L'esperienza di un seminarista europeo in Africa
Imparare da una chiesa giovane
di Emmanuel Pic, Francia
Partito come chi deve
conquistare il mondo, si trova ad essere conquistato dalla gioia di vivere un
cristianesimo impegnato di un gruppo di giovani del Gabon. Emmanuel, un
seminarista francese, ha provato in questo contesto la straordinaria forza del
vangelo che unisce in una sola famiglia persone di diversa razza, cultura e
vocazione. La chiamata al sacerdozio non poteva uscirne che rafforzata.
Nel novembre 1987, al posto del servizio militare, mi sono imbarcato per il Gabon, paese dell'Africa centrale, come volontario nella cooperazione civile. In pratica, avrei dovuto mettermi al servizio della chiesa locale come animatore nella pastorale.
Un episodio importante mi ha
preparato a questa esperienza. Qualche mese prima, sono stato invitato a
partecipare a un congresso internazionale di seminaristi organizzato dal
Movimento dei focolari. Eccomi dunque, nel settembre '87, a Castelgandolfo al
Centro Mariapoli. E' stato durante quei giorni che ho scoperto la spiritualità
dei focolari. Tornando in Francia, mi portavo dentro la convinzione di aver
ricevuto un tesoro prezioso che mi avrebbe permesso di proseguire in pienezza
il mio cammino verso il sacerdozio e di vivere in una luce nuova l'avventura
che mi attendeva.
Dell'arrivo in Gabon ricordo ancor bene il viaggio dalla capitale attraverso la
foresta fino alla parrocchia cui ero destinato a Lambaréné. Mi sentivo come chi
va alla conquista, fiero della sua bravura e del suo eroismo. Pensavo di dover
andare, come gli apostoli, ad annunciare la buona novella, naturalmente con
tutti i più buoni propositi.
Ma arrivato a Lambaréné, a contatto con la gente del luogo, quel senso di eroismo missionario che mi ero portato dall'Europa è andato scomparendo ben presto, e questo soprattutto grazie ad un gruppo di giovani del Movimento gen che vedevo vivere con tale concretezza e radicalità il vangelo che ne sono rimasto profondamente impressionato. Quei gen costituivano, in un certo senso, il nucleo attivo e solido dei giovani cristiani della missione. Fra di loro c'era chi si occupava dell'animazione dei canti nelle diverse cappelle della città, chi si impegnava presso i lebbrosi e i bambini dell'ospedale Schweitzer e chi, ancora, aiutava nella preparazione dei week-end di approfondimento della fede per gli studenti, mentre altri, infine, si occupavano della catechesi dei bambini.
A contatto con loro ho imparato progressivamente a non giudicare più in maniera troppo rapida certi comportamenti culturali, sociali o religiosi, e ad apprezzare addirittura, dopo qualche mese, ciò che prima mi era potuto sembrare strano. Ma non solo: quei giovani africani sono stati per me dei veri maestri dai quali ho appreso vitalmente l'ideale dell'unità che avevo conosciuto per la prima volta a Castelgandolfo. Vedendo come vivevano mi sono reso man mano conto che il mio ruolo non era tanto quello di portare il Cristo quanto di essere pronto ad accoglierlo in ciascuno.
Ma la cosa più bella è stata questa: in quei giovani ho trovato una vera famiglia nella quale non ero più uno straniero ma semplicemente un fratello; una famiglia che non avevo scelto io ma che Dio stesso mi aveva donato.
Emmanuel Pic