Una corrente di vita nuova fra centinaia di seminaristi in Asia

 

 

Dio e l'amore, prima di tutto

 

di Rory Lunario, Filippine

 

 

Non è sempre facile perdere il proprio gusto, le proprie cose e offrirle in dono, ma è questa la via per concretizzare la scelta di Dio, che sta alla base della vita cristiana, e modellare la nostra esistenza sul modello trinitario. Riprende allora vigore la vocazione, diventa dinamica ed effettiva la comunione, riceve un nuovo impulso la vita di seminario. Sono questi alcuni frutti di una corrente di vita nuova nei seminari filippini che parte dalla “scuola sacerdotale” di Tagaytay.

 

Fra i seminaristi filippini lo spirito dell' unità ha cominciato a diffondersi più intensamente da quando nel 1983 due di loro, dopo un incontro con don Toni Weber della nascente scuola di formazione per sacerdoti e seminaristi a Tagaytay, hanno deciso di vivere più radicalmente il vangelo condividendo non solo conquiste spirituali ed esperienze, ma mettendo in comune anche tutto il loro denaro e gli altri beni.
Attraverso vari incontri e visite ai seminari i sacerdoti della Scuola “Epi” - come si chiama questa scuola del Movimento dei focolari a Tagaytay - sono venuti in contatto con un numero crescente di seminaristi di tutto il paese i quali, comprendendo la primaria importanza dell'unità, hanno voluto anch'essi impegnarsi in una più profonda vita di comunione. Da allora, molti seminaristi - fra i quali anch'io - sono venuti alla Scuola Epi, per il cosiddetto “anno per Gesù”.

Lanciato nel 1985, questo anno per Gesù è un periodo di intensa formazione nella vita dell'unità, che sfida i seminaristi a fare una profonda scelta di Dio, prima ancora del sacerdozio.

La vita che ne nasce è un'autentica rivoluzione. Credendo solo nell'amore del Padre, viviamo insieme come una famiglia mettendo ogni cosa in comune, sia le nostre ricchezze materiali o spirituali, sia il nostro nulla. Sono presenti fra noi sacerdoti e seminaristi di altre nazioni. Riusciamo a vivere insieme nonostante le barriere di lingua, cultura e mentalità, perché la nostra vita è basata sul vangelo che, con il suo linguaggio dell'amore, supera di gran lunga ogni standard di questo mondo. E' l'amore infatti che spinge i nostri fratelli thailandesi a lasciare il loro paese per poi trovarsi da noi magari in lavanderia a lavare i vestiti di persone che neanche conoscono. E' ancora l'amore che spinge il nostro fratello malese a lasciare la comodità della sua casa per trovarsi poi a lucidare il pavimento della nostra. Allo stesso modo è l'amore che spinge ognuno di noi a parlare in inglese e non in tagalog per essere capiti dai nostri fratelli degli altri paesi.

La “scuola” che facciamo consiste appunto in questo: imparare - a partire dalle cose più comuni - a fare di tutto un'espressione d'amore per l'altro. Cucinare, pulire i bagni, stirare vestiti, lavorare i campi, sistemare il giardino, scrivere lettere, ecc., tutto prende significato quando amiamo. Nulla invece ha valore davanti a Gesù se non è animato da quest'intenzione.

 

 

 

Il vangelo: palestra di vita

 

Certo, ciò comporta dolorosi tagli al nostro egoismo ed orgoglio. Non è sempre facile, infatti, perdere il proprio modo di fare le cose, lo stile personale di scrivere, un particolare gusto in cucina, il modo di disporre fiori o mobili, per “farsi uno” con l'altro. E non è sempre piacevole ricevere dagli altri suggerimenti o correzioni. Ma andando al di là del nostro ego e credendo nell'amore del fratello, sempre si giunge al miglior risultato, a quello cioè che è frutto dell'unità.

E' in questo sforzo di uscire da noi e di trasferirci nell'altro che si concretizza il nostro sì a Dio. Così la vita di tutti i giorni si fa palestra di vita evangelica. “Ogni volta che libero dalla ruggine le griglie della nostra casa - ha raccontato una sera uno dei seminaristi presenti - mi libero anche dal mio uomo vecchio e lo ridipingo con l'uomo nuovo”. E un'altro: “Quando fisso accuratamente le lamiere del nostro tetto per rafforzarle contro un eventuale tifone, vedo me stesso ricostruire la mia vita attraverso la vita dell'unità, in preparazione alla tempestosa battaglia che mi attende”.

Anche l'esperienza della sofferenza, che si fa e che si presenta in molte forme, ci aiuta a maturare e ci rende più sensibili nei rapporti con gli altri, più capaci di amarli in maniera disinteressata. Qualunque essa sia, cerchiamo di abbracciarla gioiosamente come un'espressione dell'amore per Gesù abbandonato in croce. Così uno di noi, che lavorava ogni giorno sotto il sole scottante, ha trovato la gioia nel dire: “Per te Gesù!” ad ogni colpo di zappa sul duro terreno del nostro campo di ananas.

Questa ed altre esperienze ci fanno profondamente sperimentare la realtà del cristianesimo e hanno suscitato in noi il desiderio che questa esperienza non si esaurisca nel periodo della “scuola”, ma continui anche dopo, quando torniamo nei seminari. Abbiamo compreso - in altre parole - che un anno per Gesù dovrebbe essere veramente “per sempre”.

Ora siamo sparsi in tutto il paese, pratichiamo fra noi la comunione piena dei nostri beni materiali e spirituali, e siamo felici di vivere nella più grande semplicità conformandoci al tipo di vita della gente, in gran parte povera, nel modo di vestire, di mangiare e di abitare. Siamo liberi dalla ricerca del benessere perché abbiamo trovato il vero tesoro, Dio. Lui provvede ad ogni cosa. Quando ci arriva più del necessario, lo doniamo a chi ha di meno. Sentiamo però che non possiamo accontentarci di dividere denaro o vestiti coi poveri dei dintorni. Ciò che ci sta a cuore è far loro sperimentare l'amore vero tra noi e nei loro confronti. E loro, in effetti, capiscono e imparano a ricambiare la nostra attenzione donandoci frutta o semplicemente rendendoci partecipi delle loro vicende.

L'amore reciproco e l'unità sono la linfa vitale dei nuclei che man mano si sono formati e all'interno dei quali condividiamo i più vari aspetti della nostra vita. La ricreazione, il tempo libero, lo sport, o la visita a un museo, diventano così semplici scuse per crescere nell'unità.

 

 

 

Andare controcorrente

 

D'altra parte, quando è necessario, non abbiamo paura di andare controcorrente per essere fedeli alla nostra scelta di Dio come centro della vita. E allora c'è chi dice decisamente “no !” all'insistente invito di unirsi ad un gruppo per bere e divertirsi, perché non è certo questo il modo per costruire un rapporto maturo. E chi, ancora, spontaneamente racconta la sua gioia dopo aver superato la tentazione di copiare durante un esame dove ognuno sembrava essere disonesto.

La comunione viva, inoltre, ci rende sensibili agli effetti negativi del crescente consumismo e ci libera da tanti desideri tipici dei giovani e spesso anche dei seminaristi. Così un nostro compagno è riuscito a rinunciare al desiderio di comprare un anello per la sua promozione, capendo che non era veramente necessario. O un altro, che aveva pensato di acquistare un nuovo paio di ciabatte, dopo aver ricevuto lo stipendio per il lavoro estivo, vi ha rinunciato ricordandosi che il suo denaro non era più suo. Oltretutto il suo vecchio paio era ancora buono.

Come si può immaginare, questa nuova vita di testimonianza evangelica non è sfuggita agli occhi dei vescovi e formatori ed ha specialmente interessato i nostri rettori con i quali cerchiamo di costruire un rapporto vero e profondo. Molti di loro appoggiano apertamente la nostra esperienza e ci permettono volentieri di fare incontri nei seminari. Anzi, ci augurano di moltiplicarci e di portare questa vita nelle strutture delle nostre comunità. Non di rado, poi, chiedono e accolgono suggerimenti da parte nostra su come far crescere la vita in seminario.

I nostri amici seminaristi a loro volta si sentono coinvolti da questa corrente di vita nuova, partecipano ai nostri incontri ed esprimono il desiderio di vivere con noi l'ideale dell'unità. Ci teniamo in contatto con loro attraverso congressi regionali, animando ritiri, visitando seminari, scrivendo lettere, e soprattutto testimoniando tra noi l'amore reciproco. Come frutto di ciò siamo ormai in contatto con più di mille seminaristi, in 53 dei 55 seminari maggiori della nostra nazione.

Allo stesso tempo il nostro sguardo punta all'Asia intera ed oltre. Più viviamo la vita d'unità e più sentiamo, infatti, crescere in noi la passione per la Chiesa universale. Credendo che Dio è nostro Padre e che siamo tutti fratelli, avvertiamo il bisogno di essere aperti alla realtà dell'umanità intera. E così cerchiamo di tenerci pronti ad andare dovunque Dio e la chiesa avessero bisogno di noi, per dare il nostro piccolo apporto alla realizzazione del testamento di Gesù: “Che tutti siano uno”.

 

Rory Lunario