Via
per una rievangelizzazione continua
a
cura della redazione
E’
prassi, nel Movimento dei focolari, vivere ogni mese una Parola della Scrittura
commentata, a questo scopo, da Chiara Lubich. Vengono diffusi attualmente circa
due milioni e mezzo di esemplari, in 184 Paesi del mondo, tradotti in 76 lingue
e dialetti, attraverso fogli stampati, riviste di vario genere e radio. La
«Parola di vita» raggiunge in questo modo persone di tutte le età e di ogni
ceto sociale. E dovunque si sono formati gruppi accomunati dall’impegno di
metterla in pratica e di scambiarsi le esperienze che ne nascono: nelle scuole,
nelle fabbriche, nelle università, nei «mocambos», nelle famiglie, nelle
comunità cristiane delle varie confessioni.
«Di
tempo in tempo nella Chiesa riappare la luce del vangelo e Dio sembra scuotere
teste e cuori per rifar pulsare vivo e palpitante il suo cristianesimo. Esso è
quello che è sempre stato, ma appare anche ogni volta nuovo e risponde alle
esigenze ed alle istanze del tempo: testimonianza inconfutabile della
Provvidenza di Dio sul mondo e nella storia».1 In queste parole Chiara Lubich riassume la riscoperta del vangelo
vissuta quasi 50 anni fa da lei e dalle prime focolarine. La svolta decisa al
vangelo è stata una delle prime tappe, ma non la primissima, degli inizi del
Movimento dei focolari. Essa era preceduta da un’altra presa di coscienza
ancora più profonda: Dio è Amore. E questo amore richiede una sola risposta
così come ci viene suggerito da Gesù col suo «comandamento nuovo»: «Vi do un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv
13, 34-35). Vale a dire: un amore senza misura, come Egli ha amato: fino al
dono della vita.
Se
il nocciolo del vangelo non è altro che l’autocomunicazione di Dio come Amore,
allora non è forse a caso che Chiara e le prime focolarine abbiano aperto il
Nuovo Testamento quando avevano già incominciato a vivere in maniera nuova
l’amore e che, facendo così, abbiano sperimentato come la lettura di testi già
noti riproducesse la stessa esperienza dei discepoli di Emmaus: Colui che aveva
promesso la sua presenza tra coloro che fossero uniti nel suo nome, si faceva
presente in mezzo a loro e spiegava le Scritture.
Questo
ritorno alla Parola di Dio avvenne quasi inconsapevolmente: era venuto
spontaneo afferrare il piccolo libro del Nuovo Testamento, quando sotto i
bombardamenti, anche fino a undici volte al giorno, dovevano ricorrere ai
rifugi trovandosi bruscamente strappate alle vicende di tutti i giorni e per
poi, arricchite dalla luce della Parola, nuovamente immergersi in esse.
Scoprirono
così l’attualità della Parola e l’ascoltarono non come una parola
proferita un tempo e poi trasmessa, ma come Parola viva di Gesù nel presente e
che viene pronunciata nella situazione concreta di questo momento.
Compresero
anche l’universalità della Parola: tutti possono metterla in pratica,
nessuno escluso: «Sono veramente parole universali. Ama il prossimo tuo come
te stesso (Mt 19, 19-22, 39). Chi non la può attuare? Vale per il filippino
come per il tailandese, per l’europeo come per l’americano. Sono universali
anche nel senso delle più varie mansioni che può occupare l’uomo e dell’età che
può avere: valgono per il consacrato come per il coniugato; per la donna come
per l’uomo; per il carcerato, il contadino, la mamma, il governante, per
persone di ogni vocazione; per i piccoli come per gli adulti e per gli anziani.
In esse si vede come Gesù è la luce per ogni uomo (cf. Gv 1, 9)».2
Infine
si resero conto in maniera tutta nuova della rilevanza pratica della Parola: la
Parola è vita, deve essere tradotta in vita. Il vangelo era diverso dai libri
spirituali che prima avevano guidato la loro vita: «E quante pagine spesso
occorreva scorrere ricorda Chiara per appropriarsi di un’idea da mettere
in pratica!».3
Si
trattava insomma di vivere la Parola. La vita schiudeva la Parola, la vita
rendeva sensibili al contenuto della Parola ed era anche al centro di quanto ci
si comunicava: raccontando le esperienze che si erano fatte con la Parola
nacque un nuovo tipo di comunità. Le prime focolarine erano ben consce di quanto
il loro modo di accostarsi alla Parola fosse diverso da quello che fino ad
allora si era praticato: «Era come una parola d’ordine a cui tutti volevano
aggrapparsi per aver la certezza di essere inseriti nella nascente comunità. Ma
ciò che ne derivava era veramente qualcosa di nuovo. Per comprenderlo bene,
occorre pensare che prima di questo tempo felice, di particolare illuminazione
da parte dello Spirito Santo sulla Parola di Dio, non si era abituati a viver
così la Parola, ad applicarla a tutte le circostanze della nostra vita e a
comunicarne gli effetti tra di noi. La Parola di Dio tutt’al più si meditava,
si penetrava con la mente, se ne traeva qualche considerazione e, se si era
ferventi, qualche proposito. Qui era tutt’altro. Essa veniva sviscerata nelle
sue più varie applicazioni al continuo contatto con la vita».4
Infine
si sperimentò in maniera tutta nuova la vitalità della Parola: un
cristianesimo che fino ad allora era stato vissuto piuttosto in uno spirito di
difesa e che si era limitato più che altro a cercare la salvezza della propria
anima, ora riscopriva la sua capacità di attacco, la sua apertura agli altri:
non si trattava tanto di evitare il negativo quanto di agire in positivo.
Vissuta insieme, la Parola non creava però soltanto la comunità fra gli uomini
ma faceva scaturire anche un nuovo rapporto con Dio e con ciò si scopriva in
maniera nuova la Chiesa. Era duplice l’effetto del vangelo vissuto: esso faceva
penetrare maggiormente nella vita di Dio e allo stesso tempo Dio si faceva presente
nella vita quotidiana in un modo prima sconosciuto e manteneva le sue promesse.
Col
tempo, in questo modo, si è delineata una vera e propria pedagogia per imparare
a vivere il vangelo.
Il
punto di partenza è l’amore.
Innanzitutto
le focolarine furono condotte a scoprire quelle parole del vangelo che
riguardano l’amore, come Gv 15, 17, Mt 25, 35, Mt 7, 12. Se le giovani comunità
della Chiesa primitiva impararono per prima cosa a vivere l’amore (cf. 1 Gv
2, 7), una cosa molto simile avvenne per le prime focolarine. Anch’esse
trovarono qui l’accesso al vangelo, e col tempo sperimentarono che tutte le
parole in esso contenute sono sintetizzate dall’amore scambievole e producono i
medesimi effetti.
Ogni frase contiene il vangelo intero.
Sin
dall’inizio ci si concentrò sempre e solo su di un singolo brano ed anzi, su
una singola frase, che si rivelò però tutt’altro che «parte» del vangelo. Nel
1948 Chiara Lubich scrisse in una lettera: «Lei provi a viverla (la Parola)
e vi scoprirà tutta la perfezione, e come ogni mattina s’accontenta di
quell’ostia santa che riceve, senza desiderarne altre, così sia sazia di questa
parola. E vi troverà, come ve la trovava san Francesco, la manna nascosta dalle
mille fragranze!».5 Accostandosi col tempo a molte parole della Scrittura,
a poco a poco questa, perché vissuta, venne interiorizzata.
Ogni
Parola si vive per un certo periodo.
Sin
dal primo impatto con la Scrittura era chiaro che una cosa sola importava:
tradurre la Parola subito in pratica, in ogni momento. Ne nacque la
consuetudine di vivere per un intero mese concentrati su di una determinata
Parola. Questa Parola fu spiegata e viene spiegata anche oggi con un commento
che tira una conclusione pratica, la quale può essere messa a frutto nelle
varie situazioni della vita.
Si
può imparare a vivere secondo il vangelo.
Ben
presto si è parlato anche della «alfabetizzazione» dei cristiani che avviene
attraverso il vangelo vissuto: «Noi dobbiamo considerare la Parola come l’alfabeto
per conoscere Cristo. Dice san Bonaventura: Il discepolo di Cristo deve
studiare le Sacre Scritture come i bambini che apprendono a, b, c,....6
Noi diciamo sempre che bastano poche lettere e qualche regola grammaticale per
saper leggere e scrivere, ma se quelle non si conoscono si resta analfabeti per
tutta la vita. Così è del vangelo. E’ un libro piccolo, ma coloro che non
vivono le parole in esso contenute rimangono cristiani immaturi,
sottosviluppati».7
La vita del vangelo
richiede la comunione.
E’
però insieme che si apprende a vivere il vangelo e a vivere sempre in Dio.
Scrive a questo proposito Chiara Lubich: «La legge fondamentale del
Movimento, l’amore reciproco, esige che si mettano in comune non solo beni
materiali, ma anche spirituali. E il comunicarsi le esperienze sulla Parola ha
portato sin dall’inizio, e porta tuttora, un vantaggio non trascurabile se si
guarda in quale ambiente siamo chiamati a condurre la nostra vita cristiana. In
mezzo al frastuono del mondo moderno, potenziato dai mass-media, che inquinano
l’atmosfera di argomenti puramente umani, se non deleteri, noi impariamo a
riempire le nostre ore di discorsi celesti e così attuare quanto Paolo
chiedeva: Cercate le cose di lassù... pensate alle cose di lassù e non a quelle
della terra(Col 3, 1-2)».8
Coloro
che vivono la Parola possono testimoniare la presenza palpabile di Dio che
realizza le sue promesse.
Alcune
parole chiave
sottolineate dalla spiritualità dell’unità
Vivendo
la Parola, ben presto, son venute in rilievo alcune parole particolari che
sarebbero diventate i cardini della nuova spiritualità che stava per nascere.
Fra esse, Chiara ricorda: «Tutti siano una cosa sola» (Gv 17, 21), una
Parola che annulla ogni barriera razziale, nazionalistica e culturale e spalanca l’orizzonte della fratellanza
universale; «Dove sono due o tre uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Mt
18, 20), che suggella l’unità tra i fratelli ed è diventata la norma delle
norme della vita del Movimento; «Chi ascolta voi, ascolta me» (Lc 10,
16), che porta ad affidarsi filialmente, con totale fiducia, alla maternità
della Chiesa. E ancora il grido di Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?» (Mt 27, 46), che diventa, se rivissuto da noi, come la
chiave dell’unità con Dio e con i fratelli.9 Partendo da questi cardini, da
quasi 50 anni, un numero crescente di persone in tutto il mondo ha trovato la
via per una continua rievangelizzazione della propria vita personale e dei
propri rapporti; una via che li ha portati e li porta ad essere a tutti gli
effetti comunità.
a cura della redazione