Abitare la contraddizione

 

 

«Simone Weil - Abitare la contraddizione» è un libro di oltre 550 pagine di Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese dell'Università di Teramo, pubblicato nella primavera di quest'anno dalle Edizioni Dehoniane.

Il lettore, che si accinge a leggere il volume, si trova davanti un'opera di ampio respiro e ben articolata. Dopo la dotta prefazione di André Devaux, professore emerito di filosofia alla Sorbona, e già presidente della «Association pour l'étude de la pensée de Simone Weil», a cui fanno seguito la premessa e l'introduzione degli stessi autori sulla vita e personalità della Weil, questi si sono suddivise le tre parti del libro. Nella prima G. P. Di Nicola evidenzia gli aspetti sociali e politici della contraddizione. Nella seconda A. Danese ne indaga il significato filosofico-teoretico. Nella terza G. P. Di Nicola riprende il tema percorrendo il pensiero socio-religioso.

 

L'impresa affrontata dai coniugi Danese-Di Nicola è stata portata avanti e compiuta con successo, ci sembra, particolarmente grazie all'ampio orizzonte esistenziale che di Simone Weil essi sono riusciti a presentarci. «Con un bel coraggio intellettuale -scrive A. Devaux nella prefazione - gli autori sono andati direttamente al nodo centrale della filosofia weiliana...», come è espresso nello stesso sottotitolo del libro: «Abitare la contraddizione». E' in questa che la Weil scopre la chiave del pensiero e della vita. Ella ha intuito che «ciò che sollecita il pensiero è ciò che presenta delle contraddizioni e che, perciò, mette in evidenza il ruolo della relazione nella vita dello spirito».

Oltre che a livello intellettuale, Simone Weil ha in effetti avuto modo di vivere il contrasto, a volte drammaticamente, anche nell'intreccio delle vicende della sua sofferta e breve esistenza (34 anni): nata dal ceppo della religione ebraica, ma non praticante; profondamente cristiana nell'intimo, ma non battezzata (se non privatamente da una persona laica - come ormai si dà per scontato - poco prima di morire, in una stanzetta di ospedale); teorica e operaia; nemica della guerra e pronta ad imbracciare il fucile; libera dalla tradizione e non femminista. Per non parlare della pluralità di tradizioni familiari; della conflittualità delle situazioni storiche e sociali del suo mondo; della salute precaria... E' caratteristico, poi, per Simone Weil associare, a una visione e interpetrazione proprie femminili, problematiche tipicamente maschili. Pare perciò una coincidenza fortunata che a mettere a fuoco una simile personalità questa volta siano un uomo e una donna.

Ciò che, nel loro saggio sulla Weil, gli autori si sono proposti è stato di «raccogliere la sfida delle sue provocazioni - come essi stessi scrivono nella premessa -, sapendo che non si tratta di un percorso facile..., ma di un confronto che minaccia il lettore scuotendone le sicurezze e spingendolo più lontano...». Anche N. Fabbretti vede Simone Weil in questa prospettiva: «Ognuno nel leggerla è stato ed è incitato a pensare, a interrogarsi sul proprio orientamento di vita, sulla ricerca del proprio disegno interiore, ricerca che è inevitabile se si vuol vivere e non vegetare». Il lettore è quindi invitato non tanto a deliziarsi di un arricchimento culturale - anche perchè non era questa la mira di Simone Weil -, ma a seguire lei nel suo penetrare nella contraddizione stessa e, vivendola nella propria carne, lasciarsi condurre attraverso di essa verso la luce. «Scegliere la categoria della contraddizione - confidano gli autori - ha significato soprattutto individuare la cifra nascosta nel cosmo e in ogni opera umana come il ponte prezioso che porta il pensiero oltre se stesso».

 

E' a partire da questa chiave di interpretazione della vita e del pensiero della Weil, che il lettore è aiutato a coglierne, nell'armonia dell'insieme, anche gli aspetti più relativi al contingente. Anzi questi, appunto perchè non staccati dalla loro vera radice, risultano più veri e più ricchi di contenuto da offrire alle nuove generazioni, di cui ella è certamente uno dei profeti. Così, a proposito del messaggio che ella ci ha lasciato per ciò che riguarda il politico e il sociale, basti citare l'affermazione di A. Camus con riferimento a lei: «Dopo Marx... il pensiero politico e sociale non ha prodotto in Occidente nulla di più penetrante e di più profetico».

 

Per Simone Weil la contraddizione è via d'accesso all'Assoluto. Se è vero che «ogni verità contiene una contraddizione», è ovvio che ci si debba allenare a «cogliere simultaneamente più livelli sovrapposti di idee». Così, per lei, la contraddizione non solo non è motivo di confusione, ma è «l'unico strumento del pensiero in grado di elevarlo». Non solo: Simone Weil vede proprio nel rapporto tra i due termini della contraddizione la chiave per l'accesso alla verità trascendente, all'Assoluto: «Due verità pensate insieme, grazie al legame del rapporto, permettono di cogliere, come con due bastoni, un punto che è fuori della nostra portata diretta», cioè «l'ambito della verità trascendente, inaccessibile alla nostra intelligenza». In una parola «i contraddittori pensati insieme» sono mezzi «per toccare Dio». Perchè la contraddizione - ella afferma - è la «leva della trascendenza», «ciò che strappa, tira l'anima verso la luce»; apparentemente un assurdo, sì, ma che porta verso il soprannaturale. Secondo un principio della saggezza ellenica, in cui Simone Weil si riconosce pienamente, l'unità - ed è questa, al di là di tutto, il suo ideale - si raggiunge componendo armonicamente i contrari. Così ella vede in Cristo «la pienezza dell'armonia»; e la salvezza è raggiungere il «luogo puro in cui i contrari sono uno». E, siccome la sua non è una speculazione astratta, ma una personale esperienza mistica, ella conclude, a ragion veduta, che questa unità di termini antinomici è come una fusione a caldo, che perciò si realizza solo «nelle anime che bruciano di amore soprannaturale di Dio». Infatti un altro elemento singolare in una mente pensante come quella di Simone Weil è l'attesa amorosa e paziente dell'intervento di un Altro: «Occorre fermarsi e bussare, bussare, bussare, instancabilmente, nello spirito d'attesa insistente e umile»: e ciò perchè «è un altro che apre»; o, in altri termini, «non si può salire: occorre essere trascinati».

 

Il simbolo di questo travaglio, chiave della vita, per lei è la croce di Gesù Cristo: «La Croce simboleggia insieme l'unione e la separazione dei contrari...». E la sofferenza dell'uomo non è altro che imitazione di quella che ella intuisce presente in Dio stesso: «Dio è un atto eterno che si disfa e si ricostruisce nello stesso tempo. C'è eternamente e simultaneamente in Dio dolore e gioia perfetti e infiniti».

Che questa concezione in Simone Weil non era un'astrazione accademica, ma costituiva il suo vissuto, può essere confermato, oltre che dalla testimonianza concreta del suo vivere, anche da queste altre sue parole: «Se atteggiamo il nostro pensiero in questo modo, dopo un certo tempo, la croce di Cristo diventerà la sostanza stessa della vita. Quando Cristo consigliava ai suoi discepoli di portare ogni giorno la loro croce, voleva indubbiamente riferirsi a questo atteggiamento e non, come sembra si creda oggi, alla semplice rassegnazione...».

 

E' vero che in Simone Weil non viene particolarmente in evidenza l'altra faccia della medaglia dell'evento pasquale, cioè la resurrezione; però non sarebbe esatto pensare -come potrebbe accadere a una lettura superficiale - che ella si sia fermata alla croce. Impressione, questa, spiegata dal fatto che, nella sua vita, ella era scesa a toccare il fondo della sofferenza a vari livelli, ad assaporare tutto l'amaro dell'ingiustizia, a subire l'asfissia di una cultura materialista e potenzialmente già tanto edonista. Perciò il suo esprimersi non poteva non riflettere questa sua particolare esperienza; ed è anche comprensibile che, volendo contribuire a riportare l'equilibrio, ella vada oltre i 180 gradi nel riportare il foglio alla posizione normale - per usare un'immagine -, appunto per eliminare una piega fuori posto.

 

Se ci si domanda qual è la ragione ultima per cui la fragile S.W. riesce a dare risposte vitali alle istanze dell'angosciata società attuale, essa la si trova non tanto nel fatto che ella ha accettato la contraddizione, quanto nell'averla superata. Infatti la contraddizione, se solo subita, schiaccia e mortifica, ma, se accolta e vissuta in positivo, permette allo Spirito di verità di tramutare in vita il travaglio del pensiero.

 

Questa linea viene ben in evidenza nel libro, il quale «è esso stesso tutto intero un atto di pensiero attivo... - scrive A. Devaux - nella fedeltà all'ideale che S.W. ha ella stessa definito così: “La verità che diventa vita è la testimonianza dello Spirito. La verità trasformata in vita”».

 

Oltre che in tante altre affermazioni, le quali rivelano uno spirito che ha sperimentato l'unione con Dio, cioè quanto di resurrezione è dato all'uomo di gustare sulla terra, l'esperienza e il pensiero di Simone Weil sulla contraddizione, che si risolve in unità e armonia, possiamo coglierli in questo passo: «E' proprio nella sventura che risplende la misericordia di Dio; nel profondo, nel centro della sua inconsolabile amarezza. Se, perseverando nell'amore, si cade fino al punto in cui l'anima non può più trattenere il grido: “Mio Dio, perchè mi hai abbandonato?”; se si rimane in quel punto senza cessare di amare, si finisce col toccare qualcosa che non è più la sventura, che non è la gioia, ma è l'essenza centrale, essenziale, pura, non sensibile, comune alla gioia e alla sofferenza, cioè l'amore stesso di Dio. Si comprende allora che la gioia è la dolcezza del contatto con l'amore di Dio, che la sventura è la ferita del contatto stesso, quando esso è doloroso, e ciò che importa è solo questo contatto, non il modo in cui avviene».

Il messaggio della pensatrice francese oggi viene sempre più recepito, anche perché storicamente è in questi nostri tempi che vanno maturando le situazioni, che, nell'intuito della Weil, erano presenti già oltre mezzo secolo fa. La sua era una grande passione: quella di poter additare a tutti la via all'Assoluto, quella di poter donare Dio anche a chi si professa ateo. Anche per questo i termini del suo linguaggio sono così originali. La passione, insomma, di «radunare le genti dietro le aspirazioni cristiane... - come ella ha lasciato scritto - nei termini nei quali un ateo possa aderire integralmente, e senza ostacolare nulla di ciò che esse hanno di specifico». Infatti qualcuno (H. Ottensmeyer) l'ha chiamata «santa dei senza chiesa». E l'allora mons. Montini, futuro Paolo VI, confidava a Gustave Thibon (e da papa lo ribadiva a un amico del Thibon) che, secondo lui, se Simone Weil fosse entrata ufficialmente nella Chiesa, questa avrebbe avuto tutti i motivi per dichiararla santa. Senza parlare della profonda stima nei confronti di lei da parte di Angelo G. Roncalli, allora nunzio apostolico a Parigi, futuro Giovanni XXIII: stima espressa anche in una sua lettera ai genitori di Simone.

Forse si potrà allora dar credito a quella sua convinzione di dover seguire una propria particolare «vocazione». Lo scrive anche alla madre: «Provo, crescente, una specie di certezza interiore che esista in me un deposito di oro puro da consegnare». E purtroppo le tocca costatare amaramente: «L'esperienza e l'osservazione dei miei contemporanei sempre più mi persuadono che non c'è nessuno pronto a riceverlo». Comunque questo non la scoraggia: «Ben inteso - scrive in un'altra lettera ai genitori -, non penso di avere un giorno qualche efficacia... (perb), come indovinate, ciò non mi impedisce di scrivere». E' la ferma certezza di chi si sente investito di una missione da compiere: «La più chiara eredità - scrive N. Fabbretti - che ci rimane di questa donna, che non volle confini, è la fedeltà alla propria vocazione personale».

 

Dopo avere scorso le 550 pagine del libro il lettore non potrà non sentirsi grato a G. P. Di Nicola e A. Danese, che, con ricerca da certosini e competenza non comune, hanno saputo proporci una Simone Weil tanto completa e coinvolgente.

 

Lino D'Armi