Dalla biografia di d. Cosimino Fronzuto

 

 

Ultima tappa, in salita

 

 

di Francesco Cardinali

 

Tanti nostri lettori ricordano con ammirazione e gratitudine don Cosimino Fronzuto, quel piccolo prete che li riceveva con tanta cordialità nella sua parrocchia per farli riposare approfittando del clima mite e del bel mare di Gaeta (Italia). Sono in tanti che vi andavano volentieri anche per arricchirsi a contatto sia del gruppo dei sacerdoti focolarini del posto, sia della comunità parrocchiale particolarmente viva. Nel 1974-75 la salute di don Cosimino dette i primi segni di cedimento, ma la grande prova si manifestò nel settembre dell'87 quando apparvero i sintomi di un tumore che, attraverso un crudo e lento disfacimento fisico, lo avrebbe accompagnato per due anni. Egli farà di questo evento doloroso un'autentica ascesa spirituale. Ora, a due anni dalla sua scomparsa, abbiamo pensato di fare cosa gradita riportando una parte dell'ultimo capitolo della sua biografia scritta da Francesco Cardinali ed edita da Città Nuova.

 

 

Alla  vigilia  del   ricovero  in  ospedale  don Cosimino scrive:

O è tutto un fantasma, o mettermi nella sola logica possibile: pronto a divenire col corpo «eucarestia» della terra, del creato (3/10/88).

E' la prima nota del diario ultimo che ci ha lasciato; del diario riporteremo con esattezza il testo, anche perché ricco di contenuto spirituale. E' scritto per intero a Milano.

All'ospedale di S. Raffaele è sottoposto ad una visita attenta, a seguito della quale la cartella clinica riporta il referto.

Don Cosimino, successivamente, è informato di tutto, e scrive nel diario:

Dal colloquio col Prof. Di Carlo ho capito ancora di più che la mia situazione è grave con prospettive terapeutiche lunghe e dolorose e poi con la morte forse (6/10/88).

Seguono due giorni di riflessione, durante i quali ha modo di conoscere a fondo il suo stato e di orientarsi spiritualmente verso la fine della sua giornata terrena. Non teme perb: anzi compie, per così dire, uno «scatto» spirituale, con tutto il suo essere. Si pone subito nella posizione del modello divino sulla croce: del consummatum est. Si scopre così a quale maturità spirituale lo ha condotto il carisma dell'unità. Scrive:

Gesù è morto a 33 anni: io perché non dovrei morire a 49-50? Gesù ha potuto dire: «Tutto è compiuto». Vuol dire che anch'io dovrei poterlo dire in quel momento. Gesù dice “compiuto” mentre tutto è in rotta intorno a lui; eppure lo dice. Perché penso ai tanti progetti...? Tutto resterà anche per me “compiuto”..., se resterò come Gesù nel disegno del Padre (8/10/88).

Tutto quanto scrive è frutto e logica conseguenza, per lui, dell'unità vissuta e maturata nell'arco di venticinque anni, di cui parte nell'ambito del focolare sacerdotale. Ne sa qualcosa chi ne ha fatto esperienza.

Don Cosimino ce ne dà testimonianza quando annota (dopo un momento di unità con un altro sacerdote focolarino):

E' proprio vero. Quando c'è l'amore perfetto, c'è Gesù in mezzo, e quando c'è Gesù in mezzo, il fratello ha tutti i volti dell'amore: fraterno, paterno, nuziale, amicale... e il cuore batte forte (10/10/88).

 

 

 

«Cerco ancora e sempre di amare»

 

Ci dà una lezione di ascetica cristiana nell'incontro dell'anima con la gioia divina, spesso paragonata ad una fonte di acqua viva: l'acqua di cui parla Gesù nel colloquio con la Samaritana:

Entrando in cappella e guardando l'acquasantiera-battistero, alimentata da una cascatella di acqua continua, mi è venuto da pensare: è un'immagine dell'anima che risponde bene alla grazia divina: tanto riceve e tanto dà senza calare di livello e senza perdere di purezza e trasparenza. La quantità dell'acqua dipende dal livello del foro di uscita. Se questo stesse giù poca acqua si raccoglierebbe, se questo sta su verso il bordo, allora forma una vera fonte ricca d'acqua e bella, con la sua profondità. Bisogna tenersi su sempre in Dio per poter essere Lui (raccogliendo il massimo del divino) e per poterlo offrire agli occhi, oltre che alla sete dei fratelli. Così in focolare, in parrocchia, nella vita e oggi qui in ospedale (12/10/88).

 

E in un'altra occasione gli fiorisce spontanea nel cuore una preghiera:

 

La condizione in cui sono mi produce un continuo fastidio, ma cerco ancora e sempre di amare... Alcuni giorni fa, in un momento di difficoltà, dopo aver ridichiarato il mio «sì» al Signore, gli ho chiesto di non togliermi l'amore. «Toglimi tutto, ma questo no». Questa preghiera mi ha dato molta forza.

Tutti coloro che gli sono più vicini hanno voluto che facesse un consulto molto accurato a Milano, ma ormai non c'era proprio nulla da fare. Di ritorno a Gaeta egli annota nel diario:

Ho una visione abbastanza completa della mia situazione... Non c'è nulla o quasi nulla da fare: solo qualche terapia tampone. Per il resto valgono le parole del medico: «E' il suo orto del Getsemani e il calice non passa». La crudezza della rivelazione era temperata dalla bellezza della citazione. Buio e luce insieme. L'ha detta con fede, l'ho raccolta con amore e gioiosa sorpresa: ho sentito Gesù in mezzo con lui in quel momento. Gli ho anche chiesto del tempo ancora a disposizione, se le cose continuano ad andare avanti così: alcuni mesi, un anno forse... (20/10/88).

 

 

 

«Devo entrare in altri campi»

 

Poi un momento di particolare luce gli inonda l'anima:

Guardavo oltre la finestra. Un pensiero dolcissimo... : in cielo vedrò tanti santi e mariapoliti celesti; in particolare Marilen che ha sofferto tanto prima del suo passaggio. E poi tutto: Gesù risorto, Maria... tutto. Anche dal purgatorio già li vedrei...

Costretto alla più completa inattività, cerca di capirne il segreto e scrive:

Mi sembra a volte di aver esaurito la mia missione sulla terra e adempiuta la mia vocazione...

Cioè mi sembra che, esauriti i campi precedenti, devo entrare in altri campi, quali l'inazione più totale, la distruzione dell'umano, perché io anzitutto e poi forse altri tocchino con mano il cuore del vangelo, il segreto di Cristo e della redenzione, la verità profonda della vita pastorale...

L'amore di Dio su un'anima è assimilante. Ciò che avviene sul piano dello spirito deve avvenire anche su quello della carne. Cioè la persona totale deve essere assimilata a Gesù. Allora Dio lavora, lavora. I mezzi usati sono - come dice Chiara Lubich ed io lo sperimento - dolore e amore. Anche la carne di Gesù è stata soggetta a questo trattamento. Logica poi la risurrezione e l'ascensione. In altre parole Dio vuole glorificarci tutti, e il suo lavoro consiste in quello che già osserviamo in Gesù: oscuramento, tentazione, agonia, morte e, prima della morte, l'abbandono del Padre...

 

Quando soffro, quando soffriamo, Gesù soffre in noi, Gesù in noi soffre contemporaneamente e congiuntamente per l'inscindibilità della sua unità con noi per via della redenzione e della “incarnazione” in atto in ciascuno di noi, del nostro divenire Cristo. Allora è vera una cosa: si soffre in due, si ama in due, si muore in due (o meglio, si spira in due l'ultimo atto d'amore possibile sulla terra). Lui solo era solo nel far questo. Noi abbiamo lui in noi, con noi, per noi...

 

E Maria che fa? Maria fa la desolata sotto la croce: fa da madre che offre il figlio, me figlio, me-Gesù, e si prepara ad allargare ancora la sua maternità per via della nostra morte-dono... (24/10/88)

 

 

 

La verità profonda della vita pastorale

 

Mentre don Cosimino saliva il suo calvario la vita in parrocchia non solo non calava di tono, ma le persone sembravano prendere ancor più coscienza dei tesori che egli vi aveva seminato in quegli anni e tutti pregavano invocando il miracolo della guarigione. Don Cosimino lo sapeva, ma voleva che su di lui si adempisse solo la volontà di Dio:

 

Gesù solo sa se sono più utile restando qui o trasferito nell'altra vita. Io credo a quello che sceglierà. Come è meglio per me e per la gente. L'amore che ho per lui mi fa volere con tutto il cuore e tutta la mente quello che lui vorrà (4/11/88).

 

In occasione della Pasqua dell'89 i parrocchiani gli indirizzarono tante lettere che testimoniano non solo l'affetto verso di lui, ma soprattutto il lavoro di Dio nelle loro anime. Ne citiamo solo una:

 

Pasqua '89

Vedendo ora la bellissima realtà che c'è a San Paolo, si avverte che è tutto “inzuppato” di divino: persone e rapporti. E si capisce perché. Ora, poi, stai dando ancora di più. E si sente. Non so come esprimerlo: la gente è diversa, si vede che sta facendo una preziosa esperienza di Dio. La messa della notte di Pasqua è stata per me, veramente, un incontro con Gesù risorto: l'atmosfera era altissima e il divino era palpabile. Grazie per averci amato in modo disinteressato...

 

 

 

Un incontro a tu per tu

 

Ma forse il frutto più bello, che gli diede tanta gioia in questo periodo fu la visita del Papa a Gaeta il 25 giugno '89, appena dieci giorni prima della sua morte.

 

In questa occasione il vescovo diocesano, Mons. Vincenzo Maria Farano, volle che don Cosimino si incontrasse col Papa, mentre questi faceva una breve visita alla cappella dell'Annunziata sul lungomare, famosa per l'immagine della Madonna davanti a cui era sostato in preghiera Pio Iì prima di proclamare il dogma dell'Immacolata. Il Papa era stato informato che, nella piccola sacrestia antistante la cappella, c'era in una carrozzella un sacerdote focolarino col volto emaciato ma raggiante, prossimo alla fine, stimato ed amato da tutta la città perché aveva donato Dio a tante anime, costruendo dappertutto rapporti di unità.

Don Cosimino ha raccontato così quest'incontro:

26/6/89

Il papa appena entrato ha fissato i suoi occhi dolcissimi nei miei ed io i miei occhi nei suoi. Gli ho detto: «Santità, sono un sacerdote focolarino e le porto i saluti di Chiara Lubich e di tutto il Movimento. Sono venuto qui per farle un dono, il dono della mia malattia, perché ne disponga per le opere di Vostra Santità e per i bisogni della Chiesa». Il Papa mi ha abbracciato e mi ha detto: «Sono con te nella preghiera e nella sofferenza». Poi mi ha riabbracciato e baciato più volte. Prima che se ne andasse ho sentito di dirgli: «Santità, sta facendo tutto bene, vada avanti senza nessuna paura». Lui acconsentiva col capo e ripeteva «Grazie, grazie!».

Alla sera di quella stessa giornata, il vescovo ha voluto fargli visita per ringraziarlo del contributo spirituale da lui offerto e della collaborazione preziosissima ed efficiente dei suoi parrocchiani per la riuscita della giornata. «E' opera tua - diceva il vescovo -; io avevo un'idea, ma i tuoi parrocchiani tante, tante di più... ed è venuto fuori tutto questo!».

Il Papa era stato impressionato dall'unità trovata in diocesi e il vescovo l'attribuiva al lavoro di don Cosimino in parrocchia e tra il clero negli anni scorsi.

Ma don Cosimino, pur apprezzando tutte queste realtà così belle, viveva già in un'altra dimensione. Quando, quattro giorni dopo, gli mostravano le foto del suo incontro col Papa, commentava:

Bello, tanto bello, ma io ora devo vivere l'attimo presente e non devo uscire dall'amore di Dio in cui sono immerso. L'importante ora è questo per me, il resto passa.

 

 

 

«Date e vi sarà dato»

 

Negli ultimi giorni a volte provava il rammarico di essersi lasciato sfuggire qualche lamento durante la malattia invece di offrire con gioia i dolori lancinanti che provava. Qualcuno allora gli ha fatto notare: «Ma l'abbiamo fatto noi per te, come tu tante volte l'avevi fatto per noi». Don Cosimino si rasserenava e, pensando alla bellezza e al privilegio di poter vivere con Gesù in mezzo, mormorava: «Sì, è vero; grazie, grazie».

Poi le sue ultime parole:

Non ce la faccio pij! Dio, Dio-Amore, per te, solo per te!

Era la mattina del 5 luglio 1989.

Nel giorno del suo funerale nella piazza antistante la chiesa parrocchiale erano riunite più di quattromila persone, tutte raccolte in un silenzio profondo interrotto solo dai canti e dalle preghiere. E nell'omelia il vescovo poteva dire alla folla: «Don Cosimino ha dato molto, ma ora darà molto di più». Si riferiva a quella parola del Vangelo che aveva caratterizzato tutta la vita di don Cosimino: «Date e vi sarà dato».

Nella folla c'era la serenità tipica di chi vive di fede, anche se ogni tanto affioravano qua e là i segni del dolore e non era raro incontrare qualche emarginato che non riusciva a trattenere le lacrime per la perdita dell'amico. Ma c'era subito qualcuno a confortarlo, perché don Cosimino ha plasmato persone vigilanti nell'amore.

 

Francesco Cardinali