Riflessi della comunione presbiterale nella pastorale parrocchiale e diocesana

 

Pastorale insieme

 

di Tonino Gandolfo, Italia

 

 

Per un gruppo di preti di una diocesi del Nord Italia il desiderio della riuscita e dell'efficienza pastorale, che connota spesso la definizione di “apostolato”, viene ridimensionato in una visione meno individualistica del ministero: imparano gradatamente che ciò che viene progettato e condotto avanti insieme, credendo alla “luce” di Gesù presente fra i suoi, è sempre migliore, ed anche più efficace pastoralmente, di ciò che può realizzare il singolo, con tutte le sue doti.

 

La diocesi di Cuneo è una di quelle diocesi definite “medio-piccole”. Con poco più di 100.000 abitanti ha una “densità” di sacerdoti ancora notevole, in relazione ad altre situazioni: circa 170 sacerdoti incardinati, di cui 150 operanti in diocesi.

Circa vent'anni fa un gruppetto di sacerdoti e di seminaristi si incontrò con l'ideale di vita evangelico proposto dal Movimento dei focolari. Si era negli anni immediatamente successivi al Concilio, e subito sembrò a quei sacerdoti e seminaristi che il rinnovamento portato dal Concilio nella Chiesa trovasse una sua incarnazione in quella proposta di vita: un'incarnazione affascinante, e allo stesso tempo pacata rispetto al clima talvolta aggressivo che caratterizzava la contestazione in atto anche nella Chiesa.
Grazie a quella proposta di vita la fede, che per la formazione ricevuta veniva fatta coincidere spesso con gli aspetti dottrinali e teologici, trovava la strada per diventare anzitutto un fatto “vissuto” e “testimoniato”, dove il rapporto con Gesù ridiventava primario, coinvolgendo la persona e ampliandosi in una gamma di “presenze” fin allora sconosciute o solo teoriche. Caratteristico poi di quell'ideale di vita era il suo forte accento comunitario che portava immediatamente a una visione meno individualistica del ministero.

 

 

 

Serenità ritrovata

 

Si riscopriva in questo modo, con stupore, una dimensione tante volte smarrita: la serenità interiore ed esteriore, senz'altro perché più distaccati dai propri progetti, dalle riuscite e dalle sconfitte, ma soprattutto perché si andava ritrovando un dato fondamentale che veniva sovente considerato scontato: la propria vocazione battesimale, il sacerdozio regale. Sempre più ci accorgiamo, infatti, che non si può essere “ministri”, per i fratelli, di un cammino di fede, se non lo si compie per primi e continuamente lo si rinnova.

Siamo attualmente oltre 20 i sacerdoti che aderiamo e facciamo nostra la visione evangelica incarnata dal Movimento dei focolari, la maggioranza sotto i 40 anni. Per molti di noi questo impegno è nato e maturato dal rapporto costruito con un altro, dove prima o poi emergeva la domanda: “Come fai ad essere così sereno?”.

E la risposta era press'a poco così: “Ho messo Dio al primo posto... L'essere prete mi interessa non per i risultati o la gratificazione personale, ma come risposta d'amore a Lui e al suo progetto e come servizio rivolto per amore suo agli altri...”.                                                            

Si è trattato, potremmo dire, di una sorta di contagio generazionale, dove ognuno si è sentito aiutato a trovare il suo posto. “E' stata una nuova annunciazione...!” ha definito più d'uno l'incontro con quest'ideale di vita.

 

 

 

Il tempo speso insieme

non è tempo perso

 

Scegliere Dio come prima cosa ci ha portati a scoprirlo nei tanti modi e vie in cui Lui si rende presente: la Parola, l'eucaristia, la gerarchia, e così via. Ma, in un certo senso, tutto è stato come unificato nella scoperta, per tanti aspetti sconvolgente, di un rendersi presente di Gesù tutto particolare: quello che Lui stesso ha legato all'unità dei suoi discepoli. Le altre “presenze” sono accolte come altrettanti doni orientati a questo. Per cui il rapporto tra noi non è un qualcosa di superfluo, legato ad un'amicizia più o meno sentita, ma la condizione prima perché sia Gesù stesso, Sacerdote, ad operare in noi e tra di noi.
Da questo rapporto, vissuto per amore, si è visto, come per incanto, sgorgare una luce tutta nuova; una luce per la quale valeva la pena sacrificare o posticipare altri aspetti, non per sfuggirli, ma per rituffarsi a viverli guardandoli con uno sguardo interiore rinnovato.

Ci si accorge, ad esempio, che il tempo speso per preparare insieme l'omelia non è tempo perso o l'aggravio sul canone telefonico per confrontarla con un altro non è mancanza di povertà: la luce che ne scaturisce non è solo frutto dei consigli o delle osservazioni reciproche, ma è la parola del Maestro interiore che viene amplificata nel rapporto con l'altro.

Abbiamo l'abitudine di incontrarci, a gruppi, il lunedì. A prima vista potrebbe sembrare che si privilegi uno “star bene” insieme (che è in realtà sempre da costruire) agli impegni pastorali. In realtà per noi è una chiamata e un dono, perché ci aiuta a verificare continuamente la nostra vita, nei suoi aspetti personali e pastorali, alla luce di Gesù e dello Spirito Santo che è frutto della sua presenza. Vissuto così, ogni appuntamento è una vera e propria ginnastica interiore. Si tratta, infatti, di non portare all'incontro dei pesi (le preoccupazioni, le volontà di conquista, i giudizi...), ma di far posto a quello scatto nuovo che Gesù vuole farci compiere.

 

 

 

Unificazione interiore della vita

ed apertura sul presbiterio

 

Ogni cosa acquista allora la sua giusta dimensione: l'amministrazione dei beni personali e della parrocchia, il rapporto col parroco o col vescovo, la collaborazione coi laici, la salute, il riposo e la malattia, l'aggiornamento teologico e l'attenzione ai documenti della Chiesa, la preghiera del breviario e la liturgia, la comunicazione di notizie.
Questa unificazione della vita ha come riflesso una maggiore serenità, anche nell'impatto con le nuove esigenze pastorali derivanti dai rivolgimenti socio-culturali della nostra epoca. Ed allo stesso tempo ci spinge a sentire sempre più nostre le difficoltà vissute da altri sacerdoti perché quello che abbiamo ricevuto come dono non possiamo tenerlo per noi.

Abbiamo inoltre aperto gli occhi sulla realtà del presbiterio, al di là dei rapporti generazionali e della diversità di formazione teologica, e ci è apparso non come una struttura giuridica ma, per la grazia sacramentale del battesimo e dell'Ordine, una realtà di famiglia il cui centro è Gesù-Sacerdote.

Le strade per operare questo passaggio dalla funzione alla fraternità presbiterale possono essere molteplici.

C'è anzitutto il rapporto personale, in cui ci si fa carico della solitudine, delle attese, delle delusioni, delle gioie legate alle riuscite degli altri.

Esiste poi tutta la vasta gamma degli incontri a raggio vicariale o diocesano, in cui ci sforziamo di essere presenti con atteggiamento attento e propositivo. Ed in effetti ci sembra di riscontrare un certo nuovo gusto dei sacerdoti nell'incontrarsi.                                                                        

Ci sono ancora i momenti a carattere distensivo e ricreativo, che permettono di riscoprire insieme una dimensione importante: quella del riposo in vista di un più disteso ed efficace servizio.

 

 

 

Un'iniziativa per l'aggiornamento

teologico-culturale

 

Infine ha ormai preso piede un'esperienza del tutto particolare, che riguarda l'aspetto dell'aggiornamento teologico-culturale. Ci rendiamo conto che molte delle difficoltà incontrate dai sacerdoti nascono proprio da una certa “fossilizzazione” in schemi culturali non elastici, che mal si adattano alle problematiche emergenti, e ci sembra importante dare un apporto anche su questo piano. Iniziata oltre dieci anni fa per i sacerdoti di recente ordinazione, la proposta si è estesa dopo alcuni anni, per volontà del vescovo, a tutto il presbiterio. Ogni anno un tema, scelto insieme all'inizio, viene svolto da ottobre a maggio nell'arco di venti/venticinque incontri a ritmo settimanale di due ore ciascuno. Vi partecipa ora regolarmente circa un terzo dei sacerdoti operanti in diocesi: è un'occasione non soltanto di svecchiamento culturale, ma anche di maggior conoscenza e fraternità.

A sostegno di questo cammino si è sviluppato da qualche anno una sorta di centro-studi un po' originale, nato dalla volontà delle persone che lo compongono e caratterizzato dalla convivenza, in cui sono presenti alcuni di noi che hanno incarichi di insegnamento teologico e filosofico. Si vuole che anche l'aspetto dello studio sia basato su un rapporto personale in cui si condividono i beni (libri e materiale didattico, come i computers) e i risultati delle proprie ricerche. In questo modo il “centro” sta diventando punto di riferimento anche per tutto l'aspetto della formazione teologico-culturale nella diocesi: la scuola di formazione teologica per i laici, frequentata annualmente da più di cento persone, la catechesi ed anche le nuove iniziative di approfondimento dell'impegno politico, amministrativo, imprenditoriale.

 

 

 

Riscoperta del rapporto col vescovo

 

Tutta questa serie di rapporti ci aiuta a mettere sempre più a fuoco una scoperta fatta agli inzi di questa vita: la scoperta di Dio-Amore, di Dio come Trinità di rapporti, dove nell'amore è salvaguardata l'unità e la distinzione e l'una è in funzione dell'altra.

In questa luce il rapporto col vescovo ha avuto una decisa inversione di marcia: l'obbedienza l'abbiamo riscoperta come dimensione fondamentale ed ineliminabile del rapporto con lui, non per ragioni giuridiche ed estrinseche, ma come un riflesso, oggi, del rapporto d'amore-obbedienza vissuto da Gesù nei confronti del Padre. Non esiste così solo passività o solo intraprendenza: il far presenti le nostre idee o le nostre proposte supera il concetto del dover far “passare” qualcosa che ci sta a cuore e nasce dal desiderio di cogliere, nella sapienza nuova che emerge dal rapporto, il progetto di Dio.

Abbiamo notato come soltanto questo tipo di rapporto rivitalizza strutture che rischierebbero di decadere ad un livello formale o giuridico, come il consiglio presbiterale.

Riscoprire la Chiesa come comunità, come un tessuto di rapporti che ha come modello la stessa vita trinitaria, è ciò che ci ha portati ad accogliere la caratteristica visione del Concilio Vaticano II - la Chiesa “adunata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (LG 4) -, intravvedendone al tempo stesso le potenzialità e le possibilità di incarnazione. E ci ha portati a guardare in modo radicalmente nuovo alle nostre comunità; comunità nelle quali il prete non deve essere l'accentratore, ma colui che, sullo stile di Maria, si mette a servizio di tutti, perché in ciascuno si sviluppi quella personalità vera che lo fa simile a Gesù.

La comunità parrocchiale si presenta allora come un insieme di persone ugualmente coinvolte, ognuna col suo dono specifico, a testimoniare la novità del vangelo in ogni campo e aspetto di vita, e diventa così una realtà unificata in tutte le sue componenti - persone, strutture, attività - ed al tempo stesso una realtà aperta, con lo sguardo proiettato sul mondo dei non cattolici o dei non credenti, per cogliere i semi del Verbo da far germogliare per una convivenza umana a misura dell'uomo.

Succede perciò che il parroco abbia la sua vera fisionomia di perno d'unità. Facciamone qualche esempio. La catechesi agli adulti, come avviene nella parrocchia di s. Paolo, è un campo affidato agli adulti stessi, con una serie di proposte articolate. L'amministrazione dei beni assume un timbro che, se ha pure un minimo di aspetto manageriale, si qualifica soprattutto come una circolazione e condivisione che coinvolge la comunità al suo interno e all'esterno. La liturgia perde certe sue connotazioni compassate, ripetitive e diventa il riflesso di una comunità che scopre la gioia di ritrovarsi insieme per celebrare Colui che la fa essere famiglia. L'attenzione ai malati, agli anziani, agli emarginati rimette in moto i doni di assistenza e di conforto inscritti nel cuore delle persone.

Di conseguenza, sovente ci sentiamo ripetere dai nostri parrocchiani espressioni come questa: “Mi sento rinato... ora la parrocchia non è più affare solo tuo, ma anche mio”. Oppure: “Ho ritrovato la gioia di vivere ogni momento secondo il vangelo...”.

 

 

 

La comunità ecclesiale:

bozzetto di un'umanità rinnovata

 

Ci accorgiamo sempre di più che questo nuovo modo di vivere e di guardare la realtà non è soltanto un discorso ad intra, ma contiene in sé i principi innovatori per una convivenza umana in cui la persona, in quanto tale, si senta salvata nella sua individualità e nella sua chiamata alla condivisione. Per cui la parrocchia non appare soltanto come una porzione di Chiesa, ma anche come un bozzetto di umanità rinnovata. Quando il vangelo è vita, il nostro modo di parlare non passa inosservato, perché viene colto in una dimensione non clericale, aderente alle domande emergenti dalla società e dalla cultura di oggi.
Accade in effetti sempre più frequentemente che attorno alle nostre parrocchie più vive ruotino persone che si dichiarano non credenti, ma che condividono la volontà di rinnovamento della società. E non meraviglia che in un mondo il quale sempre più ricerca, anche inconsciamente, un fondamento etico per l'impegno politico, economico, imprenditoriale, per il rapporto uomo-donna, per le nuove questioni poste dall'ecologia o dalle biotecnologie, alcuni di noi vengano contattati da gruppi e associazioni non direttamente impegnati nell'ecclesiale, al fine di presentare la nostra visione di questi temi e i tentativi di risposta che ne conseguono.

Si sono aperte così delle piste, che ci paiono interessanti in prospettiva: incontri con gruppi di imprenditori che desiderano riscoprire il senso della loro professione al di là di schemi puramente produttivi ed economici; scambi di riflessioni con gruppi di politici e di amministratori che ricercano le basi per dare alla questione morale un timbro non puramente formale; momenti di riscoperta del nesso tra vangelo e i nuovi interrogativi posti da un mondo sempre più tecnicizzato; proposte per giovani ed educatori per un cammino di educazione all'amore, dove sessualità ed amore trovino una loro sintesi affascinante.

 

Tonino Gandolfo