Un campo di lavoro per seminaristi svoltosi a Medellin

 

 

Testimoniare Dio con le proprie mani

 

di Luis Gonzaga Galvis, Colombia

 

 

Oggi i sacerdoti sono credibili nella misura in cui il loro parlare porta il marchio dell'esperienza. Occorre calarsi nel vissuto dell'uomo ed evangelizzarlo dal di dentro, a partire dalla propria vita. E' quanto hanno cercato di fare una quindicina di seminaristi colombiani, in occasione di un campo di lavoro.

 

Con un territorio vastissimo e una popolazione di poco più di 30 milioni di abitanti di forte tradizione cristiana, la Colombia in questi ultimi anni vive una grave situazione di violenza che tiene la gente in un continuo stato di paura e di insicurezza. Coloro che vogliono andare controcorrente soffrono la persecuzione e a volte pagano con la vita, come tanti sacerdoti, catechisti e uomini di buona volontà uccisi negli ultimi anni, fra cui recentemente il vescovo della diocesi di Arauca.

La Conferenza Episcopale in questa situazione ha cercato di svolgere una missione di riconciliazione ed ha esortato tutti i cristiani a testimoniare il messaggio evangelico di pace e di unità. E' in questo contesto che si iscrive l'iniziativa alla quale abbiamo dato vita durante le vacanze dell'anno scorso.
Eravamo venuti a conoscenza dell'esperienza dei campi di lavoro che centinaia di seminaristi avevano realizzato in Europa, in preparazione a questo incontro di seminaristi con rappresentanti di tutto il mondo. Fatta nostra l'idea, abbiamo cercato di attuarla anche in Colombia. Evidentemente non era semplice e molte erano le incognite. Avremmo avvicinato persone tra le più diverse, nel loro difficile ambiente di lavoro; avremmo preso coscienza della povertà in cui vive molta gente in città, della disoccupazione crescente, della miseria morale, del tremendo dramma della droga! E poi, come avrebbe accolto, la gente, dei seminaristi che vanno a lavorare? Comunque, l'importante era cominciare ed avere, per l'amore reciproco, il Risorto fra noi. Lui ci avrebbe dato la forza di andare avanti e spiegato ogni perché.

Non meno ardua fu la realizzazione concreta: come trovare, in una società come la nostra, lavoro per tutti? E dove trovare una casa in cui poter vivere per un mese intero? Era davvero un'avventura! Ben presto però cominciarono a manifestarsi i primi segni della provvidenza. Così il 25 novembre 1989 abbiamo potuto iniziare quest'esperienza, desiderosi soltanto di fare di quei giorni una convivenza sullo stile della casetta di Nazareth, proponendoci di realizzare fra noi l'unità con tutte le differenze di carattere, di regione, di età e formazione che ci distinguevano.

Stipati in 14 in un piccolo appartamento, cominciavamo la giornata con una meditazione e con l'eucaristia; lì abbiamo trovato la forza per alimentare continuamente l'unità fra di noi, per fare bene il nostro lavoro, per portare Gesù agli altri, constatando poi in ogni situazione quanto Dio ci amava.

 

 

 

Accanto ai poveri

 

Alcuni di noi hanno lavorato nei depositi di un grande magazzino, ricevendo e consegnando la merce; altri nella sezione “cambio articoli”, altri in diversi punti vendita, mentre due di noi si fermavano a casa per provvedere ai lavori domestici. Quelli che non avevano trovato lavoro andavano invece di porta in porta a raccogliere vecchi giornali che poi avremmo venduto. Avevamo le nostre sole spalle per il trasporto di quanto raccoglievamo. A dividersi il campo con noi erano varie istituzioni e soprattutto molti mendicanti. Un giorno uno di noi ha incontrato un signore che a causa di un incidente non poteva lavorare e aveva sei figli da sfamare. Quel giorno non aveva ancora raccolto nessun giornale, mentre noi ne avevamo già un grande pacco. Ci rendemmo conto delle sue necessità, l'ascoltammo e poi dividemmo i giornali con lui. Se ne andò felice. Una gioia ci invase l'anima e capimmo che era necessario amare Gesù in tutti quelli che incontravamo per strada, soprattutto nei più sofferenti.

La sera, quando tornavamo a casa, malgrado la stanchezza era una festa per tutti. Erano momenti di unità e di verifica che rafforzavano la presenza di Gesù fra di noi. Mettendo in comune le nostre esperienze, qualcuno diceva che si sentiva maturato come persona e come cristiano. Aveva imparato a capire di più la gente, a sentirsi più solidale nel risolvere i loro problemi e nel modo di pensare la vita. Un altro invece diceva che il campo di lavoro era una scuola di umiltà che gli faceva scoprire la generosità della gente, anche di quella più povera. Un giorno, infatti, una signora, rispondendo dall'interno della casa, gli aveva detto che non aveva nessun giornale, ma che voleva ugualmente contribuire con qualcosa. Quando la donna ha finalmente aperto la porta, egli ha visto che si trattava di una signora povera, inchiodata a una sedia a rotelle.

Lavorando nei depositi del grande magazzino insaccavamo le patate che poi venivano portate al mercato. Cercavamo di riempire i sacchi con quelle sane in modo che la gente avesse la migliore qualità e senza saperlo si sentisse amata. Abbiamo cercato di entrare in relazione con gli impiegati ed operai, ascoltando le loro conversazioni a volte “sconcertanti” per il linguaggio e il modo di comportarsi. Volevamo vedere Gesù in loro e amarlo. Sentendosi non giudicati si aprivano con noi, ci confidavano i loro problemi e domandavano come era la nostra vita: cosa pensavamo del celibato, riguardo alla donna, all'uso dell'alcool, e così via. Abbiamo detto che l'evitare un vizio non era prerogativa di noi seminaristi, ma dell'essere cristiani, e così li mettevamo in crisi, facendoli riflettere sulla loro condotta e sui loro problemi. Altre volte si parlava della Chiesa e dei problemi del lavoro, ed alcuni sono ritornati alla pratica sacramentale. Abbiamo così capito che il sacerdote non è tale se non diventa un altro Gesù e se non stabilisce la sua presenza tra i fratelli.

 

 

 

Come una famiglia

 

Una sera sono venuti a visitarci nel piccolo appartamento i responsabili del lavoro ed insieme abbiamo fatto la cena. Furono colpiti dal nostro modo di vivere e tanto di più dalla semplicità ed essenzialità della casa. Era inimmaginabile per loro che dei seminaristi potessero dormire con materassi per terra, aspettare il loro turno per fare la doccia, cucinare, pulire la casa. Dicevano che era una grande speranza per loro aver incontrato dei futuri sacerdoti disposti a una donazione così radicale.

In casa fra di noi vivevamo come in una gara di amore. Ciascuno si preoccupava dell'altro, e al ritorno dal lavoro ci sentivamo accolti come in famiglia per l'amore mutuo che circolava. Abbiamo ricevuto tanta provvidenza. Significativa una cartolina che accompagnava dei doni: era indirizzata “alla gran famiglia”. Ma non sempre è stato facile. La stanchezza accumulata durante il giorno, la lontananza dalle nostre famiglie - eravamo nel periodo di Natale - e la stessa ristrettezza della casa, potevano essere occasione di ripensamenti e di trionfi dell'uomo vecchio. Ogni volta abbiamo provato a vederci nuovi e a ristabilire la presenza di Gesù fra di noi, dichiarandoci di volerlo avere sempre in mezzo a noi. In Lui abbiamo trovato la forza di accettare tutto come un suo dono che ci faceva crescere e ci poteva rendere più conformi a Lui. Per amore di Gesù in mezzo si rinunciava ai propri gusti, ai programmi personali, alla televisione, e si facevano cose che altrimenti non ci sarebbero piaciute.

Per Natale, infine, abbiamo organizzato insieme alla comunità locale dei focolari una festa per la gente povera del quartiere di Moravia. Abbiamo preparato canti natalizi, giochi, dolci e doni per ogni bambino. Per tutti è stata un'esperienza stupenda. All'inizio molti di noi non volevano avvicinare queste persone che vivono in condizioni tanto disumane, ma alla fine ci si sentiva fratelli, come una sola famiglia, e abbiamo capito che non sono le cose a unirci, bensì l'amore che si dà e che si riceve. E ci siamo resi conto quanto sia fondamentale avere Dio come unico ideale: è sperimentare la felicità.

Economicamente la nostra esperienza non è stata redditizia. In quattordici abbiamo guadagnato quanto guadagna un operaio in Europa. Il vero guadagno è stata l'unità costruita, la maturità che ciascuno ha conseguito e la sensibilità acquisita per aver toccato con mano e sperimentato la povertà della nostra gente, la durezza del lavoro, la necessità di vivere uniti per affrontare il male di questo mondo.

Il campo di lavoro ci ha aiutato a uscire dal nostro piccolo mondo ristretto e a volte borghese per aprirci agli altri. Così speriamo di aver portato un piccolo contributo personale e di gruppo alla costruzione di un mondo unito, per la testimonianza di Gesù fra noi che in ogni ambiente ha trasformato violenze e tensioni.

 

Luis Gonzaga Galvis