Pastori di altre chiese e un monaco buddista in comunità con sacerdoti e seminaristi cattolici

 

 

Dialogare attraverso la vita

 

di Darryl D'Souza, Italia

 

 

Viene sempre più in rilievo, accanto al dialogo teologico e come suo sfondo indispensabile, il dialogo della vita. Quella della “scuola sacerdotale” di Loppiano (Firenze) è, a questo proposito, un'esperienza quanto mai interessante: mostra come il comandamento nuovo possa essere la base di una comunione profonda, al di là di ogni frontiera. Nasce allora la speranza che l'unità è davvero possibile.

 

E' ormai da qualche anno che mi trovo alla Scuola sacerdotale del Movimento dei focolari, dove - per un periodo da sei a dodici mesi - vivono sacerdoti e seminaristi che vogliono approfondire la spiritualità dell'unità. La “scuola” fa parte della cittadella di Loppiano, vicino a Firenze. E' una scuola di vita dove, lavorando insieme anche manualmente, pregando insieme, scambiandosi le esperienze sulla parola di Dio, si cerca di imparare a vivere con maggiore intensità quell'unità che Gesù ha voluto per i suoi ministri (cf. Presbyterorum Ordinis n.8). Quanto a me, per una serie di circostanze, sto portando avanti, durante il soggiorno a Loppiano, anche i miei studi.
In questi ultimi anni abbiamo avuto la fortuna di condividere quest'esperienza di vita anche con pastori di altre chiese. Il dialogo vissuto con loro era basato innanzi tutto sullo sforzo di vivere insieme il vangelo e di mettere in pratica fra noi il comandamento dell'amore reciproco. Con sorpresa abbiamo constatato che in questo modo potevamo trovarci profondamente uniti, nonostante le differenze dottrinali e di tradizioni, e che i tanti piccoli gesti di attenzione l'uno verso l'altro ci rendevano veri fratelli.

Qualche anno fa abbiamo avuto tra noi un riformato olandese che stava per diventare pastore. Era una persona sensibile e concreta nell'amore, sempre pronta a servire. Nel periodo della sua permanenza ha lavorato in cucina, preparando i pasti per tutti noi. Questo suo modo di amare gli ha fatto scoprire la realtà di Maria. Sentiva di poter vivere come lei e diceva: “La via di Maria è anche la mia...”. Anzi, in Lei trovava un modello per il suo ministero futuro.

Vivendo fra noi ha sentito sempre più di far parte della nostra famiglia fino a condividere con noi tutto ciò che lo riguardava, compresi i suoi beni materiali.

Un giorno, dopo esser stato con un numeroso gruppo di vescovi cattolici, convenuti a Loppiano da vari paesi, ed aver assistito alla loro concelebrazione, durante la quale si erano promessi amore reciproco ed unità, ha commentato: “Vedendo un amore così grande tra vescovi della chiesa cattolica, ho capito che l'unità delle chiese non è un'utopia”.

Un'altra significativa esperienza l'abbiamo vissuta con un sacerdote anglicano, Paul Krake, venuto a Loppiano dall'Inghilterra. All'inizio era un po' timoroso, perché non sapeva come l'avremmo accolto. Da parte nostra, per la verità, quasi non abbiamo fatto caso che era un anglicano: era un fratello da amare come tutti gli altri. In poco tempo è scomparso ogni timore ed egli ha vissuto con noi una comunione profonda; si è occupato degli aspetti più semplici della casa ed ha lavorato in stireria. Aveva sperimentato vitalmente la presenza di Gesù promessa a chi vive l'amore reciproco e diceva che si sentiva fratello tra fratelli al punto che l'unico momento della giornata in cui si rendeva conto della divisione delle nostre chiese era durante la messa al momento della comunione. Insieme abbiamo capito che questo dolore, abbracciato e amato, poteva essere un nostro personale contributo all'unità.

E' stato con noi anche un pastore della chiesa riformata di Svezia di nome Hans. Era sposato, padre di tre figli. D'accordo con sua moglie, è venuto a stare con noi per un mese. A conclusione del suo soggiorno ha detto: “Sto ritornando nella mia famiglia, ma è anche vero che qui lascio una famiglia in cui ho trovato tanti fratelli”. Ed un'altra volta: “Sentendo parlare di Gesù crocifisso e abbandonato e vedendo come qui si vive questa realtà evangelica, comprendo meglio quanto Isaia dice del servo sofferente di Jhwh. Questo “uomo dei dolori” di cui parla Isaia, mi era sempre parso una figura a sè stante, ma ora mi rendo conto che egli è presente in ciascuno di noi e in tutta l'umanità”. Diceva spesso che l'esperienza vissuta insieme era molto importante per lui e sentiva l'esigenza di portare questo spirito di unità nella sua chiesa in Svezia.

 

 

 

L'unità tra noi è un passo in avanti

verso la pace del mondo

Infine, abbiamo avuto modo di vivere con un monaco buddista dello Sri Lanka di nome Uttarananda, invitato a venire a Loppiano dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Era artista: pittore e scultore. Aveva già allestito due mostre personali nella capitale del suo paese e voleva ora sviluppare le sue capacità di scultore e conoscere più da vicino l'arte cristiana. All'inizio, essendo noi cattolici, aveva qualche riserva: temeva che, vivendo con noi, poteva subire pressioni a convertirsi al cattolicesimo. Noi abbiamo fatto di tutto per rispettarlo nei suoi doveri come monaco buddista, cercando di farlo sentire a suo agio nella nostra casa. Gli abbiamo quindi preparato una stanza di preghiera con una statua del Budda e un altro locale per il suo lavoro. Egli ne è rimasto molto colpito e piano piano è scomparso ogni suo timore. A dire di lui, uno dei momenti che maggiormente l'hanno aiutato a superare ogni barriera, è stato quando abbiamo voluto vivere con lui la festa del Vesak Poy, con la quale i buddisti ricordano la nascita, l'illuminazione e la morte di Budda. In quell'occasione, per non urtare i suoi sentimenti religiosi, ci siamo astenuti anche noi dal mangiare carne a pranzo e nel pomeriggio abbiamo assistito al rito della festa ascoltando i suoi canti e partecipando ai suoi momenti di silenzio e di meditazione.

Nel giro di nove mesi ha portato a termine una quarantina di opere artistiche su vari soggetti del buddismo e si è espresso anche in opere di tematica cristiana che mostravano un profondo apprezzamento per la persona di Gesù e per il vangelo. Ha esposto queste opere in una mostra personale a Firenze alla cui preparazione tutti noi abbiamo collaborato. Coloro che sono venuti a visitarla sono rimasti colpiti non solo dalle sue opere ma anche dal rapporto che egli, monaco buddista, aveva con noi, sacerdoti e seminaristi cattolici.

Dopo un anno di permanenza tra noi, un giorno ci ha confidato: “Avendo visto come vivete e come vi amate scambievolmente, mi sono detto: “questo è il vero cristianesimo”. Certamente vi sono differenze tra le nostre religioni, ma esse non costituiscono una barriera per poter vivere e lavorare insieme. Se siamo più uniti, possiamo risolvere sempre meglio i problemi dell'umanità”.

Era venuto pensando di rimanere con noi per tre mesi, ed invece si è fermato per due anni.

 

Darryl D'Souza