La
forza liberante della Parola vissuta in ambienti minati dalla droga
«Loro mi
hanno dato di più»
di
Christian Heim
Guaratinguetà
è una cittadina all'ombra del santuario nazionale del Brasile, la Madonna
Aparecida, nello stato di San Paolo. Come ogni città del terzo mondo è
circondata da una corona di spine formata da drogati, delinquenti comuni,
malati di Aids. A Guaratinguetà, in una parrocchia che si prende cura di questo
ambiente, un giovane tedesco è andato a trascorrere alcuni mesi prima di
iniziare i suoi studi teologici.
Sono
andato in Brasile perché
desideravo
donare
un po' del mio tempo in attività sociali a favore dei poveri. Quando sono
arrivato, il parroco del luogo mi ha affidato a Nelson per vedere come
inserirmi nella vita di quella comunità che da tempo stava vivendo una vera e
propria rinascita, che si è espressa, fra l'altro, in tutt'una serie di opere a
sfondo sociale. Nelson per mettermi subito a mio agio mi ha raccontato
brevemente la sua vita. Un giovane come tanti, ma interessato con un gruppo di
amici a mettere in pratica le parole del vangelo sperimentandone la validità
sulla propria pelle.
«Mi
stavo sforzando - così mi ha detto - di vivere la parola di san Paolo: “Mi sono
fatto debole con i deboli” (1Cor 9, 22), quando recandomi al lavoro mi imbatto
ogni mattina lungo la strada con alcuni drogati. Superando una certa ripugnanza
e un po' di paura e dicendo a me stesso che devo farmi “debole con i deboli”,
una mattina li ho salutati, poi mi sono anche fermato a parlare con loro ed è
nata tra noi una certa simpatia e un mutuo rispetto.
Un
giorno ascolto durante la Messa le parole di Gesù: “Chiedete e vi sarà dato”.
Ne nasce spontaneamente una preghiera: “Signore, ti chiedo uno di questi
giovani, per te”. Dopo qualche giorno uno dei drogati mi si avvicina e mi dice
che desidera abitare con me per tentare di uscire dal tunnel degli
stupefacenti.
Ho
capito subito che era ora di fare sul serio. Ho lasciato allora la mia famiglia
e, col consenso del parroco e l'aiuto della comunità parrocchiale, ho iniziato
questa nuova avventura. Le cose sono andate avanti, sono venuti altri giovani
bisognosi d'aiuto ed è nata quella che oggi si chiama la Fazenda da Esperança
(Fattoria della Speranza), che consiste in dieci abitazioni che possono
ospitare circa 120 tra drogati, alcoolizzati, ex-carcerati e malati di Aids.
Tu
potresti aiutarmi in una di queste case?».
E'
stato così che mi sono ritrovato a convivere con altre dodici persone di cui
non conoscevo neanche la lingua. Mi chiedevo come fosse possibile che drogati,
assassini, alcoolizzati depressi... convivessero in un'atmosfera di comunione
fraterna, trovando in questa esperienza la forza di cambiare vita. E' stato come tuffarsi nell'acqua fredda, ma
ben presto ogni preoccupazione è svanita. Quei giovani mi hanno accolto con
un'impensata disponibilità ed apertura. Con loro, nonostante i limiti della
malattia e di altri condizionamenti sociali, ho trovato un rapporto così
sincero e profondo, un impegno così autentico nel voler vivere la parola di
Dio, che ne sono rimasto colpito e coinvolto.
Anche
un ex-drogato
può
salvare i suoi fratelli
Fra
i tanti nuovi rapporti, il più importante è stato senz'altro quello con Julio,
un giovane che era arrivato alla Fazenda da Esperança quando aveva 28 anni. Nel
suo cuore c'era stato, come in quello di ogni giovane, il desiderio di
realizzare nella vita qualcosa di grande, ma era incappato nella droga e
nell'alcool e, ad un certo punto, era finito in carcere. La sua vita era stata
piena di esperienze tremende ed aveva ormai toccato il fondo. Arrivato alla
Fazenda, incontra persone che lo accettano, gli fanno sentire il loro amore e
lo ascoltano. Dopo alcuni mesi comprende che non basta liberarsi dalla droga
per diventare un uomo nuovo. Tutta la sua vita deve cambiare e sembra deciso,
ma proprio in quel momento riceve una lettera da una vecchia amica e se ne va.
Vive con lei e riprende a bere e a drogarsi. Passa qualche giorno e capisce la
differenza tra la vita di prima e quella nuova. Torna quindi alla Fazenda e
inizia una svolta radicale.
Accettando
la propria impotenza, chiede a Gesù di prenderlo per mano. Ora il suo cuore,
aperto ai doni di Dio, comincia a donarsi agli altri. Non vuole più seguire se
stesso, i suoi desideri, i suoi istinti, ma quello che Dio vuole. Trova allora
una pace profonda, una gioia senza confini che trasmette a tutti.
Dopo
qualche tempo diventa responsabile di una delle case della comunità ed è
proprio in quella casa che mi è toccato vivere quando sono arrivato in Brasile.
Sin dall'inizio rimango colpito dal suo esempio. E' lui che per primo va
incontro a chi è nuovo ed è impressionante come egli riesce a far emergere il
bene che c'è in ciascuno. Vivendo attimo dopo attimo affida quotidianamente
ogni cosa a Dio, come un bambino al Padre. Al mattino si alza prima degli altri
per fare meditazione, poi durante il giorno lo vediamo sempre disponibile ai
bisogni altrui.
Un
giorno mi ha confidato: «Gesù ha dato la vita per me. Solo così sono rinato a
nuova vita. E allora anch'io sono pronto a dare la vita per te e per tutti».
Lo
sento veramente fratello, gli dico che anch'io sono pronto a dare la mia vita
per lui e per tutti e decido di prolungare il mio soggiorno in Brasile da sette
mesi a quindici, per poter andare in profondità in questa esperienza.
I
giovani che abitano con noi non hanno tardato ad accorgersi della nostra
prontezza a dare la vita l'uno per l'altro ed anch'essi cominciano a fidarsi sempre più di Gesù e a mettere in
pratica la sua parola.
Due
settimane dopo, però, Julio perde la vita in un incidente. Rimaniamo sgomenti e
c'è un momento di smarrimento. Ma più forte è la certezza gioiosa che egli
continua a starci vicino. Ne traiamo la forza per portare avanti quanto lui ha
testimoniato fra noi.
Dopo
quasi un anno e mezzo riparto per la Germania, ma la mia vita non è più quella
di prima. Ero andato in mezzo ai poveri e ai disgraziati per aiutare, ma loro mi
hanno dato di più facendomi riscoprire la forza rivoluzionaria del vangelo
nella società di oggi, anche in quelle fasce che spesso noi chiamiamo «a
rischio».
Christian Heim