Per un’equa distribuzione dei sacerdoti nel mondo

 

Una nota di approfondimento sul «piano di soccorso» per alcune regioni più bisognose

 

 

Malta: 1 sacerdote ogni 337 abitanti; Cuba: 1 sacerdote ogni 20.000 fedeli. Senza parlare di alcune diocesi del nordest del Brasile: Irecé, Bonfim e Proprià, che hanno 1 sacerdote per 35.000 fedeli; o Ilheus, che ne ha 1 per 45.000.

 

Questi sono dei casi limite. Tuttavia si sa anche che i paesi dell’America Latina, ove risiede il 43% dei cattolici del mondo, hanno solo il 13% del totale mondiale dei sacerdoti; mentre i paesi dell’Europa e del Nord America, con meno del 39% dei cattolici del mondo, sono assistiti da oltre il 73% del totale dei sacerdoti. Queste cifre sono molto eloquenti circa il grave squilibrio tra il nord e il sud della Chiesa.

 

In questa luce si comprende la preoccupazione dei papi e i loro ripetuti interventi e richiami, con cui hanno cercato di stimolare a una più equa distribuzione del clero tra le diocesi del mondo.

 

Già Pio XII aveva dedicato a questo scopo l’enciclica Fidei Donum (21/4/57). Da allora circa 2.500 sacerdoti conosciuti con l’appellativo appunto di fidei donum sono partiti in massima parte dai paesi europei, e anche dagli USA (174), per andare a operare nei paesi dell’America Latina.

Successivamente, con il Concilio Vaticano II, è stato dato un ulteriore impulso in questa direzione. Più di un documento conciliare ha trattato l’argomento da varie angolazioni.

 

Già il decreto Christus Dominus, sull’ufficio pastorale dei vescovi, li esorta a «dimostrarsi solleciti di tutte le chiese...» (n. 6); e, raccomandando loro di «preparare degni sacerdoti... non solo per le missioni, ma anche per le regioni che hanno scarsezza di clero», il documento aggiunge: «Facciano ogni possibile sforzo, perché alcuni dei loro sacerdoti si rechino o in terra di missione o nelle diocesi predette, ad esercitarvi il sacro ministero» (n. 6).

 

Il decreto Presbyterorum Ordinis, sul ministero e la vita sacerdotale, ribadisce lo stesso concetto applicato ai sacerdoti. Dopo aver ricordato che i presbiteri sono chiamati ad «una vastissima e universale missione di salvezza, fino agli ultimi confini della terra (At 1, 8)...», e che perciò «a essi incombe la sollecitudine di tutte le chiese», conclude: «Pertanto, i presbiteri di quelle diocesi che hanno maggior abbondanza di vocazioni, si mostrino disposti ad esercitare volentieri il proprio ministero... in quelle regioni, missioni o opere che soffrano di scarsezza di clero» (n. 10).

 

Ma il decreto conciliare che tratta per esteso questo problema è quello Ad Gentes. Il documento, parlando della necessità di curare la vocazione missionaria, nonché la preparazione dei soggetti, dà particolari indicazioni sia agli ordinari diocesani e ai superiori maggiori (n. 24, c), che ai missionari stessi (n. 26, b). Vi si trovano norme suggerite allo stesso dicastero di «Propaganda Fide». Una di queste: «E’ suo compito suscitare e distribuire secondo i bisogni più urgenti delle regioni, i missionari» (n. 29, c). Poi, al n. 38, si elenca una serie di impegni per i vescovi: si comincia col ricordare che essi «sono stati consacrati non soltanto per una diocesi, ma per la salvezza di tutto il mondo»; e che «da qui deriva quella comunione e cooperazione a livello delle chiese, che oggi è così necessaria per svolgere l’opera di evangelizzazione». Inoltre si «auspica che i vescovi, considerando la gravissima scarsezza dei sacerdoti..., mandino... alcuni dei loro migliori sacerdoti... (nelle) diocesi mancanti di clero». Fino a decidere che «in sede di conferenza i vescovi devono trattare (fra l’altro) dei sacerdoti del clero diocesano da consacrare all’evangelizzazione delle genti...».

 

Paolo VI, col Motu Proprio Ecclesiae Sanctae del 6 giugno 1966, stabiliva le norme di applicazione dei precedenti decreti e istituiva una speciale commissione «con il compito di emanare principi generali per una migliore distribuzione del clero, tenendo conto delle necessità delle varie chiese». Poi con la successiva costituzione Regimini Ecclesiae stabilì che essa dovesse avere sede presso la Congregazione per il clero. Così questa Congregazione, dopo un congresso internazionale tenuto a Malta nel 1970, e dopo aver svolto un’ampia consultazione con le conferenze episcopali, promulgava il documento   Post-quam Apostoli (25 marzo 1980), con cui dava le «Norme direttive per la collaborazione delle chiese particolari fra di loro, e specialmente per una migliore distribuzione del clero nel mondo».

 

 

L’attuale pontefice, già nel giugno 1988 con la costituzione apostolica Pastor Bonus, aveva ribadito che tra le competenze della Congregazione per il clero vi è anche quella di provvedere «ad una più adeguata distribuzione dei presbiteri». E, finalmente, quest’anno egli ha fatto preparare un vero «piano di soccorso» per una più equa distribuzione dei sacerdoti nella Chiesa, e lo ha reso noto accompagnandolo alla consueta lettera ai sacerdoti per il giovedì santo.

 

L’atmosfera di questo giorno, nel quale Gesù ci ha lasciato per testamento il «comandamento nuovo» dell’amore scambievole, ha suggerito al Santo Padre di presentare questo piano di soccorso come uno «scambio di doni»; così egli lo ha chiamato.

Il piano prende le mosse dal discorso conclusivo di Giovanni Paolo II al sinodo dei vescovi dell’autunno scorso, durante il quale era venuta in particolare evidenza l’urgenza del problema. In seguito il Papa istituì un «gruppo di lavoro interdicasteriale», di cui fanno parte le Congregazioni per il clero, per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica e quella per l’educazione cattolica. Tale gruppo, insieme con la Commissione per l’America Latina (CAL) e la Segreteria del sinodo, ha poi raccolto dati e formulato le proposte che troviamo nel piano stesso.

 

Queste proposte prevedono due ordini di interventi: uno di emergenza e di primo soccorso, e l’altro a lunga scadenza.

 

Dopo vari dati statistici, tra cui quelli sopra riportati, nella prima parte del piano vengono anche indicati i paesi con maggiore disponibilità di sacerdoti fidei donum, e cioè: Malta, Irlanda, Polonia, Italia e Spagna; e, in ordine al Brasile, anche il Portogallo, a motivo della lingua e dei suoi legami storici ed ecclesiali.

 

Quanto all’Italia, le regioni che più si potrebbero prestare per offrire aiuto sono il Piemonte e la Lombardia. Inoltre, dato che l’esperienza trentennale dei sacerdoti fidei donum, oltre i pregi innegabili, ha manifestato anche delle lacune, si fa appello ai vescovi per una «più approfondita formazione... dei sacerdoti...». E, oltre l’opera dei presbiteri, si sottolinea l’importanza della presenza anche di altri ministri diaconi, lettori, accoliti, catechisti, ministri straordinari dell’eucaristia che radunino attorno a sé le comunità e le nutrano della Parola e del Pane di vita, edificando così sulla roccia le varie chiese.

 

Ma, oltre i soccorsi di emergenza, occorre affrontare il problema con misure radicali, e anche nell’ambito stesso delle chiese che si trovano in stato di bisogno: una di queste misure è l’intensificazione dell’opera delle vocazioni, e l’altra è l’apertura di nuovi e migliori seminari. Così si parla anche di reclutamento di educatori e professori al di fuori almeno in un primo momento e si fa, per questo, particolare appello ad alcuni istituti religiosi.

 

Il piano conclude con una proposta speciale. Si richiama al n. 10 del Presbyterorum Ordinis già citato sopra , dove si sottolinea l’utilità della «creazione di seminari internazionali», allo scopo di risolvere la grave carenza di sacerdoti in certe regioni. Viene ricordato che questa idea ha trovato attuazione nei seminari «Redemptoris Mater», che preparano presbiteri diocesani per la nuova evangelizzazione, secondo il programma del Cammino Neocatecumenale. Iniziativa che può essere fatta propria anche da chi non fa parte di tale movimento. Per cui le conferenze episcopali di quei paesi con maggiore disponibilità di sacerdoti, sopra citati, potrebbero erigere seminari nazionali o internazionali, dando così attuazione a una nuova forma di ministero: quella del missionario diocesano.

 

Si può concludere che c’è stata come una gestazione, portata avanti dallo Spirito per oltre trent’anni, che ora si risolve in un progetto all’altezza della nuova evangelizzazione. Si tratta, infatti, di una dimensione di ministero a respiro veramente universale, che non solo risponde più pienamente all’ultima volontà del Redentore, ma ben si armonizza con quella tendenza che va affiorando sempre di più, ai vari livelli della convivenza umana, con l’emergere di una civiltà della interdipendenza e della condivisione.

 

L. D.