Solidarietà a favore dei terzomondiali in una comunità del casertano, Cancello Scalo

 

 

Immigrati: che fare?

 

 

di Giannino D'Alise

 

Assistiamo quasi ad un nuovo e immane esodo biblico: milioni di esseri umani lasciano la loro terra e condizioni di vita spesso inumane, alla ricerca non solo del pane, ma della libertà, della pace, di un minimo di dignità umana. Spesso però trovano presso di noi molta diffidenza e un pane scarso, per ragioni d'incomprensione, d'intolleranza, di paura. Le loro energie sono tante volte sfruttate nel lavoro nero e con il rischio di diventare vittime di organizzazioni criminose. Ecco la risposta di una parrocchia del casertano.

 

 

Cancello   Scalo  appartiene  alla  provincia
di Caserta pur incuneandosi nell'hinterland di Napoli. Essendo un fiorente centro agricolo, crocevia di un'importante rete viaria della Campania, i terzomondiali vi sono venuti numerosi in questi anni, offrendosi come braccia lavoro nell'agricoltura. Il flusso di queste persone raggiunge annualmente circa le 1500 unità, creando una pressione rilevante sulla popolazione del posto che è di circa 4000 abitanti e suscitando una serie di problemi a cui non eravamo preparati.

 

Anche la nostra parrocchia in un primo momento non sapeva cosa fare: vedeva la gravità del problema, ma come qualcosa che non la riguardava direttamente. E' stato decisivo per noi un fatto accaduto nel 1986. Fino a quel momento noi eravamo una comunità tranquilla: belle liturgie, una catechesi organizzata per corsi, rapporti buoni con tutti, una vita senza gravi rischi. Certo, non si poteva però ignorare che il nostro paese era sempre più colorato dalla presenza di tantissimi nordafricani: tunisini, algerini, marocchini, senegalesi. La loro presenza attirava la nostra attenzione, ma non riuscivamo ad imbastire una risposta, quando un giorno dopo la messa principale celebrata con una liturgia molto bella, alcuni di noi, già impegnati nel vivere la spiritualità dell'unità, scoprono un terzomondiale che cerca qualcosa da mangiare in un contenitore della spazzatura. Ne siamo rimasti sconvolti. Per la prima volta nella nostra vita abbiamo visto la fame faccia a faccia.

 

Lì, quel giorno, è finita la nostra tranquillità. Abbiamo radunato gli altri che vivono con noi l'ideale dell'unità e abbiamo cominciato a guardare le persone di colore con altri occhi, come nostri fratelli che mancano di tutto, anche di un tetto dove rifugiarsi. Molti infatti dormono in tuguri o in costruzioni incomplete, senza porte e senza il minimo di igiene o addirittura all'aperto.

 

 

 

La nascita di un centro di accoglienza

 

Che fare? Come prima cosa abbiamo aperto un piccolo locale come centro di accoglienza, dove loro potessero venire per dire i loro problemi e per cercare insieme una soluzione.

La nostra strategia in questi anni è stata quella di farci uno con loro, far sentire che li amiamo veramente. Il fatto di ascoltarli con rispetto e simpatia li ha conquistati. Dall'ascolto siamo passati poi alla risposta semplice ma concreta ai loro bisogni secondo le nostre possibilità. Pian piano abbiamo coinvolto l'intera comunità parrocchiale ed è cominciato un flusso di comunione di beni che continua ancora oggi in modo costante. Anche da paesi vicini arrivano capi di vestiario seminuovi ma utilissimi, cibi, aiuti in denaro, ecc. Per tanti è normale venire al centro per chiederci di che cosa abbiamo bisogno.

 

La risposta da parte dei terzomondiali è stata a volte anche commovente: da noi si sentono come a casa. Alcuni ci affidano anche i loro documenti più importanti. Non avendo casa, non sanno dove riporli e spesso sono derubati dagli stessi terzomondiali mentre dormono in luoghi improvvisati. Abbiamo imparato da loro cosa significhi possedere un passaporto in terra straniera.

 

Ben presto il nostro piccolo centro è diventato la loro casa dove depositare i loro bagagli, le loro poche ma importanti cose come i regali da portare alle famiglie lontane.

 

 

 

Fra rischi e difficoltà,
una risposta sempre più adeguata

 

Quando tutto sembrava ben avviato il Centro subisce un furto con scasso. Era un gran dolore vedere le borse sventrate e tutte le loro cose maltrattate. Molti si sono visti portar via tutto quanto avevano preparato con sacrificio per il giorno del ritorno.

 

Si è trattato di un vero furto ai loro danni o di una minaccia al nostro lavoro? Non lo sappiamo, ma abbiamo deciso di continuare con l'appoggio costante e concreto della comunità parrocchiale.

 

Intanto molti dei nostri amici trovano lavoro, anche se saltuario, e devono provvedere a custodire i loro risparmi. Dove deporli? Le banche non ne vogliono sapere, le poste italiane chiedono la residenza. Il nostro centro diventa allora la loro piccola banca. Sappiamo che è una grossa responsabilità, ma ormai tutti vengono ad affidarci i loro risparmi e noi non possiamo tirarci indietro.

 

Aggiorniamo di questo il nostro vescovo, dicendogli anche le nostre perplessità per il nuovo tipo di servizio, ed egli ci incoraggia ad andare avanti e ci dà opportuni consigli, perché anch'egli ritiene importante che ci sia questo segno di autentica carità davanti alla società civile e davanti alla chiesa diocesana.

 

Da molte parti d'Italia Trieste, Bologna, Roma i terzomondiali vengono da noi per depositare i loro risparmi. Un giorno uno di loro ci ha detto: La Chiesa è casa di Dio-Allah: voi non potete tradirci, noi abbiamo fiducia nella Chiesa. Naturalmente, quando è possibile, li aiutiamo a depositare i loro soldi in banca.

 

 

 

Amare la cultura altrui come la propria

 

Ma il nostro impegno non può essere solo assistenziale, bisogna lavorare perché sia rispettata la loro dignità umana e sia operata in modo degno la loro integrazione. Ciò è impossibile senza la collaborazione delle autorità civili. Purtroppo non abbiamo sempre incontrato comprensione, anzi qualcuno ha commentato con ironia il nostro impegno.

 

Avevamo tanti progetti, ma nessuno di essi andava in porto per mancanza di spazio e di fondi. Non ci siamo arresi, ma abbiamo continuato a fare il fattibile nel momento presente senza rinunziare a progetti più grandi per il prossimo futuro. Forse nei piani della Provvidenza dovevamo far crescere il nostro rapporto con i nostri amici extracomunitari prima di poter affrontare soluzioni più radicali.

 

Un momento molto bello di questo crescere insieme è stata la festa di Natale. Si cena insieme e si scambiano i doni. Ci hanno donato i loro canti tradizionali: sono presenti in 150. Uno di loro ha detto: Siamo di cinque nazioni diverse e possiamo finalmente vivere insieme!. Abbiamo capito come non mai che, pur essendo importante dar da mangiare, vestire, consigliare, ciò che vale di più è lo scambio di culture.

 

 

 

Verso nuovi traguardi

 

All'inizio di novembre abbiamo iniziato una nuova tappa progettando un Centro servizi in conformità a quanto viene stabilito dal Decreto per l'attuazione della Legge Martelli.

 

In esso sono previsti:

 

un Centro ascolto e segretariato sociale che fornisce i seguenti servizi: possibilità di colloqui, individuazione dei problemi connessi alla situazione psico-sociale, aiuto concreto ai bisogni primari manifestati, disbrigo di pratiche burocratiche, conoscenza delle leggi, ecc.

 

un Centro per l'animazione e l'interscambio culturale che intende offrire un servizio di animazione, che promuova un clima di socialità e di serenità tra gli immigrati, una scuola per la conoscenza della lingua italiana e l'interscambio culturale tra extracomunitari e italiani, nonché la conoscenza del territorio.

Per un intervento particolare della Provvidenza il progetto è stato approvato dalla giunta comunale, che non era mai intervenuta prima. E la Regione lo ha finaziato per 200 milioni. Ci sembrava di sognare!

Ma non poteva mancare la croce che è apparsa inaspettata. Al Comune è stata trasmessa una petizione popolare contro l'attività della Caritas parrocchiale da cui dipende il nostro centro per gli extracomunitari: si tenta in tutti i modi di coinvolgerci in una polemica che tendeva a spaccare in due il paese.

Abbiamo ascoltato tutti senza giudicare e pian piano la polemica si è smorzata. Alcuni dei promotori della petizione in seguito sono venuti da noi per chiarire, ma soprattutto per dirci che rispettavano quanto noi stiamo facendo. Così il nostro lavoro non solo continua a portare aiuto agli extracomunitari, ma ha avuto anche l'opportunità di ricostruire la pace tra i cittadini del nostro comune.

In questi anni vari mezzi di comunicazione hanno scritto o parlato positivamente di questa esperienza, ma quello che più ci incoraggia ad andare avanti è vedere la gioia di questi immigrati nel sentirsi accolti come fratelli e la certezza che stiamo dando un piccolo ma concreto contributo per la costruzione di un mondo unito.

 

Giannino D'Alise