Alla sequela di Gesù in un paese in guerra

 

 

Maturare in circostanze difficili

 

di Elias Koury, Libano

 

 

L'esperienza di Elias, un seminarista maronita del Libano, testimonia l'incidenza che la vita cristiana, quando è radicata nell'amore, può avere in ogni situazione. La paura della guerra, la morte dietro ogni angolo non frenano l'impegno a vivere il vangelo.

 

E' da quando avevo dieci anni che ho cominciato a vivere alla luce dell'ideale dell'unità. Sembra impossibile, ma anche nel Libano, la mia nazione, ci sono germi di vita nuova e così anch'io ho cercato di portare amore in tale situazione. Appena diciottenne sono entrato nella Croce Rossa per aiutare chi soffriva più di me. E' stata un'esperienza straordinaria. Ha rappresentato il primo vero incontro col dolore. Aiutato sempre dalla spiritualità dell'unità, ho cercato di scorgere in ogni situazione difficile, in ogni uomo sofferente, un volto di Gesù crocifisso. Solo questa è stata la chiave che mi ha aiutato a vivere, senza chiudermi in me stesso, i tanti momenti tragici e terribili della guerra che da anni devasta il mio paese.
A 22 anni sono arrivato in Italia per trascorrere vari mesi nella cittadella di Loppiano, vicino Firenze. Là una radicale e profonda esperienza cristiana, obiettivo quotidiano degli abitanti di questa cittadella del Movimento dei focolari, mi ha aiutato a scoprire la mia strada. Così è maturata la mia vocazione al sacerdozio.

Tornato in Libano ed entrato in seminario, mi sono accorto che non tutto era facile. Facevamo un po' tutti la medesima esperienza: non mancava certo la buona volontà per costruire rapporti fraterni fra tutti, ma alle prime difficoltà ci si scoraggiava e allora, puntualmente, ciascuno si immergeva nel proprio mondo privato.

Ne ho parlato a più riprese con chi già da anni viveva in seminario, e tutti mi assicuravano che quello che cercavo era un'utopia. Troppo forte era in me la spinta a creare rapporti basati sull'amore reciproco da potermi accontentare di una prospettiva del genere. Cercai dunque di non arrendermi e cominciai ad amare nelle piccole cose: portare l'acqua in tavola quando mancava, cambiare il piatto al vicino, dedicare il mio tempo per aiutare un altro a decorare la sua stanza, e tanti altri gesti che potevano essere segno di una donazione totale. Passò così qualche settimana quando un mio compagno - si chiama anch'egli Elias - improvvisamente mi disse: “Ti vedo sempre sorridere. O sei un po' stupido oppure c'è qualcos'altro”. Era giunto il momento. Sentivo che anche lui era pronto per un tale ideale e allora gliene parlai apertamente e gli dissi che la molla della mia vita in seminario era l'amore a Gesù crocifisso. Per lui fu una scoperta. Da quel giorno cominciammo insieme a vivere per l'unità di tutta la comunità.

La guerra riprese e dovemmo lasciare il seminario. Nella città seguirono periodi di bombardamento e tutte le comunicazioni, telefono compreso, furono interrotte. Il pericolo era sempre alle porte e molti di noi con le proprie famiglie trovarono rifugio in montagna, rimanendo però isolati. Finché ci fu benzina riuscii ancora ad andare ogni giorno a messa. Quando poi venne a mancare anche l'elettricità le nostre serate nei rifugi divennero tetre. La paura nella mia famiglia e tra i vicini cresceva di giorno in giorno. Gesù ormai non mi si presentava se non crocifisso ed io cercavo di amarlo nel concreto: portando dell'acqua, riempendo sacchi di sabbia, scherzando coi bambini, giocando a carte con le donne, ascoltando le notizie cogli uomini, impegnandomi in una partita di scacchi con un ingegnere...

Nel frattempo il mio rapporto con Elias era andato in profondità ed ad un certo punto capimmo che potevamo vivere tra noi la comunione dei beni. Fondammo così una nostra piccola cassa.

 

 

 

Ancora Lui che si presenta

 

Un altro seminarista, Saïd, non tardò a confidarmi che voleva anch'egli unirsi a noi. Purtroppo abitava alquanto lontano. L'unico mezzo di contatto era il telefono. Cominciammo allora a sentirci con lui ogni due giorni circa per scambiarci le notizie. Situato sulla linea di confine, il villaggio di Saïd era molto esposto e ognuno degli abitanti era in grave pericolo. Andando a messa con sua sorella - era una domenica mattina - fu colpito in pieno da una granata. Il passaggio all'altra vita fu immediato. Fu per noi un momento difficile: era stato un compagno di classe, di cammino, di missione, ed in più un compagno nell'avventura dell'unità. Era ancora Gesù crocifisso che ci si presentava. Assurdo, ma era Lui. Cercammo di accoglierlo senza lamentarci, con serenità.

Due settimane dopo, la guerra si fermò, e la vita di seminario riprese. Celebrammo subito una messa in memoria di Saïd e tutta la nostra classe si ritrovò per valutare la situazione. La morte di Saïd ci aveva cambiati: eravamo maturati, diventati più sensibili per quello che vale. Qualcuno espresse l'idea di impegnarci a creare fra noi un ambiente di vera famiglia dove ognuno si sentisse libero e compreso da tutti gli altri. Molti approvarono, qualcuno rimase scettico, ma tutti, comunque, si domandavano come fare. Sentii che il terreno era pronto. Presentai allora ai miei compagni la spiritualità dell'unità come un cammino adatto per costruire una comunità viva e santa.

Ora il mio corso si incontra ogni quindici giorni per meditare la Parola di Vita e per scambiarsi le esperienze. Siamo il 15% dell'intero seminario ed insieme cerchiamo di lavorare per l'unità. Nel frattempo altri, di diversi corsi, si sono uniti a noi e vogliono vivere lo stesso ideale.

C'è ancora molta strada da fare, ma ormai conosciamo la via: l'amore a Gesù crocifisso e abbandonato. Con Lui - ne siamo certi - l'unità è solo una questione di tempo.

 

Elias Koury