sofferta ma molto utile è stata quella dell'ecumenismo. La presenza dei delegati fraterni e le stesse difficoltà, che qua e là sono emerse e che sono state poi un po' gonfiate da certi media, ci hanno dato modo di non parlare soltanto di ecumenismo ma pure di praticarlo. Vorrei ricordare qui anche l'azione ecumenica del 7 dicembre, nella basilica di San Pietro.

E ancora: il dialogo. Tutto il Sinodo è stato un'intensa esperienza di dialogo e il Papa ne è stato un egregio modello. Durante tutto il tempo degli interventi in aula, lui, che avrebbe avuto senz'altro molte cose da dire, non ha fatto altro che ascoltare. Insomma, anche il Papa si è fatto «vuoto», per accogliere, per ascoltare. Ecco perché il risultato del Sinodo è ben più della Dichiarazione finale. Abbiamo fatto un'esperienza molto significativa che non potrà non ripercuotersi sul cammino della Chiesa nelle nostre nazioni.

Un altro fatto notevole è stato quella profonda intesa e collaborazione che si è realizzata in seno al gruppo di lavoro per la stesura del documento finale. Penso che questa intesa e quest'unità abbiano influito non poco sull'andamento del Sinodo ed abbiano permesso di preparare, con l'apporto stimolante e ricco venuto dai vari circoli linguistici, una Dichiarazione finale che è stata votata dai vescovi, come è noto, quasi all'unanimità.

 

GEN'S: Lei ha molto sottolineato l'unità. Dopo questo Sinodo ha ancora senso parlare di Chiese dell'Est e di Chiese dell'Ovest?

 

Senz'altro. Abbiamo, infatti, alle spalle esperienze molto diverse e queste rimangono fonte durevole di arricchimento. La comunione si realizza nel dono. Al Sinodo abbiamo potuto sperimentare come questa diversità non è affatto negativa ma ci offre anzi l'occasione di un dono maggiore, di una comunione sempre nuova e dinamica che conduce ad un'unità reale e profonda.

 

 

 

Le dimensioni dello «scambio dei doni»:

le scoperte liberanti delle Chiese dell'Est

durante gli anni della persecuzione

 

GEN'S: Lo scambio dei doni, cui lei qui accenna, è stata una delle grandi realtà di questo Sinodo e - nella mente del Santo Padre - una delle sue principali finalità. Le Chiese dell'Est che cosa hanno potuto comunicare alle Chiese dell'Ovest?

 

Esse hanno potuto offrire la loro esperienza fiorita in quarant'anni e più di silenzio forzato; un'esperienza della quale ho parlato già in altre occasioni ma che ora è venuta molto più in rilievo.

Quando abbiamo perso tutto è rimasto Dio. E allora abbiamo scoperto il Dio vicino; Dio che è vicino ed è la nostra forza, anche in mezzo alla persecuzione e al crollo di ogni cosa. E abbiamo pure scoperto la croce che, accolta dalle mani di Dio, diventa fonte di consolazione ed, anzi, fonte dello Spirito.

Un altro aspetto importante della nostra esperienza è il fatto che la persecuzione ci ha tolto quasi tutti i vescovi. Ma proprio così abbiamo scoperto maggiormente il significato del Papa: non avendo vescovi, ci siamo riferiti al Papa, e questo per noi è stato un'esperienza importantissima.

Inoltre, durante gli anni del «deserto», abbiamo scoperto l'importanza della comunione e, con essa, quella dei laici. Non potendoci riunire ufficialmente, ci ritrovavamo clandestinamente in piccoli gruppi, composti spesso soltanto di laici. Così abbiamo scoperto tutta la forza che è insita nella vita di comunione: una forza non soltanto sociologica ma tipicamente cristiana, legata alla presenza di Gesù fra coloro che sono uniti nel suo nome. Ne è nata per noi la presa di coscienza che anche i laici, riuniti - come dice la Lumen Gentium - dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, sono effettivamente Chiesa e sono pure atti a diffonderla. A mio avviso, nell'Ovest manca spesso un'esperienza di comunione di questo tipo. E allora c'è il rischio di un certo «consumismo spirituale»; il rischio di voler essere serviti, assistiti, e perciò il rischio che non sia abbastanza in rilievo ciò che possono arrecare alla vita della Chiesa i laici e quindi anche le donne.

 

GEN'S: Dell'Ovest spesso si dice che, grazie alla libertà di cui godeva, ha potuto assimilare meglio le prospettive del Concilio di quanto non abbiano potuto fare le Chiese dell'Est. Lei è d'accordo su quest'affermazione?

 

Senz'altro la situazione di libertà esteriore ha comportato vantaggi non indifferenti, anche per l'assimilazione del Vaticano II. Basti pensare alla possibilità di stamparne e diffonderne i documenti e quindi di formare i cristiani secondo il pensiero del Concilio. Noi questa possibilità non l'avevamo. Penso tuttavia - e questo Sinodo per me ne è stato una conferma - che le Chiese dell'Est, nonostante le loro difficoltà e le limitate possibilità, abbiano anch'esse avuto modo di scoprire e di approfondire le prospettive del Concilio benché spesso in un modo, se così si può dire, «anonimo». Voglio dire che dove c'è Dio e dove è quindi lo Spirito Santo a condurre la Chiesa si giunge ai medesimi esiti. Sotto la spinta dello Spirito, noi abbiamo scoperto tante realtà che coincidono profondamente con le indicazioni del Vaticano II, e questo, fra il resto, rappresenta per noi una dimostrazione vitale di quanto le prospettive conciliari siano frutto dello Spirito Santo.

 

 

 

Anche le Chiese dell'Ovest in un certo

senso hanno vissuto una persecuzione

 

GEN'S: E le Chiese dell'Ovest, che cosa hanno comunicato?  Sono apparse piuttosto stanche a confronto con quelle dell'Est?

 

Parto dal caso mio. Io non solo mi sono sentito capito dai vescovi dell'Occidente, ma ho a mia volta avuto modo di comprendere meglio loro e le loro Chiese. In un certo senso - in un contesto di crescente secolarizzazione - anche loro hanno sofferto una persecuzione. E se questo, da un lato, ha comportato fenomeni negativi, dall'altro ha portato anche ad Ovest a fenomeni di nuova vitalità. Penso a quel desiderio struggente di Dio che si manifesta in non poche persone e specialmente ai nuovi movimenti spirituali che, fioriti nell'Ovest, sono un dono anche per noi.

Un altro dono che le Chiese dell'Ovest ci offrono è la loro conoscenza delle opportunità e dei rischi di quella libertà esteriore che caratterizza le società democratiche. La nostra esperienza ad Est è stata piuttosto quella della libertà interiore. Al Sinodo abbiamo visto quanto sia necessario collegare queste due esperienze.

Ho inoltre molto ammirato tutta quella carità che si sprigiona nelle Chiese dell'Ovest e si esprime in una grande disponibilità per venire incontro alle altre Chiese. Parlo qui non soltanto di quello che esse ci offrono materialmente, ma soprattutto del dono che rappresenta per noi questo loro stesso atteggiamento di apertura e di sollecitudine per gli altri. Vorrei qui sottolineare quanto, durante i tempi bui della persecuzione, ci sia stato di aiuto il fatto che tanti fratelli dell'Ovest erano solidali con noi, ci accompagnavano con la preghiera e ci confortavano con le loro visite.

 

 

 

Due idee-chiave:

Cristo modello di libertà

e la forza creatrice della Parola

 

GEN'S: Quale l'anima di questo Sinodo? C'è stata una prospettiva che ne costituisce come un'idea-chiave?

 

Il grande tema di questo Sinodo è stato senz'altro quello della nuova evangelizzazione dell'Europa. In pratica, ciò ha significato cercare le vie per evangelizzare un mondo che sottolinea tanto la libertà. E così un'idea-chiave di questo Sinodo è stata quella della libertà; libertà che trova il suo modello in Cristo e in definitiva nella Trinità stessa come ci è stata rivelata in Cristo.

In Gesù la libertà è tutta e solo dono, a rivelazione di quel dono supremo e totale che è la vita delle divine Persone nella SS. Trinità. Ma è soltanto la croce di Cristo che ci rivela l'esatta misura di questo dono: lo svuotamento di sé che solo rende possibile il dono di sé e l'accoglienza dell'altro. Questo svuotamento, ovvero questa kenosi come la chiama San Paolo in greco nella Lettera ai Filippesi, è stata un'idea davvero centrale in questo Sinodo che ha messo in luce come il punto di partenza e la via per creare la comunione e realizzare così la libertà sia proprio la croce. Una prima idea-chiave è stata dunque questa comprensione trinitaria della libertà che ha il suo fulcro nel mistero della croce.

Una seconda idea-chiave, emersa qua e là, ma non meno importante, è stata quella della centralità del vangelo nell'impresa della nuova evangelizzazione. Il suo mezzo per eccellenza non può che essere la stessa Parola di Dio; Parola che, ben più di ogni parola umana, è efficace ed è - come ha sottolineato il Papa nell'omelia di apertura del Sinodo - «Parola di vita» ed anzi presenza di Dio stesso. Accolta e vissuta, la Parola suscita un'intensa esperienza di comunione con Dio e con gli altri che, comunicata ad altri, finisce per coinvolgerli nella stessa esperienza di comunione con Dio e fra gli uomini.

 

 

 

Due priorità per l'evangelizzazione:

il vangelo vissuto e

la presenza del Risorto nelle comunità

 

GEN'S: E allora su che cosa deve puntare la Chiesa in Europa?

 

Ad annunciare Cristo; il Cristo vivo, il Cristo presente. Per fare questo - il Sinodo ne era molto cosciente - è necessario percorrere la via della testimonianza. E quindi bisogna avere il coraggio di mettere in gioco se stessi e la propria esperienza. Ora, questo impegno non può che essere comunitario. Non si tratta infatti di portare se stessi, ma Cristo; Cristo che vive là «dove due o tre sono uniti nel mio nome» (cf Mt 18, 20). Il vangelo vissuto e la presenza viva del Risorto nella comunità. Queste mi sembrano le due vie preferenziali per l'evangelizzazione ai nostri giorni.

Per poterle percorrere si richiede, da parte nostra, lo svuotamento. Perché solo lo svuotamento di sé è via a quella comunione con Dio e fra di noi che rende viva e palpabile la presenza di Cristo. E solo lo svuotamento è la via per accogliere, come Maria, in noi la Parola ed offrirla al mondo. Modello di questo svuotamento è Cristo stesso. Per rivelarci il Padre e donarci la vita, Egli ha donato tutto di sé, tutto quello che il Padre gli aveva donato. Proprio così però non ci ha rivelato solo il Padre, ma anche se stesso e quindi la Trinità. Questa, mi sembra, è la via, anche per noi oggi.

 

GEN'S: Torniamo ancora una volta alle attese. Da questo Sinodo è emerso un progetto per l'edificazione della nuova Europa?

 

Ci sono senz'altro elementi di un progetto. La Dichiarazione finale dedica un apposito capitolo alla costruzione anche socio-politica dell'Europa. Ma l'indicazione più importante mi sembra quella che permea tutta la Dichiarazione: la convinzione che ogni sforzo per la costruzione di una nuova Europa che, fidandosi delle sole forze umane, volesse prescindere da Dio, è destinato all'insuccesso, come testimonia la fine drammatica dei sistemi marxisti che, dal 1989 in poi, abbiamo visto crollare in poche settimane e mesi. Invitando l'Europa ad una nuova scelta di Dio e stimolando i cristiani ad impegnarsi in una nuova evangelizzazione del continente, il Sinodo ha voluto porre le basi per un'Europa stabile.

Umanamente parlando, l'edificazione di una nuova Europa è un'impresa quanto mai ardua, e viene anzi da chiedersi se sia una cosa fattibile. Ma con Dio - ne sono convinto - non è impossibile.

 

a cura di Hubertus Blaumeiser