Una riflessione teologica sull’evangelizzazione oggi

 

 

L’ora del nuovo inizio

 

 

di mons. Klaus Hemmerle

 

Per superare le difficoltà riscontrate dall’evangelizzazione nel mondo moderno il noto teologo e vescovo di Aquisgrana (Germania) propone una nuova «Biblia pauperum», fatta non più di immagini ma scritta con la vita stessa dei cristiani. Il contenuto che, nel Nuovo Testamento, è designato col termine «euanghelizesthai» si traduce autenticamente per l’uomo di oggi solo là, dove la Chiesa si fa comunione.

 

 

 

Una nuova situazione:
il divario tra vangelo e vita

 

Sono stato recentemente invitato ad un centro di formazione sociale per parlare del tema «Chiesa e operai». Ho trovato affissi, negli ambienti ben curati di quel centro, molti posters e fotografie. E subito mi è venuto da pensare: come sarebbe, per chi abitualmente frequenta questa casa, se al posto di queste immagini fossero appese, per esempio, riproduzioni tratte dalla Cappella Sistina, dai mosaici del cristianesimo antico, dai mosaici medievali? Di colpo questa domanda ha evidenziato la situazione che avrebbe fatto da sfondo al mio discorso: il profondo divario fra Chiesa e società. Nonostante certe manifestazioni di aperture interessate e di bruschi rifiuti, la situazione di fondo della società moderna è soprattutto caratterizzata dall’estraneità. E con ciò viene in rilievo sia la necessità che la difficoltà di una nuova evangelizzazione di paesi un tempo cristiani.

 

Non solo nei centri di formazione operaia, ma anche negli stessi musei si può notare un cambiamento del mondo delle immagini che è ben più di un fenomeno soltanto estetico. Da quella «grande arte», che incontriamo nelle collezioni e mostre, scompaiono di colpo, con l’inizio dell’epoca industriale, i contenuti cristiani. Il fatto che alcuni importanti artisti siano nuovamente riusciti a rappresentare in maniera convincente temi biblici, non intacca per niente questo dato storico di fondo. Ciò che gli artisti moderni trasmettono, sin dal tempo dell’illuminismo e dell’industrializzazione, in genere non è soprattutto e prima di tutto il messaggio del vangelo. Il XIX secolo ci ha lasciato sì molti quadri a soggetto religioso ma essi non sono più integrati nella cultura del tempo come lo sono stati i grandi affreschi del barocco che facevano ancora parte con massima naturalezza del vissuto della loro epoca.

 

Facciamo la prova del contrario: anche chi si occupa oggi, con piacere e con vantaggio sia umano che spirituale, del mondo delle immagini medievali o del cristianesimo antico, viene a trovarsi a contatto con un «altro mondo». Occorre un passaggio culturale per accedere a tale mondo e poter immedesimarsi con esso. La difficoltà sta nel modo completamente diverso con cui uomini di epoche passate hanno spontaneamente sperimentato la realtà e accolto tradizioni, esprimendole in parole e immagini perfettamente integrate col loro mondo vitale. Si potrebbe obiettare che anche lo sfondo dorato degli altari medievali non era l’immediato mondo quotidiano. Rimane però il fatto che la dimensione della trascendenza e la fondamentale relazione dell’uomo col divino, simboleggiate dallo sfondo dorato, facevano parte di questo mondo. Qualcuno a questo punto potrebbe dire: un simile cambiamento lo abbiamo anche nel tardo medioevo, al momento del passaggio al nuovo mondo borghese con i suoi riferimenti all’antichità classica. In quel cambiamento si sono però conservati e riaffermati i contenuti di prima. Ciò invece non è avvenuto nel passaggio all’illuminismo e all’industrializzazione.

Dobbiamo perciò costatare che il moderno mondo delle immagini e il nostro stesso ambiente vitale non offrono più il contesto nel quale si possono collocare e comunicare i fondamentali contenuti cristiani. Ne nasce, per il nostro annuncio del vangelo e per il nostro parlare della fede, una situazione radicalmente diversa che ignoriamo ancora in gran parte, e che non abbiamo comunque preso in seria considerazione.

Ma come descrivere la diversità del mondo odierno rispetto ai due millenni che ci stanno alle spalle lungo i quali il vangelo sembra essersi potuto far strada nella vita degli uomini e nella loro cultura senza tali difficoltà di comprensione?

 

 

 

Motivi del divario

 

Per individuare i motivi dell’evoluzione descritta, mi sembra, che si debbano mettere in luce tre tratti caratteristici del nostro tempo.

 

Un primo distintivo della nostra epoca lo abbiamo già nominato: le immagini sono altre; ma se sono diverse le immagini vuol dire che è diversa la vita. La Chiesa e la società, il vangelo e gli uomini d’oggi così abbiamo costatato non si riconoscono, ma rimangono estranei l’uno all’altro. Vale a dire, con una formula riassuntiva: la fede è senza immagini e le immagini sono senza fede. La fede antica non sembra più inserirsi nella cornice del mondo tecnologico nel quale, a loro volta, le immagini di quella fede diffondono un loro caratteristico fascino e terrore. In tempi più recenti la «rete» di quella cultura, che aveva informato di sé il mondo e la vita, è caduta progressivamente nel vuoto, ossia nelle vuote fantasie di una nuova religiosità. Ma quanto questa «nuova religiosità» è lontana dal messaggio cristiano dell’Incarnazione, dell’evento pasquale, della nuova evangelizzazione, della Trinità!

 

Un secondo distintivo del nostro tempo è strettamente legato al primo: non sembra più funzionare quel processo di tradizione che implica necessariamente una forma di autorità e che trasmette immagini e contenuti da una generazione all’altra. Le idee e le immagini del nostro tempo sono talmente multiformi ed estranee l’una all’altra che non possono offrire un «mondo delle immagini» unitario. L’«autorità» che garantisce un’immagine non si trova più se non nell’immagine stessa, nella sua originalità, nella sua intrinseca forza. L’unità del nostro mondo sempre più interdipendente è piuttosto di tipo funzionale un interscambio mondiale di informazione e cooperazione e non del tipo di una tradizione che abbraccia tempi e spazi dando vita a un comune pensare, volere e vivere. La massima moderna che ciascuno è libero di decidere in modo autonomo e di fondare le proprie decisioni solo su personali convinzioni, si distingue radicalmente dalla fiducia per niente acritica che si aveva in passato nei confronti dell’autorità e della tradizione davanti alle quali erano gli innovatori a doversi giustificare. Oggi queste idee rivoluzionarie dell’epoca moderna si ripercuotono nella vita e nel mondo immaginario dei singoli, e proprio per questo condizionano tanto più globalmente la nostra mentalità.

 

Dal primato del soggetto e della sua libertà nei confronti dell’autorità oggettiva della tradizione deriva un terzo distintivo. La cultura tecnologica è cultura unitaria: tutti i beni culturali sono della stessa fattura, sono prodotti del progettare e costruire umano. Benché l’uomo possa fare le cose più inimmaginabili ed assuma nel nostro mondo complesso innumerevoli ruoli, e benché tutti siano dal punto di vista tecnologico-funzionale collegati con tutti, assistiamo, contemporaneamente a questo progresso, all’emergere di una nuova povertà. Di fronte a questa multiformità indecifrabile, dove trova il singolo l’unità della sua persona, della sua vita? e dove sono gli ideali capaci di unire le culture e i popoli? da dove potrà sorgere l’unità del mondo e della vita dell’uomo? Il divario tra messaggio cristiano e l’attuale esperienza di vita rischia di offuscare la risposta di un tempo: la forza unificante sono la persona e il messaggio di Gesù. Sembra quasi provenire da un altro mondo l’esperienza dei primi cristiani che hanno trovato in Gesù Cristo l’unità del tutto, annunciata per esempio entusiasticamente dalla Lettera agli Efesini: qui infatti si afferma che nella Chiesa è diventata irrilevante la radicale differenza religiosa (oggi diremmo il conflitto ideologico) tra ebrei e pagani, poiché «egli (Cristo) è la nostra pace» (Ef 2, 14). Oggi il vangelo e la fede non appaiono più con immediatezza come il punto unificante dell’insieme della realtà. Nel migliore dei casi sono considerati un’isola per chi è bisognoso di consolazione, un ghetto del privato e dell’interiorità.

Il divario tra il mondo della vita e l’immagine della fede in una cultura caratterizzata dalla tecnologia e dalla soggettività, il venire meno di una tradizione vincolante, la ricerca travagliata di una nuova unità che non si attende più però dalla sfera fatiscente della fede cristiana: ecco alcuni distintivi della nostra situazione che richiedono una riflessione e un orientamento completamente nuovi quanto all’annuncio della fede.

 

 

 

Un’indicazione che ci viene dal medioevo

 

Quando la Chiesa nel Medioevo dovette trasmettere il vangelo a coloro che non sapevano né leggere né scrivere fece ricorso alla rappresentazione raffigurativa. Nacque così la Biblia pauperum, la Bibbia dei poveri. Lo sforzo di diffondere la fede, l’evangelizzazione, divenne l’impulso decisivo per la creazione di quell’impressionante mondo delle immagini che però non è più il nostro. Tuttavia non abbiamo forse bisogno anche noi, uomini illuminati del XX secolo, di una nuova Biblia pauperum, affinché la nostra fede non rimanga senza immagini e senza parole nel nostro contesto vitale? In altre parole: come può esprimersi, nelle circostanze odierne, la fede cristiana in parole e immagini, in maniera tale che queste espressioni della fede siano contemporaneamente parole e immagini dell’uomo d’oggi?

 

 

 

Il mandato biblico: annunciare il vangelo

 

Abbandoniamo il pensiero fin qui seguito, trasferendoci dalla sponda dell’analisi della situazione a quella della riflessione sul vangelo, per interrogarci, infine, su come si possano unire le due sponde. E’ evidente che del dato biblico qui possiamo dare solo qualche cenno.

         La comparsa del termine «evangelizzazione» è relativamente recente in ambito cattolico, ed è legata in modo particolare ad un documento papale del 1975: la Evangelii nuntiandi. Negli anni successivi esso si è ben presto diffuso specialmente nelle giovani chiese, assieme alle relative riflessioni di Paolo VI, ed ha sostituito o quanto meno modificato la concezione tradizionale della missione. Per quale motivo o con quali intenti la Chiesa oggi ritorna ad usare questo termine biblico?

 

 

 

Il significato
del termine «euanghelizesthai»

 

La parola greca «evangelizzare» (annunciare il vangelo) occupa un posto importante nel Nuovo Testamento. Basti pensare al primo discorso programmatico di Gesù nel vangelo di Luca. Quello che egli porta con sé come Cristo, come Messia, come l’Unto dello Spirito, viene spiegato da Gesù stesso con l’affermazione che Egli evangelizza i poveri (cf. Lc 4, 18 s.). Vi fa eco, sia in Luca che in Matteo, la risposta data dallo stesso Gesù alla domanda dei discepoli di Giovanni Battista che vogliono sapere se egli è colui che dovrà venire: «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella» (letteralmente = vengono evangelizzati) (Lc 7, 22; Mt 11, 5). Il crescendo che sta alla base di questa enumerazione non  sboccia nella resurrezione dei morti ma nell’evangelizzazione dei poveri! Essa è il fatto più importante, l’essenziale, la prova decisiva della messianicità di Gesù. Ma che cosa significa evangelizzare ed, anzi, evangelizzare i poveri, e perché questa affermazione occupa un posto così centrale?

 

Volendo dare una risposta dobbiamo prendere in considerazione l’evento al quale si ricollega la parola greca «euanghelizesthai» e le rispettive espressioni in ebraico. L’analisi del linguaggio biblico può aiutarci ad enucleare dal testo della Scrittura il contenuto biblico. Evangelizzare significa trasmettere un messaggio. Ma questo messaggio non può venire isolato dall’evento che lo annuncia. Un esame attento rivela il primato dell’evento stesso. Esso attrae, si diffonde, fa notizia. L’evento del regno di Dio che arriva con Gesù prende possesso del messaggero ed anzi vive in lui. E mentre l’evento giunge attraverso il messaggio del messaggero a chi lo ascolta, questi a sua volta viene coinvolto nella dinamica dell’evento e non solo messo al corrente di una novità. Come una pietra che cade nell’acqua produce una serie progressiva di onde, così dell’evento fanno parte il messaggio, il messaggero che lo trasmette e i destinatari che lo ricevono. L’evento si propaga, progredisce. In concreto: l’amore di Dio per il mondo, l’avvento del regno di Dio in Gesù si manifesta e si realizza nella missione di Gesù. Questa missione coinvolge nell’evento della salvezza i poveri, i piccoli, coloro che radicalmente dipendono da Dio, facendoli a loro volta portatori di quel messaggio che vuole farsi strada e raggiungere altri, coinvolgendo anch’essi anzi nella sua dinamica. Il vangelo non è quindi il rendiconto di un evento, bensì, la manifestazione dell’evento stesso, il quale tramite il vangelo, si fa strada tra gli uomini. Quello che Gesù dice, fa ed è, ha il carattere di un evento definitivo e illimitato. Una volta per sempre esso si è compiuto in Gesù stesso ed è destinato a compiersi sempre di nuovo affinché tutti i suoi messaggeri e destinatari ne diventino testimoni.

 

         L’evangelizzazione è pertanto un processo vivo che genera nuova unità. Quello che il Figlio vive nel Padre viene reso manifesto al mondo attraverso Gesù, nella sua Persona. La vita che vive Gesù suscita a sua volta vita attraverso la sua Parola con la quale Egli esce da se stesso, giunge agli ascoltatori e interpella la loro vita. E così il vangelo diventa lo spazio vitale che raccoglie i fedeli, li unisce con Gesù e tra di loro, ed anche la forza che li invia e li lancia nel mondo.

 

 

 

Cardini della teologia del Vaticano II

 

La teologia della comunione abbozzata nel concilio Vaticano II e resa esplicita nei sinodi dei vescovi svoltisi a Roma nel 1985 e nel 1987 non è altro che uno sviluppo coerente di quello che è, nella Scrittura, l’evangelizzazione. La teologia della comunione fa riferimento a tre concetti fondamentali: mysterium, communio e missio; vale a dire: il mistero, ovvero l’evento della salvezza, la comunione che si realizza in esso e la conseguente missione.

 

Mysterium il mistero della salvezza. L’evangelizzazione come abbiamo visto designa un processo di comunicazione. L’intimo mistero di Dio, il «mondo» di Dio, si comunica pienamente e definitivamente al mondo degli uomini senza confondersi con esso e senza annullarsi in esso. Quanto è attuale, a questo proposito, il dogma cristologico delle due nature in Cristo, divina e umana: distinte ma non separate, unite ma non confuse (Calcedonia)! La vita di Dio, che è presente in Gesù che si fa carne, si manifesta storicamente in mezzo a noi e tende per natura sua a diffondersi e a farsi storia. In ogni persona e in ogni tempo il vangelo irrompe anch’esso nuovamente come novità sempre sorprendente. Specialmente nei momenti di grande svolta, e all’inizio di ogni nuova epoca storica si rivela la vitalità interiore e la forza della tradizione che continua a farsi strada per generare creativamente un mondo nuovo.

 

Communio unità. In questo processo di trasmissione dell’evento della salvezza prende rilievo l’esperienza della nuova unità di cui ci parla la Lettera agli Efesini: in Gesù Cristo è abbattuto il muro di separazione tra il popolo di Dio e il mondo dei pagani e anche quell’altro muro che si frapponeva tra Dio e l’umanità (cf. Ef 2, 11 s.). Nel vangelo di Gesù Cristo si realizza l’evento dell’unità tra i mondi separati dei greci e degli ebrei e, attraverso la loro reciproca unità, l’evento dell’unità di Dio col mondo e, contemporaneamente, l’unificazione interiore del mondo variamente lacerato. L’evangelizzazione e questo è importante è un processo comunicativo il cui protagonista è Dio solo, ma non un Dio solitario: Dio coinvolge l’uomo e più esattamente ogni uomo ed ogni espressione della vita umana nella sua specifica configurazione.

 

Missio invio. Il processo interminabile dell’evangelizzazione ogni volta spezza, modifica e allarga perennemente, col progresso della storia, la cornice del linguaggio delle immagini e della vita del passato. E questo vale anche per la fase iniziale. Volersi riferire a tutti i costi agli inizi storici, come ad esempio al tempo della vita pubblica di Gesù, non può essere perciò la condizione per la trasmissione della fede cristiana e il presupposto per una autentica evangelizzazione. Non è una fissità tradizionalistica bensì un processo dinamico ciò che caratterizza sin dall’inizio la trasmissione del messaggio biblico. La storia dell’evangelizzazione è la storia del superamento sempre nuovo di ogni confine: dalla comunità pre-pasquale dei discepoli attorno a Gesù alla prima comunità della Pentecoste attorno al Risorto, dalla «missione» in mezzo agli ebrei alla missione tra i pagani, dal mondo culturale biblico al mondo ellenistico-romano, e così via. Nella storia della missione cristiana si ripete in maniera analoga sempre di nuovo quello che è stato l’abbattimento dei muri di separazione fra giudei e pagani nella Chiesa primitiva. Salvaguardata rigidamente l’unità e l’identità del vangelo, la sua possibile traduzione in nuovi linguaggi e nuove immagini fa parte della sua stessa essenza ed è tutt’altro che un’aggiunta metodologica al suo nucleo fondamentale. Senza communio e missio il vangelo non sarebbe se stesso, anzi sarebbe compromesso nella sua dinamica intrinseca. Questa presa di coscienza non può non avere radicali conseguenze per il momento decisivo nella storia dell’evangelizzazione che oggi viviamo e che rappresenta una vera svolta epocale. Occorre un nuovo inizio!

 

 

 

La Chiesa come comunione
una nuova «biblia pauperum»

 

Confrontando l’originario carattere dell’evangelizzazione come processo comunicativo con l’odierno venire meno delle immagini e perciò della rilevanza vitale della fede cristiana, si impone un’idea sorprendente: il divario fra Parola e vita, tra Parola e mondo immaginario della nostra vita richiede una nuova «bibbia dei poveri». Questa non può consistere però in immagini: essa deve venire scritta con la vita; con quella vita che noi viviamo ciascuno personalmente ma anche comunitariamente. La «nuova bibbia» siamo noi. Non vuole essere questa una costatazione, ma un appello, una provocazione: non è che noi siamo già così, ma lo dobbiamo e lo possiamo diventare. Oltre tutto, i poveri ai quali si rivolge il messaggio del vangelo non sono unicamente e primariamente «gli altri», qualificati da noi come lontani o non credenti, bensì noi che vogliamo essere cristiani.

 

Come bambini delle scuole elementari dobbiamo nuovamente imparare l’abc del vangelo. Ma la chiave per la sua comprensione non è né la speculazione né la sola meditazione, bensì la nostra vita personale ivi compresi i nostri rapporti reciproci. Occorre innanzi tutto che scopriamo e sperimentiamo noi stessi, passo dopo passo, il vangelo nella nostra esistenza; allora esso si fa luce anche per gli altri e li interpella. Chiara Lubich esprime così questa sfida: «Se per ipotesi assurda tutti i vangeli della terra venissero distrutti noi desidereremmo vivere in modo tale che gli uomini, considerando la nostra condotta, possano, in certo modo, riscrivere il vangelo: Beati voi che ora piangete... (Lc 6, 21), Beati i misericordiosi... (Mt 5, 7), Non giudicate... (Lc 6, 27)».1 Mira nella stessa direzione l’esortazione di Giovanni Paolo II: il cristiano dovrebbe essere «un catechismo vivente».2 Una tale sfida non va scambiata con un appello morale anche se perennemente valido. Essa sta a ricordarci piuttosto che la nostra fede convincerà altri solo se vivremo quello che crediamo. Non si tratta di sminuire la forza di persuasione di una Parola che sarebbe accessibile anche di per se stessa, bensì di aprire questo accesso alla Parola del vangelo. Il vangelo risuona e diventa intelligibile solo nel momento in cui informando la vita dei cristiani diventa così la risposta concreta alle domande vitali che si pongono gli uomini della nostra epoca. Questa risposta essi la trovano in una immagine, nell’immagine di una vita trasformata e rinnovata, in una società trasformata e rinnovata. E’ un fatto evidente che questa immagine rinvia sempre al di là di se stessa in quanto non esaurisce completamente la realtà che manifesta. Ma questa stessa fondamentale differenza esiste anche tra la Parola e quello che essa designa una differenza che non può essere colmata neanche dalla parola del dogma e neppure dalla stessa Rivelazione. Quello che qui importa è scoprire il nuovo «mondo delle immagini», fatto di vita e di rapporti, e prenderlo sul serio come accesso letteralmente indispensabile al vangelo. Potrebbe osservare qualcuno che già i Padri della Chiesa consci del nesso tra la vita e la comunione, da un lato, e l’intelligibilità del vangelo dall’altro. Tuttavia la nostra situazione è completamente nuova nel senso che nel nostro mondo quel vangelo che prima risultava «inculturato» e informava la vita appare sempre più «deculturato» e necessita perciò di una nuova inculturazione che non può essere più una mera ripetizione di quella precedente.

 

 

 

Concretizzazioni

 

Come sarà possibile comprendere il dogma del Dio Trino come messaggio, che fonda la vita umana e la trasforma nel più profondo, se noi non instauriamo nuovi rapporti che ci facciano sperimentare l’efficacia di quello che Gesù ci ha lasciato come suo «testamento»? Egli infatti chiede che noi siamo uno come Egli è nel Padre e il Padre in Lui, cosicché il mondo creda (cf. Gv 17, 21-23). Come sarà possibile comprendere l’Incarnazione, la presenza di Dio in ogni uomo come l’epifania definitiva di Dio per il mondo, se non toccare come realtà viva nei cristiani quel «sì» che Dio ha rivolto e rivolge tuttora a ogni uomo grazie all’incarnazione del suo Figlio? Come possiamo comprendere il mistero pasquale, la croce e la resurrezione di Gesù Cristo, come la via di Dio per la salvezza degli uomini, se non possiamo intravedere nella vita dei cristiani che la lontananza da Dio e l’«abbandono» di Dio nel nostro tempo sono realtà già assunte da Dio stesso e in Gesù morto e risorto superate; se non possiamo insomma riscontrare che il Signore è veramente risorto nel loro vivere con Colui «che vive»?

 

Ogni parola del vangelo, ogni dimensione fondamentale del messaggio ha bisogno di essere «rappresentata» in una vita e convivenza «diverse», che siano almeno un «indice» della novità del messaggio cristiano. Diversamente, infatti, il messaggio rischia di non apparire che un pallido mito o una ideologia alienante.

 

 

 

Una «icona sociale» del vangelo

 

La nostra richiesta di una nuova biblia pauperum nella forma di una Chiesa che sia comunione vissuta è infinitamente distante da quella che potrebbe essere la riduzione del messaggio cristiano a semplici processi sociali ed etici che siano opera puramente umana. Si tratta però di prendere coscienza che la Chiesa è chiamata ad essere la «icona sociale» del vangelo. Per icona si intende infatti una immagine nella quale è presente e diventa visibile, palpabile, ciò che essa annuncia. La nuova arte religiosa del cristianesimo è innanzi tutto l’arte di rappresentare la Parola di Dio come vita e relazione, vale a dire come comunione, come Chiesa. Da questa «arte» rinascerà così speriamo anche la forza vitale che permetterà agli artisti di creare nuove immagini e agli scrittori di coniare nuove parole.

         Perché la Chiesa diventi comunione credibile è però necessario anche un nuovo rapporto tra il ministero ordinato e l’insieme del popolo di Dio. Il compito del ministero è di assicurare l’unità sia con l’origine biblica che con la Chiesa universale, poiché queste sono dimensioni della missione oggi più che mai urgenti. Ma la concreta attuazione di tale unità è possibile al ministero soltanto se accoglie le molteplici testimonianze ed esperienze che si fanno nella Chiesa, se le ascolta e le rende intelligibili l’una all’altra all’interno dell’unica Parola che ci è stata data e affidata. E’ quanto mai importante che l’intero popolo di Dio e ogni singolo cristiano si scoprano come soggetti. L’autonomia e la responsabilità di ogni cristiano non sono meno importanti, per la comunione, dell’autorevole servizio del ministero.

Ritorniamo ora all’inizio delle nostre riflessioni e riprendiamo in considerazione le caratteristiche esperienze che ci segnalavano il divario tra la Parola di Dio e la vita dell’uomo. Dicevamo che Chiesa e società, vangelo e uomo di oggi non si riconoscono più a vicenda. La nostra insistenza sulla necessità di una «Bibbia dei poveri» per l’oggi e di nuove immagini nelle quali siano compresi autenticamente il vangelo e le esperienze odierne, ci ha condotti all’esigenza di vivere personalmente e comunitariamente il vangelo in modo tale che esso possa nuovamente suscitare vita. Ora, là dove la Parola viene tradotta in vita e le esperienze che ne derivano comunicate e condivise, il messaggio della Parola si concretizza effettivamente in una vita e in un tipo di convivenza che sono comprensibili e credibili.

Evidenziavamo la tensione esistente nella coscienza moderna tra soggetto autonomo da una parte e autorità e tradizione dall’altra. Quando l’autorità e la tradizione della Parola vengono però comprese come sfida a sperimentare e concretizzare in maniera autentica e originaria il vangelo nella propria esistenza, l’autorità e la tradizione si fanno promotrici del soggetto nonché via all’originalità e alla responsabilità, includendo però nell’orizzonte dell’io moderno il tu e il noi del passato. Allo stesso tempo il vangelo acquista in questo modo una plausibilità che oltrepassa la mera logica e razionalità: vissuta con coerenza e comunitariamente, la Parola di Dio sprigiona da sé la sua forza di convinzione e affascina «per la nuova logica» del vangelo.

Mettevamo in luce come la ricerca moderna di un mondo unito rischia di ignorare la forza unificante della persona di Gesù. Ma dove la Chiesa vive ciò che annuncia, diventando così l’icona sociale del vangelo, risulta evidente che nessun altro fuorché il Signore risorto può realizzare l’unità desiderata sia nella vita del singolo che nella convivenza umana. La Chiesa come comunione si rivela come «unità diversa» che supera la connessione tecnologico-funzionale di una società nella quale i molti singoli interagiscono meccanicamente rimanendo isolati; unità diversa che supera un sistema globale e chiuso che soffoca la libertà del singolo.

Non siamo certo noi a poter realizzare questo ideale attraente. Solo lo Spirito Santo può fare di noi quella icona viva capace di comunicare anche oggi agli uomini l’unico e medesimo vangelo, esprimendolo in nuove immagini e parole.

 

Mons. Klaus Hemmerle